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18/08/2008

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Un forte sentimento di amore

Clicca per Ingrandire Quest’opera nasce sull’onda di un forte sentimento di amore di Candida per la sua cittadina di origine, con la quale non ha mai interrotto il dialogo, pur vivendo lontano, a Venezia; forse, come già le altre, è il frutto proprio di una profonda nostalgia che neppure il comune Mare Adriatico, lungo il quale correvano fin dall’antichità le rotte marinare degli esperti nocchieri rodiani, è riuscito a lenire. Da quel porto e quel mare Candida si protende per rivivere il miracoloso approdo, nel 1453, del Sacro Quadro, proveniente da Costantinopoli su nave veneziana, a Rodi Garganico, per testimoniare un culto tanto caro ai nostri antenati, che ci hanno da sempre accompagnati nei nostri viaggi affidandoci alla Madonna della Libera, infilandoci in tasca un’immaginetta, come avevano fatto con loro, com’era accaduto fin da quando i nostri padri hanno imparato a considerare quella Sacra Icona un’ancora di salvezza da improvvisi fortunali in mare aperto.

Il racconto si avvale dei riferimenti a Gabriele Inglese, a Gerardo Gnozza, ad Alessandro Russo, a Vincenzo Di Fiore, a Michelangelo De Grazia, a Michelantonio Fini, fino a giungere a don Giorgio Trotta, a Maria d’Errico, a Saverio Spicciariello; ma Candida ricorre, come al solito, anche alle tante testimonianze dirette, a partire da quelle del parroco e rettore don Michele Carrassi. Testimonianze che Candida è riuscita a recuperare, altrimenti destinate a sfumare, che invece vanno a innervare la storia, rendendola viva e non un semplice e arido studio.

Non una semplice ripetizione di quanto già detto e conosciuto. Gentile ci ha messo del suo in fatto di lettura e di interpretazione, di ipotesi avanzate sulla base di conoscenze storiche che si è preoccupata di recuperare nella sua Venezia o anche attraverso i moderni mezzi di comunicazione, come l’enciclopedia on-line Wikipedia, per ricostruire quel contesto storico in cui calare l’arrivo del Sacro Quadro a Rodi, che Candida ha aggiunto al leggendario e discusso documento seicentesco che tutti conosciamo. Così come interessante è l’analisi degli elementi pittorici e figurativi del Sacro Quadro, dal colore del manto della Madonna a quello dei genuflessi: il cambio di tonalità è espressione delle vicissitudini vissute dal Sacro Quadro nel corso dei restauri tra il 1846, il 1919, il 1977, fino a quello del 1993-94.

Un capitolo è dedicato alle vicende del tempio, in cui alle notizie già riportate da Gabriele Inglese nella sua “Breve Storia del Santuario di Maria SS. Della Libera di Rodi Garganico”, del 1956, si aggiungono tutti gli elementi che nel corso degli anni hanno riguardato la statica di questo tempio, originate dalla realizzazione della cupola o da eventi sismici, fino a giungere all’assetto attuale con la recente costruzione, nel 2003, della Cappella dedicata a Santa Lucia e a San Pio da Pietrelcina, dono dei coniugi Giovanni Troccolo ed Elisa Trombetta.

Dalla originaria chiesetta di Santa Lucia in Contrada dell’Aria, al tempio attuale. Di ogni cappella viene ricostruita la storia, con particolare attenzione alle tele e alle statue presenti in esse. Anche queste trasformazioni nel corso del tempo sono documentate da materiale fotografico, come il passaggio dall’originario presbiterio balaustrato all’attuale assetto. Per giungere alla porta d’ingresso, quella “Porta della vita” donata da Anita Altomare e realizzata dall’artista romano Ernesto Lamagna nel 1976. Quattro pannelli: due nella parte superiore, il primo con l’immagine di una donna con al petto un figlioletto, l’immagine di ogni mamma, l’immagine della madre di tutti gli uomini, l’immagine della madre di Cristo; l’altro in cui un uomo si apre a fatica un varco tra le sofferenze quotidiane e le speranze sulla scia di Cristo. Nella parte inferiore altri due pannelli, in cui i temi religiosi si legano a quelli della vita quotidiana, una vita che per i rodiani è proiettata da sempre sul mare, ma una vita che trova nella chiesa la sua ancora di salvezza.

L’attenzione si sposta, quindi, all’esterno e alla sistemazione dello spazio circostante, dal ricordo delle acacie sistemate dal contadino Ziretto, ai pini di oggi, alla Croce giunta lì dopo diverse collocazioni che ricorda la vittoria di Lepanto del 1571 da parte delle navi cristiane su quelle turche. Quanta storia in quel prolungamento del sagrato compreso tra le due cappelle laterali con la semplice facciata, che esalta il portale e su cui fa bella mostra un mosaico, opera di Michele Mellini, che riproduce Rodi su cui troneggia la Madonna della Libera, mentre due nicchie accolgono le statue di San Giuseppe e di San Nicola.

