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04/06/2014

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TRASCENDENZA: IL “NULLA” E IL “TUTTO”

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Fenoneno? Evento? Liturgia? Appuntamento esistenziale sollecitato da crismi di causa-effetto con il loro complicato coacervo di regole e principi? Trasferimento dell’ego più profondamente viscerale mirante a una dimensione impossibile, esoterica, atonica? Trasmigrazione di essenza dal materiale all’immateriale? No, nulla di tutto ciò nei lavori di Lidia Croce, eppure “tutto” di tutto ciò. Un “Nulla” che cassa dall’ardesia del vissuto quotidiano ogni significato, ogni definizione, ogni teorema, ogni ammennicolo, e un “Tutto” che si riappropria di ciascun significato, ciascuna definizione, ciascun teorema, ciascun ammennicolo. Nucleizzandoli. Il “Nulla” e il “Tutto”, sommati, si eliderebbero; al contrario, nel caso dell’artista, vanno a costruire il suo particolarissimo ed esigentissimo mondo.

Sì, perché “il maestro” si autodistrugge (il “Nulla”) allo scopo di raggiungere l’eccellenza (il “Tutto”). Si dilania, si màcera all’interno delle complesse pieghe della propria spiritualità, scardina ed espelle da sé ogni orpello mondano in una sorta di masturbazione dell’anima, sì da farsi coinvolgere e dunque travolgere dalla tacita quanto feroce emozione del raptus ispiratorio. Prima si annulla, si annienta, si demolisce gli effimeri castelli salottieri, quindi si esalta, si libra nell’immenso, indossa livree catartiche e oltrepassa, sconfina, supera… trascende!

Così nascono le opere di Lidia Croce. Così è nata “Morte e Resurrezione”. ‘Summa’ cosmica, grandiosa, pangeatica del suo ’modus operandi’. Se il lavoro necessitasse di un sottotitolo, quale miglior sostantivo se non “Trascendenza”? Davanti alla tela, in effetti, non sei colpito dalla sua ‘immanenza’. Anche se respiri impotenza, non riesci a restartene algido di fronte alla condizione risolutoria e permanente chiusa all’interno di ciò che gli occhi vedono, inducendoti invece a viaggiare al di là del ristretto e ben definito ambito del soggetto proposto, della visione pura e semplice. Ti trasporti pertanto verso una realtà che si muove oltre la volgare (intesa come popolana, comune) sensibilità. Una realtà non fine a se stessa, piuttosto da intendere come ‘qualità’ che porta ‘in nuce’, parafrasando Kant, la funzione costitutiva della finitezza umana.

L’acuto osservatore del dipinto, quale individuo temporalmente obbligato in apici predefiniti, scopre quindi il proprio confine-limite (la propria ‘finitezza’) non riuscendogli possibile la razionale oggettivazione di quanto sta assistendo. In contrapposizione avverte la ineludibile pulsione di aprirsi e dirigersi verso la necessità di ‘andare oltre’. E soccombe, costretto ad accettarla. Da qui, l’impellente urgenza: limitare il generalismo, o non accontentarsene, e affidarsi, soggiacere, al gusto e al piacere del particolare. Oltre che nel loro insieme, infatti, le opere della Croce vanno osservate, esaminate, analizzate, percorse, area per area, zona per zona, settore per settore, fascia dopo fascia, particolare dopo particolare, porziuncola dopo porziuncola. Non ci si può esimere da tale processo, in quanto ogni sezione (artificiosamente creata e ricreata decine di volte - il pc sa fare miracoli) ha il suo… significato? No, segreto! Così, guardando l’ensemble di “Morte e Resurrezione” si rintraccia il senso del lavoro nel suo complesso, passando alle singole porziuncole si svela ciascuna delle vibrazioni che hanno animato l’artista nell’atto della creazione.

L’ENSEMBLE = Primo impatto: sconcertante! Una solida mensola massiccia (di ulivo quando il bozzetto diverrà, in terracotta o in bronzo, scultura per altare, sulla quale è poggiato il calice dell’eucarestia), necessario crinale di separazione di due figure, distingue le due dimensioni: il corpo di chi si rivolge, consapevole (il volto lo tradisce), al vicino dissolvimento cellulare, in tonalità azzurro carico, e il corpo di chi vola (l’accenno di un’ala a sostituire il braccio sinistro lo suggerisce) … trascende … destinazione l’Eterno. Dall’intreccio dei quattro arti inferiori - immersi in una sfilacciata liquidità amniotica ancestrale, - il primo ‘esala’ con l’ultimo sospiro il secondo corpo. O non-corpo? Difficile rispondersi: l’immagine, salvo la colorazione in azzurrino tenue e morbido, non è in dissolvenza, sfumata, come ci si aspetterebbe per un’anima che abbandona l’involucro terreno. L’immagine è netta, pulita, dal volto su cui è perfino comprensibile leggere la sorpresa del momento esiziale e l’attesa di quanto lo aspetta. Netta come la sua matrice, nel perfetto brand dell’artista: scioccare! Il suo messaggio preferito, legato all’altro, più confessionale: “Io ci credo!”

