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03/04/2014

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MA LA PAPOSCIA È VICHESE O PESCHICIANA?

Clicca per Ingrandire VICO DICE: “PANE NOSTRUM… PAPOSCIA” = Gli studiosi della nutrizione si azzuffano ancora oggi: non è pane, non è pizza e neanche focaccia o focaccina, è tutte queste cose insieme, è la paposcia semplice, comune, essenziale. Si ricava da una noce di pasta di pane lievitata, schiacciata, allungata, e subito passata al forno per la cottura a fuoco vivo. Gli ultimi fornai, quelli prima dell’arrivo dei forni elettrici, dicono che la cottura della paposcia era un’anteprima per verificare la lievitazione della pasta e la temperatura del forno a legna. Il lievito e il forno fanno il miracolo di gonfiarla, quando il calore raggiunge il paglierino e il vapore sbuffa dal di dentro allora è pronta. Questa è la paposcia: pane nostrum di Vico del Gargano.

Il 1996 nasce a Vico il “Club della Paposcia”. Qui ogni socio si inventa una farcitura per il palato, ma i canoni della paposcia restano sempre quelli tradizionali: sale e olio extravergine di oliva, qualcuno preferisce il cacioricotta nostrano con una fogliolina di rucola e poi, via via, tutti quelli della globalizzazione, ma sempre accompagnata da un bicchiere di Zagarese o Macchiatello, due eccellenti vini delle nostre colline. Non c’è nulla da chiedere segreti, tecniche, ricette, intrugli. È un processo d’artigianato silenzioso, solitario, nessun mistero per ingredienti, dosi, tempi, pazienza, gesti, fuoco e profumo.

Per difendere e conservare questa prelibatezza l’Amministrazione vichese (Assessorato Agricoltura e Ambiente) ha inoltrato alla Regione Puglia richiesta di riconoscimento di prodotto tradizionale da forno con denominazione: “La Paposcia di Vico del Gargano” (Pizzicato EcO Bed&Breakfast),


PESCHICI (SULLA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO… pare) RILANCIA: “I MILLE SAPORI DELLA ‘NOSTRA’ PAPOSCIA” = I peschiciani non ci stanno e al tempo del sindaco Vecera (‘sembrerebbe’) - a meno che riferirsi a un ex primo cittadino non sia una spia per far capire che trattasi di un ‘pesce d’aprile, visto che la diatriba è nata proprio il primo del mese su Infoeventi-pagina facebook - rivendicano la paternità della ‘pizza alla vampa’: “I Vichesi ci hanno rubato un nostro prodotto. Faremo ricorso al Parlamento europeo se necessario”. E giù una breve storia della paposcia ‘peschiciana’, focaccia conosciuta anche col nome di ‘pizza škettë’ o ‘pizza a’ vampë’. La storia narra che venisse già utilizzata nel 16° secolo e consumata in attesa che le pagnotte di pane diventassero raffermo.

Il pane è sempre stato l’alimento principale del sostentamento dei contadini peschiciani, infatti pagnotte grandissime da due o cinque chili dovevano essere sufficienti a sfamare la famiglia per una settimana o perfino per quindici giorni, e proprio in quella circostanza veniva preparata la paposcia. Infatti, questa suprema squisitezza nasce dall’esigenza di verificare se la temperatura del forno fosse giusta: levato l’impasto usato per le pagnotte di pane, la pasta che rimaneva attaccata alla madia (la cosiddetta “fazzatura”) veniva raccolta, impastata, allungata con le mani fino a venti-trenta centimetri, infarinata e posta nel forno per pochi minuti, prima delle pagnotte di pane, in quanto la tenuta della paposcia alla buona cottura indicava la buona riuscita del pane.