Mosaico e cancellata che chiude il sagrato sono un dono di Giuseppe Delle Fave. La statua di Giovanni XXIII è un dono di don Michele Carrassi a ricordo dei suoi 25 anni di sacerdozio: il “Papa buono”, che tutte le persone un po’ in là negli anni ricordano nel famoso discorso della luna, all’apertura del Concilio Vaticano II, a vegliare e benedire le frotte di ragazzi che animano, a volte anche con qualche eccesso, questo spazio in cui tutti noi rodiani abbiamo trascorso gli anni più belli della nostra vita, quelli indimenticabili dell’infanzia.

Tra le vicende del Santuario trova spazio anche, grazie a un contributo di Maria D’Errico contenuto nella sua tesi “Il Santuario Maria SS. della Libera in Rodi Garganico - Arte e storia al servizio della chiesa”, il contrasto tra la Congregazione della Carità, che si prendeva cura del tempio, e il clero locale, circa l’organizzazione del culto della Vergine della Libera e per la gestione delle offerte, fino all’episodio del 1917, riportato da De Grazia, quando dei frati fatti giungere dalla Congregazione della Carità furono costretti a lasciare il tempio.

Le vicende di questo sacro luogo hanno avuto due momenti importanti: il primo nell’elevazione a Santuario Mariano Diocesano, con decreto emesso il 10 maggio 1956, giorno dell’Ascensione, da mons. Andrea Cesarano; l’altro è dato dall’incoronazione della Madonna della Libera come Regina del Gargano, avvenuta il 1° luglio 1985. Un capitolo è dedicato ai miracoli e agli ex voto, come espressione di quella fede che da sempre il Gargano intero ha dimostrato verso la Madonna della Libera. Quella fede che ha ispirato inni, preghiere, novene dedicati alla Vergine della Libera dai più ispirati sul piano religioso e teologico ai più popolari, frutto di un sentimento così spontaneo e immediato, nato sull’onda comunque di una fede tanto semplice, quanto profonda e intensamente vissuta. Segue un elenco di abati, viceabati, cappellani, rettori e parroci, con un particolare riguardo a don Michele Carrassi, di cui viene tratteggiata la figura e l’opera attraverso il riferimento alla sua vocazione e formazione.

Ma il culto della Libera va ben oltre i confini di Rodi, come confermato oltre che dalle testimonianze votive, anche dalla presenza di questo culto in località che sono in qualche modo legate a Rodi: Macchia di Monte Sant’Angelo, Monte Sant’Angelo stesso, Mongiuffi Melia, in provincia di Messina, in seguito a rapporti commerciali agrumari con quella cittadina. Una Storia diversa, di emigrazione, è sottesa alla diffusione di questo culto a Hoboken, nel New Jersey, dove molti nostri concittadini emigrarono nei primi anni del secolo scorso e da dove la famiglia Guglielmelli ci ha rimandato il labaro custodito nella cappella di Santa Lucia e San Pio.

La presenza del culto della Vergine sotto il nome della Libera anche in altri paesi, pur riconducibile a vicende diverse, ha costituito la spinta a trovare tra questi stessi paesi una comunanza di intenti almeno religiosi e a procedere a gemellaggi, come è stato già fatto con Pratola Peligna, in provincia dell’Aquila, e con Alatri, in provincia di Frosinone, e come si sta pensando di fare anche con altri paesi, a partire da Pietrelcina in provincia di Benevento.

Un cenno particolare è giustamente dedicato alle celebrazioni liturgiche e alle indulgenge a queste legate, concesse da un testo del 1896 a firma del Card. Streinhuber. Un ricco repertorio fotografico, accompagnato da note personali di Candida, dà spessore al capitolo relativo alla festa tra passato e presente, tra sacro e profano, con riferimenti alla teoria di Santi che precedono il quadro della Madonna durante la processione del 2 di luglio per le strade del paese, ai fuochi pirotecnici, alle bancarelle dei “castagnari”, degli “scarpari”, alla musica lirica.

Il tutto viene poi sapientemente e opportunamente esaltato dall’edizione che con la grafica, la riproduzione delle foto, l’impaginazione costituisce un valore aggiunto per l’opera di Candida e di cui bisogna riconoscere il merito alle Edizioni del Rosone–Franco Marasca e alla prof.ssa Falina Martino Marasca, che qui le rappresenta e che costituisce l’anima, il motore di questa casa editrice che si sta conquistando un posto di rilievo nell’editoria foggiana.

Pietro Saggese

 Uriatinon

 

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