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26/01/2016

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ANGELA VENTURA NON È PIÙ FRA NOI

Clicca per Ingrandire Teresa Rauzino sciorinava le sue (dis)avventure esistenziali. Io l’ascoltavo, ma guardavo lei, Angela Ventura, l’84.enne peschiciana cittadina del mondo, forgiata nell’acciaio, testimone di un’epoca ‘triste’, quando le donne erano regine, ma solo della casa, perché dalla casa non si muovevano mai, e fuori delle mura domestiche comandava il marito. Era la sera del 5 novembre 2008. L’aula consiliare del Comune di Peschici, dove si celebravano le gesta di Angela, era gremita all’inverosimile. L’appuntamento ufficiale l’aveva voluto l’assessore alla Cultura del tempo, Leonardo Di Miscia. Un omaggio a colei che aveva dimostrato quanto pure le donne di anni non precisamente ‘luminosi’ per loro - almeno a certi livelli sociali, - possedessero in capacità di reggere le redini, impegnarsi, inventarsi e reinventarsi, gestire una conduzione familiare anche o specialmente quando il perno rotante di un “modus vivendi” fosse venuto meno.

La guardavo mentre la Rauzino, relatrice della serata, snocciolava episodi, avvenimenti, aneddoti, memorie, non sempre belle e gratificanti, riportati con fedeltà storica nella autobiografia della 84.enne e stampati in poche copie da distribuire ai parenti affinché i ricordi non morissero, affascinante testimonianza di una rappresentante del gentil sesso che aveva fatto del proprio sesso una bandiera: di vita, di esperienze, di impennate e improvvise voragini, di salite e discese incontrate lungo un percorso duro, quasi mai appagante, meno che nei momenti in cui occorreva rialzare la testa e venir fuori da situazioni che, se fossero diventate una briciola più disastrose, avrebbero precipitato tutti nel nulla.

La relatrice parlava di vita, di morte, di acqua alla gola, di tradimenti sociali, di carcere, di ricatti, di guerra, ma anche di fidanzamenti, matrimoni, nascite, viaggi, titoli di studio conquistati in tarda età, voglia di partecipare agli altri il personale vissuto tanto da imparare a usare il computer, desiderio di non cristallizzare i neuroni e favorire le sinapsi al limite delle proprie capacità. Dipanava un vissuto da saga, da pellicola cinematografica, debordante dalla consueta quotidianità di una donna del Sud e straripante in evoluzioni mercantili degne del miglior manager-maschio… e io guardavo lei, Angela. E dietro i suoi eleganti occhiali, vedevo palpebre abbassate in un innato esercizio di modestia velata dalle scene che le si andavano presentando nella memoria quasi le rivivesse nel medesimo istante della narrazione.

Non un cenno della testa ad assentire o accompagnare la rievocazione, quasi gli eventi fossero lontani da lei o a lei non appartenenti. Eppure tutto del suo viso denunciava quanto li stesse ripercorrendo: l’incarnato leggermente arrossato dall’emozione, il sorriso appena accennato su labbra di giovinetta, ma soprattutto i suoi occhi protetti da palpebre che non si spalancavano mai fino a quando il racconto disvelava le sue ambasce di fanciulla chiamata a un dovere più grande di lei; o le fibrillazioni cardiache per uno sguardo maschile; o il panico di un naufragio e la morte vicina che stava per ghermirla; o il distacco traumatico e violento dalla carne della sua carne e il prematuro addio al sangue del suo sangue; o il terrore di non poter rispettare i patti di un acquisto rateale; o la soddisfazione di risollevare le sorti di una famiglia, la sua, minacciata dall’animalesca brutalità umana con un colpo di genio che la fece inventrice di se stessa e di chi le stava accanto.

E mentre la osservavo, da lei partivano raggi di vitalità quieta, dominata e quasi frenata da esperienze irripetibili, guidata dalla saggezza di anni veramente quanto intimamente vissuti e non strascicati nel tempo dal consolidamento di una tradizione tutta meridionale. Da lei esplodevano in un silenzio assordante le energie di una donna che non si era lasciata travolgere dalle violenze della vita, mai abbandonandosi allo scoramento. Così, lei appariva ai miei occhi come un vulcano spento ma ancora e sempre pronto a manifestare e dimostrare la propria possanza. Angela Ventura, che nel nome aveva per intero ogni sfumatura della sua essenza e nel cognome la personale realtà, viveva il suo ennesimo momento di gloria con la stessa semplicità usata nel raccontarsi, aliena dal drammatizzare anche quando i segmenti dei suoi anni giovanili stavano per affondare nella totale distruzione, senza avere autentica cognizione delle gravità che erano state lì lì per travolgerla, un po’ perché ormai superate, molto perché sorretta da una forza d’animo intrinseca al suo temperamento.

