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16/08/2008

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“MAMMA… LI TURCHI!”

Clicca per Ingrandire «Li turchi! Li turchi!» Così gridavano i torrieri dell’Adriatico quando avvistavano le navi dei pirati all’orizzonte. E gli abitanti dei paesi costieri fuggivano verso l’interno, cercando di salvare il salvabile. Niente di nuovo sotto il sole. La pirateria era praticata sin dall’antichità dai «popoli del mare»: Cretesi, Fenici, Greci, Etruschi attaccavano le navi nemiche per impossessarsi di merci e uomini. I Romani, non riuscendo a debellare il fenomeno, avevano varato un’apposita legge, la “Lex Gabinia de piratis persequendis” (67 a.C.), che diede a Pompeo i pieni poteri.

Ci fu una tregua ma, a partire daL 7° secolo d.C., il Mediterraneo tornò a essere “infestato” dai pirati, questa volta musulmani: la “Jihàd” islamica si tradusse in attacchi alle navi cristiane, costrette a ridurre i traffici nel Mediterraneo. Nei secoli più recenti, la presenza nell’Adriatico della flotta veneta, impedì ai Saraceni di far valere la loro potenza. Ma le navi della Mezzaluna non desistettero dal portare i loro repentini attacchi lungo le coste sia dell’Adriatico sia dello Ionio.

Tra il pirata e il corsaro, ambedue attivi in una incessante guerra marinara che travagliò il Mediterraneo, c’era questa differenza: il «pirata» correva il mare e depredava vascelli e coste per il proprio tornaconto. Il corsaro era invece un mercenario del mare al servizio di un governo, con regolare investitura (per cui ufficialmente doveva rispettare una legge di guerra). In realtà, sottolinea Vittorio Faglia, «molti e di diversa bandiera erano i corsari ma tutti in quei secoli furono pirati: Papi, Imperatori, Sultani e condottieri».

E accadeva che pirati «occidentali», travestiti da Turchi o Schiavoni, facessero frequenti incursioni, rubando ai propri connazionali. Tra i più famosi corsari al servizio dei Turchi ricordiamo Leone Strozzi, priore di Capua e capitano delle galere dell’ordine di Malta; i fratelli Barbarossa; Dragut, noto per l’assedio di Malta (1565) e per le scorrerie lungo le coste adriatiche; Uluc Alì od Occhialì, famigerato frate calabrese il cui vero nome era Luca Galeni, che combattè a Lepanto. Essi si spinsero nel Mediterraneo effettuando frequenti sbarchi e saccheggi lungo le coste. Nelle contrade del promontorio garganico aleggiano ancora leggende su meravigliosi tesori nascosti dai pirati.

Tra i ruderi di casali, nelle torri costiere, negli antri cavernosi, fra le mura di antiche abbazie, nei boschi o presso sorgenti, i contadini si affannarono alla loro ricerca. Talvolta un sacchetto o un’anfora piena di monete d’oro ripagarono le loro fatiche, ma la stragrande maggioranza dei tesori rimase nascosta nello scrigno segreto della leggenda.


KAIR ad-DIN ALL'ABBAZIA DI KALENA

Fra i più noti corsari che attaccarono il Gargano vi fu Kair ad-din (1475–1546), detto il Barbarossa (foto del titolo), al servizio di Solimano. Insieme ai suoi fratelli spadroneggiò in tutto il Mediterraneo. Nel 1533 Solimano affidò a Khair ad-Din la ricostruzione della flotta ottomana. Il rientro a Costantinopoli del corsaro fu un vero trionfo al punto da essere acclamato “re del mare”. Non mancano suggestioni e leggende su questo corsaro riferibili a Santa Maria di Kàlena (foto sotto, di Romano Conversano; ndr), un luogo-simbolo dell’immaginario collettivo di Peschici.

Il Vocino parla di «un tesoro nascosto a Kàlena insieme con la salma della figlia del corsaro Barbarossa alla fine del 1500. In realtà Kair ad-Din non ebbe mai una figlia: la storia ci documenta che qualche anno prima di morire, rapì a Reggio Calabria un’avvenente fanciulla diciottenne, Dona Maria, figlia del governatore spagnolo, e la sposò. La leggenda andrebbe corretta: probabilmente a Kàlena fu questa ragazza a essere sepolta dal Barbarossa che, come singolare cuscino, le pose un vitello d’oro…

Al di là della leggenda, è certo che dall’abbazia un camminamento sotterraneo portava alla “caletta” dello Jalillo: il passaggio segreto serviva ai frati per sfuggire alle frequenti scorribande turchesche, permettendo loro di raggiungere il mare, imbarcarsi e rifugiarsi nella badia fortificata di Tremiti.

Teresa Maria Rauzino


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