Questa striscia di massa non veniva buttata, anzi, una volta tagliata a metà era condita con un filo d’olio e formaggio fresco locale. Questo piatto tutto garganico è davvero eccezionale, frutto di antiche tradizioni contadine, non a caso lo ‘Slow Food’ ha deciso di istituire un presidio per salvaguardarla, come già fatto per arance, caciocavalli podolici e anguille di Lesina. Da diversi decenni la paposcia è destinata al mercato sia invernale sia estivo nei centri più importanti del Gargano Nord e provincia di Foggia. La forma allungata e schiacciata, somigliante a quella di una pantofola, ne fa provenire il nome: ‘babbuccia’, ‘babouche’ (in francese), paposcia in dialetto.

Per prepararla si utilizza farina tipo 00, acqua, sale, olio extra vergine di oliva proveniente da ulivi monumentali di Peschici e la ‘crescenza’ (lievito naturale che la rende morbida con due ore di lievitazione). La cottura è ‘al mattone’ (con forno a legna di faggio) per quattro minuti con fiamma viva. Prodotto nel rispetto della tradizione, conserva intatti profumo e fragranza di una volta, e resta l’alimento la cui tipicità è tutta da scoprire e gustare. Ottime caratteristiche organolettiche, totale assenza di grasso e studi effettuati hanno confermato la validità come prodotto da mensa. E’ ampiamente commercializzata in panifici, forni e pizzerie di Peschici e Foggia, nei ristoranti, hotel e alberghi a livello garganico e provinciale.

Questa tipologia di mercato registra un crescente trend positivo dei
prodotti derivati dalla lavorazione artigianale. Le paposce possono presentarsi secondo una delle seguenti forme: intere (con o senza condimento), farcite, dimezzate, tagliate in più di quattro pezzi (all’incirca uguali). Per i diversi tipi di farcitura si annoverano:
paposcia alla peschiciana: olio d’oliva, rucola, formaggio (cacioricotta di Peschici);
alla contadina: olive in salamoia tritate, olio d’oliva, schegge di caciocavallo;
del giardiniere: spicchi di arancia “bionda garganica”, spolverata di sale, olio d’oliva (l’arancia può essere utilizzata a spicchi o spremuta sulla paposcia);
alla peschiciana: alici marinate in succo di limone ‘femminiello garganico’, capperi, olio d’oliva;
del pastore: pomodoro tritato, mozzarella tagliata a fette, spolverata di sale, olio d’oliva e origano; ‘du spruatorë’: olio d’oliva, cacioricotta di Peschici, verdure di campo.

La speranza sta nel conservare intatte le caratteristiche di un prodotto tipico garganico e mantenere così vive le tradizioni di un territorio ricco di sapori e storia da valorizzare sicuramente meglio.

I COMMENTI DA VICO (fonte Facebook) = “Peschici può fare ricorso da chi vuole ma la Paposcia rimane vichese” – “Il sindaco Sementino si è già attivato presso il Tar di Bari per denunciare questo grave sopruso da parte dei peschiciani” – “Documentammo cento anni di storia della ‘paposcia’ per avere il riconoscimento dal Ministero come prodotto tipico di Vico. Comunque avrebbero potuto fare ricorso entro i tempi stabiliti dalla pubblicazione della Gazzetta Ufficiale, ora non è più possibile. Lavorammo molto per ricostruirne la storia e il riconoscimento ministeriale è l'inizio di un percorso che dovrebbe rivalutate i nostri ottimi prodotti nello scenario piu ampio di una gastronomia che veicola un turista attento e interessato” (Roberto Budrago)

“Questa è una notizia catastrofica, una di quelle notizie che cambiano il corso della storia: la paposcia non è di Vico ma di Peschici. C'è da dichiarare guerra a Peschici come si faceva ai tempi di Dante per questa appropriazione indebita. Il codice penale punisce i duelli come risoluzione di conflitti, altrimenti sfiderei l'amico Vecera al duello delle forchette. Basta leggere il mio articolo ‘Pane nostrum... paposcia’, pubblicato e premiato sul numero 6, anno 2 del mensile L'Adriatico” (Michele Angelicchio)

