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26/07/2016

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VIESTE: UNA PAGINA DI STORIA

Clicca per Ingrandire In un manoscritto anonimo vengono descritti i tragici avvenimenti accaduti a Vieste nei giorni 27 e 28 luglio 1861, all’indomani dell’Unità d’Italia, quando vennero trucidate nove persone. L’Anonimo liberale descrive il clima vissuto in quei giorni: “I Briganti, i Galantuomini clericali, il sacerdozio, la plebe formavano un tutto omogeneo, nelle ridde, negli autodafè, nei ricatti ed in tutta le grassazioni […] Ahi Viesti, vituperio delle genti”. All’alba del 27 luglio il comandante della Guardia Mobile di stanza al castello disse ai suoi uomini: “Guardo, e voi stessi l’osservate ancora, come tutta intiera una popolazione fa causa comune con i briganti […] circa due mila tra maschi e femmine del Borgo, tenuti a bada dalla fucileria del Castello, irrompe alla Porta”.

Un altro testimone di quei drammatici momenti é Alfonso Perrone, liberale moderato che il 1860, in qualità di secondo eletto, aveva sostituito il sindaco Giambattista Medina. Nel secondo volume del suo Giornale Domestico ha così raccontato i fatti: “... la notte de’ 26 e 27 luglio, uno sparo di fucileria svegliò dal sonno i spensierati liberali di Viesti. […] Verso le ore 8 un branco di assassini dopo di aver invaso il Borgo, coadiuvati dalla feccia del popoluccio, che anelava alla rapina, da reazionari, dagl’illusi e dal tradimento delle Guardie Doganali, che fecero causa comune co’ briganti, questi passarono nell’interno del paese…”.

Descritto i massacri e i saccheggi, Perrone elenca le vittime: Nicola e Domenico Trepiccioni, Giannicola Spiana, Santi Nobile, Giuseppe e Ferdinando Cocle, Giuseppe e Francesco De Vita, Marcellino Cavallo. Il comandante della Guardia Gaetano Petrone, con i militi Gaetano Bosco, Michele Ascoli, Domenico Protano, Giuseppe Capita, Arcangelo De Simone, all’una di notte decise di lasciare il castello per raggiungere a piedi Manfredonia. Il giorno successivo è stato così narrato dal Perrone:

“Il giorno 28 luglio sorgeva forse più tristo dell’antecedente giornata, imperocché ricominciò daccapo il saccheggio […] un tale Biase Ranalli gittatosi in mezzo alla folla dei popolani cominciò a gridare, ed a parlare: Fratelli, diceva, Francesco II non è un ladro, e voi rubate […] Restituite ciò che avete preso, e subito. Queste, e simili parole sollevarono in qualche modo lo spirito dei buoni, il popolo cangiò attitudine, i briganti cominciarono a sconcertarsi. Fecero bandire sotto pena di fucilazione di restituirsi le robe a padroni: i briganti stessi si cooperarono a forzare i renitenti […] si allontanarono da Viesti portando seco un immenso bottino di danaro, oro, argento, ed altri oggetti preziosi, alla barba di questo paese infame, vile, assassino, e stupidissimo”.

I tragici fatti di Vieste vanno inquadrati nel drammatico contesto politico, economico, sociale del Meridione d’Italia dell’estate del 1861. E' lo stesso governatore della Capitanata, il conte Cesare Bardesono di Rigras, ad illustrare questa condizione in un rapporto del 30 luglio 1861, quando osserva che il brigantaggio è la conseguenza di una questione sociale ed economica tale che contadini e braccianti sono “trattati dai proprietari con una crudeltà e un’avarizia peggiori assai di quelle che subiscono i negri in America”.

Le repressioni delle rivolte contadine dell’autunno del 1860 e dei primi mesi dell’inverno successivo avevano prodotto bande di ‘briganti’ che, nell’estate del 1861, erano cresciute sia quantitativamente sia qualitativamente sotto l’impulso e lo stimolo costante del clero e del partito borbonico. L’attacco continuo delle bande ai paesi generava reazioni violente da parte delle masse contadine che, non avendo ottenuto il promesso miglioramento delle misere condizioni di vita, aggredivano e uccidevano sindaci, militi e ufficiali della Guardia Nazionale, liberali possidenti, usurpatori di terreni demaniali; distruggevano archivi; saccheggiavano beni di notabili e ‘galantuomini’. Si trattava di vere e proprie rivolte che diedero inizio ad una lunga e sanguinosa guerra civile.

In genere, l’arrivo delle forze militari ripristinava l’ordine preesistente con arresti di massa, deportazioni, esecuzioni sommarie; la resistenza armata dei rivoltosi non di rado comportava ritorsioni con paesi saccheggiati e bruciati da parte delle truppe regolari. Michele Magno, storico della Capitanata, sul momento dell'unificazione ha scritto:

“In Capitanata, dove un terzo dell'intera superficie agraria era costituita da terreni del demanio statale, 120mila ettari formavano i terreni dei demani comunali, solo in parte quotizzati. Perciò, specialmente nei comuni della montagna e della collina, i movimenti per la terra contro amministratori comunali e altri galantuomini usurpatori dei demani universali ed ex feudali, già prima dell'Unità assunsero dimensioni e contenuti particolari; poi tra il 1861 e il 1864, costituirono una delle spinte all'impetuoso sviluppo del brigantaggio”.

Naturalmente, anche a Vieste e nel Gargano, era molto sentito il problema dei demani comunali usurpati dai ‘galantuomini’, mentre contadini e braccianti senza terra vivevano in condizioni di vita insopportabili e inumane, privati spesso anche degli antichi usi civici che sotto la dinastia borbonica permettevano di raccogliere legna, pascolare piccoli animali, raccogliere frutti ed erbe selvatiche, senza alcun onere. Lo stesso governatore Bardesono, incaricato personalmente dal luogotenente Eugenio di Carignano l'11 marzo 1861 di reggere temporaneamente il Governatorato di Capitanata in forte subbuglio, analizzando le cause del brigantaggio con abituali ispezioni nelle località più ribelli e esaminando attentamente le condizioni sociali, disapprovò aspramente gli apparati punitivi dei generali Pinelli e Cialdini.

Appena qualche giorno dopo la rivolta, proveniente da Manfredonia sul famoso vapore ‘Conte di Cavour’, sbarcava a Vieste il generale Ferdinando Augusto Pinelli mentre l'intera popolazione terrorizzata fuggiva nei boschi.

Michele Eugenio Di Carlo


(tratto dal testo "Contadini e briganti nel Gargano dei briganti", edito dalle Edizioni del Poggio, e adattato dall'autore ad articolo giornalistico)











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