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06/01/2014

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ALZHEIMER: KILLER SOTTO TIRO

Clicca per Ingrandire A seguito di uno studio effettuato su anziani veterani degli Stati Uniti, è stato recentemente scoperto che alte dosi di vitamina 'E' possono ritardare il declino della malattia di Alzheimer da circa sei mesi a un periodo di due anni, nelle abilità della vita quotidiana come la preparazione dei pasti, vestirsi, effettuare una conversazione. I ricercatori del Sistema Sanitario di Minneapolis sono convinti nell’affermare che la vitamina potrebbe rallentare la progressione dell'Alzheimer lieve-moderato essendo la prima volta che un trattamento dimostri di alterare il corso della demenza in quella fase.

Lo studio pubblicato dal Journal of American Medical Association, sponsorizzato dal Dipartimento degli Affari dei Veterani degli Stati Uniti e condotto su più di 600 veterani anziani, è arrivato a concludere che il beneficio è equivalente a mantenere una abilità principale che altrimenti sarebbe andata perduta, come la possibilità di fare il bagno senza aiuti. Per alcune persone potrebbe significare vivere in modo indipendente piuttosto che necessitare il ricovero in una casa di cura.

La vitamina 'E', però, non ha mantenuto le abilità del pensiero e non andrebbe bene per pazienti che abbiano assunto altri farmaci per la cura dell’Alzheimer. Ma quelli che assumevano la vitamina hanno richiesto aiuti minori. “Non è un miracolo o, ovviamente, una cura - ha detto il capo dello studio, il dottor Maurice Dysken. - Il meglio che possiamo fare a questo punto è rallentare la velocità di progressione”. I medici hanno tuttavia esplicitamente avvertito che nessuno dovrebbe correre a comprare la vitamina E.

Secondo altri studi, comunque, non si è riusciti a impedire che persone sane sviluppassero demenza o ad aiutarne altre affette da insufficienza lieve ("pre-Alzheimer"). Addirittura un'altra ricerca ha suggerito che la somministrazione di vitamina 'E' potrebbe essere dannosa. Eppure molti esperti hanno plaudito ai nuovi risultati seguiti a tanti recenti flop di farmaci che si ritenevano promettenti. Molto entusiasta dei risultati dei test in questione è invece il dottor Sam Gandy della Mount Sinai School of Medicine di New York che ha dichiarato: “Questo è veramente un passo avanti e ci porta verso l'obiettivo sul quale abbiamo lavorato per quasi tre decenni: il primo vero intervento che modifichi la progressione dell'Alzheimer”.

I ricercatori ancora non hanno piena contezza di come agisca concretamente la vitamina 'E', ma è noto che la stessa sia un antiossidante naturale - già trovati nel vino rosso, nell'uva e in alcuni tè - in grado di aiutare a proteggere le cellule dai danni che possono contribuire ad altre malattie, come affermano autorevoli fonti mediche. Molti alimenti contengono vitamina 'E' (noci, semi, cereali, verdure a foglia verde e oli vegetali) in svariate forme, tanto che lo studio in oggetto ha testato una versione sintetica di alfa-tocoferolo in grado di avere valenza farmaceutica.

La ricerca di cui si argomenta giunge fra l'altro dopo che nei giorni scorsi è stato pubblicato sulla rivista Nature Neuroscience uno studio che avrebbe dimostrato la precisa individuazione dell'area neurale dove nasce e si diffonde il morbo di Alzheimer. I ricercatori del Columbia University Medical Center hanno rilevato che la scoperta potrebbe portare a un metodo di diagnosi precoce e magari, un giorno, a un intervento terapeutico anticipato in grado di bloccare la malattia. Finora era noto che il morbo avesse origine in una zona della corteccia cerebrale chiamata corteccia entorinale. Ma adesso gli scienziati americani hanno scoperto esattamente dove tutto ha inizio e come si diffonde nel resto del cervello.

Utilizzando una versione ad alta risoluzione della risonanza magnetica gli esperti hanno visto che la malattia inizia con l'accumulo di proteine tossiche nella 'corteccia entorinale laterale', zona particolarmente sensibile a tale accumulo, che per di più è la 'porta d'ingresso' verso l'ippocampo, il centro della memoria. La risonanza ad alta risoluzione ha ripreso i primi danni visibili perché, appena ha inizio la demenza, il flusso di sangue che irrora quella particolare zona comincia a ridursi, segno di alterato metabolismo cerebrale. Gli studiosi hanno arruolato 96 anziani e li hanno monitorati per una media di tre anni e mezzo. I partecipanti, tutti sani all'inizio dello studio, hanno nel corso del tempo cominciato a manifestare i primi segni di lieve declino cognitivo, anticamera della demenza.

Circa 35 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da demenza senile e il morbo di Alzheimer è la tipologia più comune. L’inesistenza di una cura - le medicine attuali possono solo temporaneamente alleviare i sintomi - comporta che non solo chi è colpito dalla malattia ne subisca conseguenze tali da portarlo a un decadimento progressivo fino alla morte, ma anche i familiari che devono assisterli. È pertanto difficile stimare, per la loro enormità, i costi sociali che la malattia porta ai sistemi di welfare, ma è ovvio che la scoperta di una cura efficace potrebbe, da una parte, portare sollievo a milioni di persone nel mondo, ma anche ridurre notevolmente la spesa pubblica sanitaria a livello globale.

Giovanni D'Agata*


*Presidente “Sportello dei Diritti”, associazione che si occupa anche della tutela degli ammalati di malattie neurodegenerative

 Redazione

 

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