“E no! Diamo a Cesare quel che è di Cesare. La paposcia è nostra e non si discute” - “La paposcia di Vico, ripeto di Vico, è stata riconosciuta con decreto ministeriale 8663 del 05/06/2009. Inoltre è presidio Slow Food, che anche se non certificato, equivale a certificazione tipo Igp o Dop. Quindi i peschiciani possono pure fare ricorso a Papa Francesco se lo ritengono necessario”

“È interessante leggere che, ‘a pizza škéttë’ di Peschici venga cotta nel forno con sola legna di faggio... e d'altronde sono note le faggete peschiciane! Così come voler nobilitare la discendenza dal francese: in arabo si chiama ‘bâbusch’ la tipica pantofola con la punta all'insù ‘delli sarracini’ e in spagnolo si dice ‘baboscha’ per indicare la pantofola da camera! La paposcia (o meglio: ‘a paposcëlë’) ricorda molto il pane arabo e ricordo perfettamente mia nonna che cuoceva ‘a pruvaturë da massë’ dopo aver allargato la brace e pulito il piano nel camino ‘ntru cinnarilë’! E ancora: ma costoro hanno mai visto un forno per il pane? Altro che provare il forno prima di infornare il pane. Dovevano passare ore prima che la temperatura dei grandi forni vichesi si abbassasse per poter infornare il pane. E qui mi fermo, consigliando al sindaco Sementino (che non conosco e quindi che prenda ciò come un lezioso disquisire) di correre a brevettare un altro antico prodotto vichese: ‘a ranocchjë’, squisita e gioiosa variante della paposcia per i bambini (la paposcia prima di essere infornata veniva incisa alle estremità con la raditoia e le due appendici che si creavano venivano rigirate a formare una rana stilizzata) prima che i peschiciani se ne accorgano e, insieme alla ‘pizz a vampë’, si arroghino anche la paternità di ‘u rospë’!” (Rocco Hrokr Sgherzi)


NB. Il video della settimana (by Pizzicato EcO Bed&Breakfast) è dedicato alla prelibata sfiziosità.

 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 05/04/2014 -- 07:20:58 -- vincenzo

... E Rodi rimase a guardare, come una statua di marmo! Questa mi pare un'altra di quelle sciocche diatribe tra cittadine garganiche aventi, più o meno, radici quasi comuni e che, comunque, durante i secoli (non i giorni dei MASS MEDIA), hanno avuto frequenti e forse quotidiani interscambi culturali, inclusi quelli riguardanti la culinaria. Chi si è premurato di effettuare la ricerca della "papòsc" non si è minimamente peritato di chiedere a se stesso, prima ancora che ai vecchi dei centri abitati garganici, se davvero si potesse accampare la pretesa dell'originalità di questo prodotto, prima di tutto agreste! A Rodi, esisteva, molto prima che venissi a conoscenza della "paposc", U VòNGH'L' (il nome è comune con il baccello delle fave). Mia madre lo preparava (in genere, non ne veniva fuori più di uno, dopo aver "grattato" le pareti della madia - 'A FAZZATòR'),...

-- 05/04/2014 -- 08:15:00 -- vincenzo

2)... non certo per provare il forno, che era pubblico, ma per recuperare i residui della pasta lievitata. Lo si mangiava, in genere, caldo caldo senza nemmeno condirlo. Dopo un certo periodo di "assenza" (a causa della chiusura dei forni a legna), l'ho rivisto, alcuni anni fa, nei nuovi forni di Rodi... Sull'esempio di Peschici e di Vico (a Foggia, ed altrove, è stato sicuramente importato da NOSTRO Gargano!), anche a Rodi pare che adesso lo mangino farcito, non secondo una specifica determinata tradizionale ricetta, ma a propria fantasia, a proprio gusto.

 
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