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18/01/2016

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QUANDO I SALOTTI CULTURALI FUNZIONANO

Clicca per Ingrandire Ho letto da qualche parte che Palazzo Recupero (foto 2 sotto; ndr) di Martina Franca, ultimato tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo successivo, si caratterizza per il rosso pompeiano spalmato sulla facciata. Il vicepresidente dell’Associazione Regionale Pugliesi di Milano, Francesco Lenoci, mi ha descritto gli interni con l’entusiasmo che gli è congeniale. Io purtroppo questo edificio non l’ho mai visto. Ma mi propongo di colmare al più presto la lacuna. Anche perché ne sento tanto parlare, soprattutto per il salotto culturale che Teresa Gentile (foto del titolo e 1, con Lenoci) vi ha da tempo insediato. Ed è di questo che ho voglia di parlare, perché mi piacciono i luoghi in cui le persone s’incontrano, discutono, offrono le proprie esperienze e ne ricevono, si confrontano, si raccontano con schiettezza, espongono le opere che hanno realizzato e meditano su quelle degli altri. In una società come la nostra, disarticolata, poco comunicativa, in cui molti di noi sembrano deserti senza oasi, il salotto di Teresa è da ammirare.

Vi si ritrovano poeti, come Benvenuto Messia, Cinzia Castellana, Giovanni Nardelli, Antonio Martino Fumarola, Rosa Muraglia, Rosa Maria Vinci, Francesco Locorotondo… E insegnanti, giornalisti come Regina Resta, musicisti e cantanti come Egidio Cofano, Gianni Nasti, pittori come Enza Zizzi… E anche ex presidi come Marino Ceci, che canta, suona il pianoforte e altri strumenti, ha diretto “band” e aspira a comporre una colonna sonora per un film (gli auguro di realizzare il sogno). Lo stimo molto e gli voglio bene: sentimento dovuto anche al fatto che, quando lui aveva cinque anni e io dieci, abitavamo uno di fianco all’altro. L’ho ritrovato dopo settant’anni e passa, e mi ha ricordato che non giocavo mai con lui. Come potevo? Ero un piccolo campione alla “livoria”, che si svolgeva sul marciapiede di fronte, in terra battuta e più largo della strada, e lui non aveva l’età per gestire le sfere d’acciaio di provenienza americana.

Superata la divagazione, torno al salotto di Teresa, una signora dalla voce carezzevole, capace di sorrisi luminosi. Ho seguito tramite cellulare da Milano, per una decina di minuti, la serata del 30 dicembre, dedicata alla presentazione del volume “Scrigno di emozioni”, prodotto appunto dal salotto. E ho ascoltato le ultime battute del mio amico Francesco Lenoci, incaricato di esporre questo libro polifonico: ricco di versi, testi in prosa, fotografie, dipinti di Grazia Annicchiarico, Antonietta Cantore, Isabella Casaluce, Immacolata Zabatti, un interessante testo di Piero Marinò su “Martina barocca e rococò”, una silloge di Giovanni Monopoli “Viaggio nella natura”, l’immaginifico racconto di Francesco Lenoci “Se don Tonino Bello visitasse Expo 2015”, e giudizi, commenti, biografie...

Francesco Cofano ricorda le poesie scritte nel 1923 dal suocero, di professione barbiere, dalle quali si deduce che all’epoca gli artigiani recitavano versi o suonavano strumenti musicali, inducendo i giovani a creare “ogni forma di bellezza, perché essa si mutasse in rispetto e quotidiana conquista interiore”. Leggo con piacere di Cinzia Castellana “L’alba di un giorno nuovo” (“Si mostrò così l’amore / quando sulla terra / decise di regnare…”) e “I ficazzèdde”, seguiti da “Nu zùnbe addrète”. Osservo Benvenuto Messia in una significativa immagine che lo coglie con Lino Banfi in una scena dello sceneggiato televisivo “Un medico in famiglia”, e assaporo il suo “Ecologia è vita”. Poliedrico Benvenuto, simpatico, divertente, mattatore. Giovanni Nardelli celebra il vino e gli scalpellini di Martina, veri artisti della pietra, e traduce in versi il lavoro del garzone del caffè.

Sono tante le composizioni contenute in questa interessante antologia. Vi incontriamo anche autori stranieri, come la poetessa albanese Kizela Kurushi, Muachigombana Massingue che vive in Mozambico, Ana Stoppa “alter ego” brasiliana di Teresa Gentile. “Scrigno di emozioni”, nelle sue 315 pagine in carta patinata, accoglie scritti in lingua e in dialetto, facendo la felicità di Francesco Lenoci, docente all’Università Cattolica e “patriae decus” della città del Festival, del Rococò, del Capospalla, del Capocollo. Qui giustamente ne è stato tracciato il profilo di professore eccellente, martinese doc, diffusore itinerante di cultura, artefice su Facebook di un gruppo di innamorati come lui del dialetto, di tutti i dialetti. Ogni occasione per lui è buona per esaltare il dialetto, seguendo il cammino poetico di autori di notevole valore: sia che ridestino il proprio passato, sia che cantino l’amore, sia che esprimano la rabbia o l’amarezza per un mondo che si capovolge, sia che decantino la bellezza che ci è stata regalata da Dio, sia che invochino l’integrazione sociale.

Teresa Gentile li riceve con grazia. Grande è il suo merito di aver fatto di Palazzo Recupero un laboratorio, una fucina, dove i poeti declamano le proprie opere, cantano, danzano (come Cinzia Castellana). Marino Ceci, richiesto e applaudito, suona al piano i suoi brani e quelli classici. Benvenuto Messia recita i suoi versi brillanti, come quelli dedicati ai “cappottari” o al marito “nobilitato” dalla moglie, con una classe raffinata. Ho ancora nelle orecchie il ritmo della poesia di Giovanni Nardelli sulle “pàlle ‘mbucàte” (come a Taranto si indicano ironicamente le polpette). La sera precedente quella di fine anno Palazzo Recupero era più affollato del solito: il pubblico straripava. Se si vuole davvero migliorare il mondo, ha detto Francesco Lenoci, occorre stare vicini gli uni agli altri, progettando insieme, camminando insieme, sacrificandosi insieme. Il dialogo è importante, l’ascolto dell’altro aiuta a cambiare le coscienze, a realizzare la “convivialità delle differenze” tanto cara a don Tonino Bello.

Ecco il significato del salotto culturale di Palazzo Recupero, un meraviglioso progetto per chi crede nella luce del suo talento e, con umiltà, sa acuirlo, per esprimere al meglio la sua idea di bellezza.

Franco Presicci


 Redazione

 

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