Angela Ventura era "vecchia di anni", come affermava, ma non era vecchia lei. Era - ed è, ancora oggi che non c’è più - difficile non volerle bene. Come altrettanto difficile era augurarle “cento di questi giorni”, perché erano pochi, troppo pochi per chi si era conquistata l’eternità nella memoria dei congiunti e di chi l’avesse conosciuta a fondo. Angela Ventura viveva, vive e vivrà per sempre, anche adesso che ci ha lasciato per andare a raccontare ai suoi omonimi un vissuto che non ha paragoni in nessuno di coloro che ci hanno sfiorato nella vita. Ciao, Angela, che la nuova sistemazione ti sia lieve.

Piero Giannini


LE SCHEDE (dalla cronaca dell’epoca a firma di Gianluigi Cofano)

A - LA PROLUSIONE DI LEONARDO DI MISCIA (sintesi) = “Angela Ventura dice di essere ambiziosa, perché nella vita ha avuto una insopprimibile voglia di sfondare. Per lei ambizione significa credere in se stessi. Dichiara di essere stata il somaro della famiglia e non ha alcuna vergogna interiore ad aggiungere di essere stata quella che in ambito familiare tira il carretto ... Era davvero innovativa l’idea che la Nostra ebbe nel 1950, in un contesto come quello garganico dove l’economia era legata all’agricoltura e alla pastorizia, allorquando decise di acquistare una macchina per fare le maglie, che poi rivendeva ai negozi.

“Siamo indubbiamente di fronte a un pensiero proteso alla creazione d’impresa, in anticipo sui tempi. Angela è poi una donna animata dalla voglia di studiare. Frequenta infatti i corsi della Scuola Radio ‘Elettra’ di Torino e quelli di ricamo organizzati dalla Singer, impara a fare la sarta e a 65 anni prende la licenza di Scuola Media inferiore. Questo vuol dire avere il gusto dell’apprendere e la voglia di conservare il proprio cervello attivo. Quello che viene fuori dal manoscritto della Ventura è la forza vitale interna che spinge una persona non solo ad andare avanti e a sopravvivere, ma anche ad arrivare prima nella vita”.



B – LA PRESENTAZIONE DI TERESA RAUZINO (sintesi) = “Il manoscritto della Ventura costituisce un’ottima occasione per i giovani di oggi (i quali vivono in prevalenza fuori dalla memoria storica) per conoscere le storie delle persone a loro vicine e appassionarsi al passato storico. Angela Ventura offre nelle sue pagine uno spaccato della vita di Peschici dal Ventennio fascista fino ai giorni nostri. Nel manoscritto notiamo come la microstoria individuale si collega alla storia nazionale. Vediamo, quindi, come Angela segue il marito andato sotto le armi prima a Taranto, poi a Napoli. Ci rendiamo conto di come, nell’immediato dopoguerra, la coppia fosse rimasta vittima di una specie di congiura ordita da coloro i quali non volevano che il marito facesse il sindacalista, difendendo i diritti di contadini e operai.

“Successivamente assistiamo ai loro spostamenti per lavoro, prima a Biella, dove Angela si specializza nella maglieria, poi in Venezuela e in Germania. Non possiamo che ammirare il coraggio che la porta a lavorare per ventidue ore al giorno, per risalire la china, coprendo tutti i debiti e ponendo le condizioni per poter comperare una propria abitazione. Non possiamo che lodare l’entusiasmo con cui apprende le tecnologie più moderne e amplia le proprie conoscenze. A coronamento di una vita di sacrifici, Angela apre infine a Peschici l’albergo ‘Panorama’, avvalendosi del contributo della Cassa del Mezzogiorno. Degna di ammirazione è dunque la forza d’animo da lei dimostrata nei momenti drammatici della sua vita”.


 Redazione

 

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