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13/04/2016

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QUANDO A SANTA MARIA DI DEVIA SI CORREVA IL PALIO

Clicca per Ingrandire Il tempo che scorre ad alta velocità spesso mi concede il permesso di spolverare antichi ricordi della mia infanzia. Ricordi che volentieri trasmetto alle nuove generazioni. Riguardano tradizioni raccontate da persone appartenute all’antica civiltà contadina. Racconti che mi consentono di vivere meglio il presente. Le leggende del mio Promontorio suscitavano sempre un vivo interesse e tanta curiosità. Ero il primo nelle lunghe serate d’inverno a fare cerchio intorno al camino per ascoltarle. Di solito il narratore era un vecchio pastore, saggio conoscitore di miti. Cominciava spesso col porgere domande. Un giorno mi chiese se conoscevo il perché per tutto il mese di maggio si recitasse il rosario.

Gli risposi che ne ero ignaro. Così mi spiegò che la Madonna è la sola a fare da tramite con Dio, essendo la Messaggera autorizzata ad apparire all’umanità quindi ‘ponte’ fra terra e cielo, e quasi sempre è apparsa nel mese di maggio. In maggio apparve al primo eremita che andò ad abitare sulle isole Tremiti per pregare in solitudine. In quella apparizione gli fu indicato, da Santa Maria a Mare, il luogo dove era custodito il tesoro di Diomede, ricco di monete e monili. E’ proprio per la leggenda del tesoro che molti popoli come Dalmati, Romani, Bizantini e Normanni furono interessati alle isole. Successivamente anche la chiesa ne prese il dominio con l’ordine benedettino dei Cistercensi e la congregazione dei Lateranensi.

All’interno dell’isola denominata San Nicola si trova un’ampia cisterna dove convogliano le acque piovane attraverso cunette costruite dagli antichi. Acqua dolce che veniva utilizzata dalla popolazione per barattare l’oro dei pirati del mare. L’oro, sterco del diavolo, vuol dire ricchezza, motivo di tante guerre, ed è stato e sarà sempre merce di scambio per eccellenza. Metallo malleabile e resistente con cui si coniavano monete, si decoravano ville di patrizi, ornamenti di persone, cavalli, velieri e tanti oggetti, rappresentava lo splendore di una popolazione. Anche nell’attuale era moderna resta preziosità di pregio.

Esiste un’altra leggenda che riguarda il tesoro del leggendario Diomede. L’Ellenico era un ottimo navigatore e presto fece visita al Gargano. Sbarcò a Torre Mileto e da lì proseguì fino a Rodi. Scelse quel litorale per allevare cavalli. Conobbe la figlia del re Dauno che prese in moglie ricevendo come dote l’intera Puglia. La leggenda narra che, per non essere da meno della consorte, le offrì il proprio tesoro, trasferendolo a Monte d’Elio, montagna del sole, occhio aperto verso l’Oriente, dalla cui vetta si può ammirare il nascere e il tramonto nel mare. Quel tesoro nel tempo è stato il richiamo di molte milizie interessate a occupare le Tremiti e il territorio di Monte d’Elio. Fu così che a Torre Mileto fu costruito un piccolo porto.

Una sera chiesi al pastore abruzzese perché nel Gargano ci fossero tante grotte scavate nella roccia. Mi rispose che la presenza delle grotte dipendeva dal fatto che il Promontorio garganico era stato abitato dai primi esseri umani, ma anche perché nel suo sottosuolo si era rifugiato l’Angelo cattivo scacciato dal Paradiso terrestre. La spiaggia di Torre Mileto, in quanto ampia e lunga, veniva utilizzata dai cavalieri per addestrare alla velocità e agli scatti gli equini, e spesso organizzavano rodei. Un giorno mi raccontò del pastorello, addetto al pascolo di un gregge di proprietà del casale di Devia, che vide approdare un veliero nel piccolo porto di Torre Mileto. Lo splendore di quella imbarcazione, ricca di decorazioni in oro, suscitò la curiosità del pastorello che abbandonò la guida del gregge.

Mentre alcuni componenti dell’equipaggio si rifornivano di acqua dolce prelevata da una sorgente fra la spiaggia di sabbia e l’inizio della scogliera, altri provvedevano a caricare sulla barca un abbondante scorta di agnellini e capretti. La presenza di acqua dolce nel mare trova spiegazione in un’altra leggenda: il Maligno, per rinfrescarsi, aveva scelto quella località trascinandosi dietro un corso d’acqua dolce e fredda. Fu così che ad essa ricollegai il motivo per cui si diceva ai bagnanti di tenersi lontano dalla scogliera perché… malefica. Infatti è il punto dove si sono verificati più incidenti di annegamento.

