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03/08/2008

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LA SCOMPARSA DEL PERLASCA DI CASA NOSTRA

Clicca per Ingrandire Paolo Sabbetta non è più con noi. Il Perlasca di casa nostra che salvò 20 giovani dalla deportazione nei campi di concentramento nazisti, insignito del titolo di Cavaliere dal Presidente Ciampi, aveva 96 anni. Per ricordarlo degnamente vi proponiamo la lettura di un articolo apparso su peacelink.it il 25 aprile 2007 (testo e foto di Carlo Gubitosa).

“Contro Hitler a mani nude. Nonviolenza e resistenza: esercizi di memoria

“Le tracce della resistenza nonviolenta e non armata ci portano a Foggia, dove abbiamo incontrato chi ha deciso di reagire alla dittatura con le sole armi della fantasia e dell'astuzia. Dai suoi 95 anni, Paolo Sabbetta racconta l'esperienza della tenuta agricola di Tor Mancina, roccaforte disarmata contro la violenza del nazismo. E lancia un segnale di allarme: un pezzo della nostra storia è a rischio se non si riconosce alla resistenza non armata la stessa dignità dei combattenti.

“Novantacinque anni, fisico minuto e asciutto, occhi lucidi e una storia affascinante da raccontare: Paolo Sabbetta è il protagonista di una delle più intense esperienze europee di resistenza non armata e nonviolenta, uno "Schindler italiano" che con un po' di improvvisazione, una buona dose di coraggio e la collaborazione di 80 famiglie ha sottratto alle rappresaglie naziste un'intera tenuta agricola, salvando bestiame e uomini da razzie e deportazioni.
“Nato a Cerignola, Sabbetta studia da agronomo specializzandosi in agricoltura tropicale e nel settembre 1943 il regime fascista lo spedisce a dirigere la tenuta agricola di Tor Mancina, un Istituto Sperimentale Zootecnico a 27 chilometri da Roma sulla via Salaria, che si estende su una superficie di ben 1.200 ettari destinati a pascolo e boschi. Ed è proprio qui che la coscienza si ribella. Il 30 maggio '44, mentre l'occupazione nazista volge al termine, Sabbetta riceve un ordine perentorio dall'ufficiale tedesco assegnato alla tenuta: consegnare per l'indomani venti uomini che avrebbero dovuto lasciare Tor Mancina assieme a bestiame razziato.

“Il loro destino era ormai segnato - racconta Sabbetta - sarebbero stati deportati nei lager nazisti. Appena ricevuta la convocazione, i ragazzi si precipitano in massa da Sabbetta. Verso l'imbrunire entrarono nella mia stanza - ricorda il 95enne pugliese - e mi accorsi che non erano soli, ma accompagnati dai loro genitori. Le lacrime versate dalle mamme avrebbero commosso chiunque. La soluzione suggerita da Sabbetta è semplice ma rischiosa: presentarsi il giorno dopo da solo, con venti certificati medici che fanno partire i nazisti senza bestiame e senza ragazzi. In quel momento ho pensato che sarei stato fucilato per aver disobbedito agli ordini - ricorda - ma sono uscito miracolosamente salvo da questo azzardo. Ora sono orgoglioso di essere l'unico italiano che ha beffato i nazisti con un pezzo di carta.

“Questo episodio è solo il culmine della resistenza non armata di Tor Mancina, iniziata subito dopo l'armistizio con una serie geniale di stratagemmi e sotterfugi per salvare il salvabile. Tutto è documentato nei minimi dettagli dallo stesso Sabbetta, che ha trasformato la sua casa in un archivio/museo: in una sala sono esposte fotografie d'epoca, mappe e ritagli di giornale, lo studio contiene un enorme schedario, ma non c'è ancora nessuno in grado di raccogliere questa eredità che rischia di andare al macero. Sin dagli anni '20 - ci racconta - ho conservato l'abitudine di scrivere il mio diario, conservando lettere, documenti, carteggi, note, appunti, fotografie e schizzi dal vero. Dentro questo archivio c'è tutta la mia vita.