LE PORZIUNCOLE = Alcune le abbiamo sfiorate nell’ensemble. Meritano un approfondimento. I volti: c’è una certa durezza, ma non totale, nel profilo greco di chi si sta allontanando per sempre. Ha in parte accettato il suo destino, però non gli è del tutto congeniale (“padre… perché mi hai abbandonato”). Gli occhi, ovviamente chiusi, hanno terminato la loro funzione. Il corpo, prono, è snello e muscoloso, giovane, ‘forse’ 33enne, e scivola verso il basso, quasi un tuffo nell’ignoto, laddove il blu si fa più cupo. Dalla vita in giù è ancora allacciato all’altra figura tramite tentacoli di un blob ameboide o lembi di una sindone lacerata. Non per rifiutare la dipartita e produrre un ultimo tentativo per aggrapparsi alla vita, piuttosto perché è l’altro che non ha ancora chiaro il suo futuro. In questo, infatti, nelle linee del volto, non regna gaiezza, appagamento, compiacenza, bensì una avvisaglia di precarietà. “Sono o non sono… e chi sono”. Lo saprà solo quando le sue gambe si districheranno dagli arti di chi resta, liberandosi dai brandelli di un sudario diventato inutile.

Alcuni segnali per noi incomprensibili, in quanto non-spiegabili o incapaci (per nostra insufficienza) di offrirci una luce: un cuneo sotto i pettorali del corpo che s’invola, una maniglia sul fondo del sarcofago, il calice semivuoto non accostato al pane (assente); con altri, più palesi ma ugualmente ammantati di recondito contenuto: la mezza punta di una lancia sugli addominali, quasi sproporzionato bisturi… lanciano i messaggi della Croce. Tutti indici di ‘moniti’ rivolti allo spettatore, di inviti a interrogarsi, da parte dell’autrice, fedele al suo stile, spesso criptico, non solo nel tratto. A ciascuno il compito di cercare e trovare risposte adeguate per la fruizione totale dell’opera.

Piero Giannini


1ª NOTA = Questa tela è solo un veloce bozzetto (non un dipinto finito) per un altare sacro. Può essere realizzato come scultura in terracotta o in bronzo (alta 2,30 metri e lunga 1 metro). La composizione consta di due figure rappresentanti la storia di Gesù i cui momenti salienti sono espressi nel decadimento del corpo fisico e nella resurrezione. Morte e rinascita di ogni uomo, sia metaforicamente nella fede sia simbolicamente nello spazio-tempo di un giorno: scendere nei bui abissi del dolore quotidiano o risalire nell’esaltazione di una gioia improvvisa. La materia realizza con la forma il pensiero che la sovrasta.

La scultura non è decorativa all’altare ma essenziale per esprimere il concetto stesso del rito messianico ed è un tutt’uno con l’altare stesso, che si regge da un lato inserendosi proprio nel corpo scultoreo. La mensa, in tavole d’ulivo come in quei tempi (lunga almeno 3 metri) è semplice, rifiutando il sontuoso marmo. La scultura è valida anche per una piazza, facendoci riflettere sul breve ciclo delle nostre vite che, almeno spiritualmente, divengono eterne con la fede nella resurrezione.

D’altronde, l’approccio umano alla trascendenza, sia nelle arti sia nella letteratura, è continuo nel tempo. I tentativi di avvicinarsi ai misteri dell’universo portano scrittori, artisti e musicisti a realizzare manufatti (come questa scultura) che non sono la verità conclusiva, ma forse uno scalino, pallido e incompleto, che ci avvicina al raggiungimento di una dimensione misteriosa e spirituale che s’interseca col quotidiano. (Lidia Croce)

2ª NOTA = Nella chiesa di San Nicola di Mira a Rodi Garganico, il parroco don Michele Pio Cardone ospita il bozzetto di arte sacra di Lidia Croce intitolato “Morte e Resurrezione”. La composizione consta di due figure rappresentanti morte e rinascita della fede in Cristo, foriera di portare o alla macerazione del peccato o alla sublimazione dell’essere. Lo spartiacque è la ‘mensa’ in tavole d’ulivo, semplice come ai tempi di Gesù, gradino della scala spirituale che può precipitare alcuni nel dolore quotidiano della separazione, altri nell’ascensione dell’unione al principio. (Maria Maggiano)

 Redazione

 

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