Tornando alla storia del pastorello, il signorotto di Devia, informato dell’abbandono delle greggi da parte del giovane, decise di infliggergli la stessa pena di Sant’Ippolito che, accusato dall’imperatore Valeriano di alto tradimento per essersi convertito al Cristianesimo e aver seppellito il corpo di San Lorenzo arso sulla graticola, fu legato alla coda di un cavallo e trascinato fra rovi e sassi fino alla morte. Era il 13 maggio quando il pastorello, per scontare la pena, fu legato alla coda di un cavallo con l’intenzione di farlo trascinare sulla costiera partendo dalla sorgente di acqua dolce. Il cavallo, però, disarcionò il cavaliere e si diresse al galoppo lungo la spiaggia sollevando un gran polverone. In quel momento apparve la Madonna che sollevò il corpo del fanciullo col mantello. A quel punto il cavallo, liberato dalla fune, si fermò ricevendo la carezza della Madonna.

Il 13 maggio avvenne l’apparizione della Madonna di Fatima. Sul Monte d’Elio si trova un gioiello romanico, la chiesa di Santa Maria di Devia (foto del titolo di Nazario Cruciano; ndr), impreziosita da affreschi bizantini. Sulla porta d’ingresso spicca la figura di Sant’Ippolito (nome greco derivante da ‘hippos’, cavallo, e ‘lyo’, colui che cavalca veloce). Un tempo, proprio il 13 maggio, contadini e pastori organizzavano sulla spiaggia di Torre Mileto il palio di Santa Maria di Devia. Ognuno preparava il suo cavallo a scatti, resistenza e velocità per vincere il primo premio consistente nel ‘palio’, ossia una stoffa pregiata a significare il mantello della Madonna. La partenza, infatti, coincideva con il luogo dove si era fermato il cavallo che aveva trascinato il pastorello.

L’ultimo palio si è svolto il 13 maggio 1949. Fu vinto dal cavallo di Matteo Torelli, soprannominato “Santë Petrë” (San Pietro). Per la competizione, i grandi agricoltori avevano addestrato quell’anno diversi equini e “Santë Petrë” aveva assoldato il miglior fantino, Antonio Passarini, che scelse, fra i cavalli addestrati, un trottatore veloce e resistente. Durante le prove, il cavallo frustato al galoppo subì, per il cambio di movimento e la fatica di correre sulla sabbia, forti contratture muscolari. Per una settimana gli furono massaggiate le zampe con olio di canfora che, insieme a qualche puntura praticata dal veterinario, servirono a rimetterlo in sesto.

Il tratto di spiaggia da percorrere era di circa 800 metri. Alla partenza il cavallo di “Santë Petrë” costrinse il cavallo di Vincenzo Monte, detto “Cordalenta”, montato dal figlio appena rientrato dal servizio di leva, a finire in mare dove un fosso valse a disarcionare il fantino (che vive, unico superstite, a San Paolo Civitate e ha fornito alcuni dettagli di questa rievocazione) e fermare il cavallo. Vinse agevolmente Passarini davanti al cavallo di De Luca, soprannominato “Cardinale”, genero di Matteo Torelli, che non gradì la sconfitta. Il cavallo del suocero sembrava indemoniato, tanto da continuare la corsa fin oltre il traguardo e costringere il temerario fantino a implorare San Michele. Per la cronaca, “Santë Petrë” risultò vincitore anche nella prova del tiro a segno. Prima del palio tutti si recavano in processione alla chiesa di Santa Maria di Devia e barattavano fra loro i prodotti dei raccolti: ciliegie, uova, fave e piselli teneri. Era, quella, la festa dello stare insieme, ottima occasione per dialogare, ridere e cantare in armonia.

Per diversi anni la corsa fu vinta dai cavalli di Vincenzo Monte-“Cordalenta”, agricoltore affittuario della tenuta Campanozzi, allenatore di cavalli scattanti e resistenti montati quasi sempre da Raffaele Penna, Emanuele Tiscia, scomparso il 20 febbraio scorso a 90 anni, e Antonio Passarini, il più scaltro e piccolo di statura. E così l’invito viene spontaneo: che tutti i proprietari di cavalli e scuderie decidano di riprendere questa bella tradizione, ripetendola ogni anno. Si potrebbe svolgere ancora il 13 maggio, in occasione dell’apparizione della Madonna, oppure il giorno di Sant’Ippolito, 13 agosto, o della Madonna dell’Assunta, 15 agosto. Servirebbe a onorare la località storica, violentata un mese fa da vandali (segui il link amaraterra.blogspot.it/2016/03/fotogallery-labbandono-totale-del-parco.html), e sicuramente sarebbe motivo di maggiore attenzione e richiamo turistico.

Antonio Monte

 Redazione (foto di Nazario Cruciano)

 

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