“Frugando in questo archivio scopriamo che dal settembre '43 in poi, per ostacolare le razzie degli occupanti nazisti, le famiglie di Tor Mancina, sotto la direzione di Sabbetta, si sono inventate di tutto: maiali "parcheggiati" nelle grotte prossime alla tenuta, latte sottratto alle mucche di notte per nutrire i partigiani alla macchia, attrezzi di laboratorio murati in una stanza d'angolo, masserizie e indumenti murati nel caseificio, centinaia di quintali di grano, avena, patate, fagioli e granturco nascosti sottoterra o nei silos dell'ovile, olio e formaggi sotterrati, murati o dati in custodia alle famiglie dei dipendenti dell'azienda, finimenti, selle, coperte, libri e registri nascosti nei modi più vari e impensati. E poi troviamo ancora pezzi di ricambio di trattori e automezzi, carburatori, magneti, cingoli e ruote murati in un vano sotterraneo del caseificio, tre trattori agricoli, un motofurgoncino, un camion e due auto resi inutilizzabili, migliaia di capi di bestiame salvati dalle razzie.

“A tutto questo si aggiunge l'accoglienza ricevuta nella tenuta di Tor Mancina da alleati, partigiani, militari italiani sbandati e renitenti alla leva ospitati sotto false generalità dal personale dell'azienda agricola, che divideva con loro le già scarse razioni delle tessere annonarie. Durante i mesi dell'occupazione nazista la massima autorità era un ufficiale tedesco e noi siamo riusciti a fargliela sotto il naso - ricorda Sabbetta con un sorriso di soddisfazione. - Sarebbe bastata anche una parola di troppo sfuggita a uno dei bambini della tenuta: se si fossero accorti delle nostre attività di sabotaggio e dei prodotti murati le conseguenze sarebbero state gravissime, e noi eravamo tutti consapevoli di vivere continuamente con il rischio di retate, deportazioni e fucilazioni. Per me c'è più eroismo in questo che nella lotta armata, ma queste esperienze non sono mai state riconosciute ufficialmente".

“Ma oggi la memoria della resistenza non armata rischia di andare perduta: "Mentre gli adulti sono quasi indifferenti a questi temi - ci spiega Paolo Sabbetta - i ragazzi che incontro nelle scuole mi hanno sempre dimostrato un interesse vivissimo. Purtroppo l'unico modo di far entrare in contatto i più giovani con la resistenza nonviolenta è la mia testimonianza orale. Nessun libro di storia ne parla, e io sono l'unico sopravvissuto di quella esperienza. Dopo di me nessuno ne parlerà più, verrà tutto sepolto. E' questo il mio cruccio più grande".

“Nel 1996 le istituzioni hanno preso atto dell'esperienza di Tor Mancina, e in quell'anno Sabbetta ha ricevuto dall’allora presidente Scalfaro l'onorificenza di Cavaliere dell'Ordine "Al merito della Repubblica". Da quel momento inizia una battaglia personale contro la burocrazia perchè lo stesso riconoscimento venga assegnato anche a tutti gli altri protagonisti della resistenza nonviolenta di Tor Mancina, le famiglie che hanno sfidato rappresaglie e decimazioni per aver disobbedito alle autorità naziste. Ma dal Quirinale arriva un messaggio perentorio: "Il Presidente Scalfaro comprende i sentimenti che ispirano il desiderio di ottenere uno speciale riconoscimento per l'eroico comportamento di tante generose famiglie. Purtroppo le attuali norme di legge non prevedono una simile distinzione".
“In conseguenza delle "norme di legge", quindi, l'unica onorificenza ricevuta dai resistenti non armati di Tor Mancina rimane l'enorme cartellone esposto nella sala-museo della casa di Sabbetta, dove i visitatori scorrono i pannelli appesi ai muri per scoprire i nomi di ottanta eroi sconosciuti e dimenticati. Come Ernesto Amici, che anche sotto i bombardamenti ha contribuito all'occultamento di grano e avena, Riccardo Giunta, che ha rischiato la vita per salvare dalle razzie due auto, un camion, un motofurgone e tre trattori, Vincenso Passacantilli, capo dei vaccari mungitori, che ha distribuito latte ai militari alla macchia, occultando armi e derrate agricole.
“Oggi Paolo Sabbetta vive a Foggia, e a dispetto dei suoi 95 anni è ancora attivo e sempre pronto ad accogliere con un sorriso nella sua casa chiunque voglia raccogliere la sua testimonianza. Ha gravissimi problemi di vista, e vorrebbe una indennità di accompagnamento, una pensione di invalidità o qualunque altra forma di assistenza per avere accanto una persona che lo sostenga nel suo lavoro di memoria della resistenza nonviolenta, leggendo documenti e aiutandolo nella corrispondenza.”
Questa la sintesi del documento che abbiamo voluto proporvi per ricordare un Uomo fenomenale. Adesso non ha più bisogno di una indennità di accompagnamento o di una persona che lo assista. C’è al suo fianco qualcuno che saprà badare a lui e lo onorerà meglio di quanto abbiamo fatto noi.

 peacelink.it

 

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