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21/12/2013

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QUANDO PESCHICI ERA TERRA DI ARTISTI... DELUSI

Clicca per Ingrandire Alan Fletcher (Kenya, 27 settembre 1931 - Londra, 21 settembre 2006 = foto del titolo; ndr) è stato, negli ultimi cinquant’anni, uno dei più straordinari progettisti sulla scena internazionale del design. Aveva la non comune abilità di trasformare le piccole cose in progetti visuali significativi: da una macchia di caffè su un tovagliolino di carta a un segno di penna sul suo inseparabile sketchbook (album degli schizzi). Mosso da una straordinaria passione e una completa identificazione nel progetto grafico, Fletcher soleva ripetere: “Design is not a thing you do. It’s a way of life” (Il design non è una cosa da fare. E’ uno stile di vita). “Every job has to have an idea” (Ogni lavoro deve avere un'idea). In “Graphic Design: Visual Comparisons” del 1963 puntualizzava che qualsiasi problema grafico aveva un numero infinito di soluzioni; molte erano valide, ma dovevano derivare dalla natura del tema; il progettista non doveva avere uno stile grafico preconfezionato”.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, col suo particolare approccio, fu capace di fondere la tradizione della grafica europea con l’emergente cultura pop degli Usa, diventando il 'pioniere' per eccellenza del design grafico indipendente in Gran Bretagna. Il 1956 aveva sposato Paola Biagi e si era trasferito per una specializzazione all’università di Yale negli Stati Uniti dove incontrò Paul Rand e Joseph Albers. Iniziò la carriera a New York dove lavorò per “Fortune magazine”, “the Container Corporation” e Ibm. Tornato a Londra il 1959, avviò un piccolo studio con l'amico Colin Forbes. Fondatore della Fletcher/Forbes/Gill il 1962, ebbe fra i clienti più noti Pirelli, Cunard, Penguin Books, BP e Olivetti, per i quali creò logo irriverenti, intelligenti e spiritosi, che diventarono icone della grafica e del design. In seguito, il 1970, come partner fondatore di Pentagram, seppe coniugare il lavoro commerciale con l’indipendenza e la creatività.

Il 1970 disegnò la nuova immagine coordinata per l'agenzia di stampa Reuters. Il logo si ispirava al nastro delle telescriventi (macchine che venivano allora utilizzate per trasmettere le notizie internazionali): una griglia di ottantaquattro punti per evocare la società commerciale. Semplice e suggestivo, il logo è sopravvissuto fino al 1996 quando fu 'pensionato' perché i puntini erano poco visibili sullo schermo dei computer. Tra i suoi lavori più noti ricordiamo i loghi del “Victoria and Albert Museum”, del “IoD” per l'Institute of Directors, ancora in uso. Il 1992 lascia lo studio Pentagram e ne crea uno al pianterreno della sua abitazione a Notting Hill Gate, per dedicarsi “alla grafica e al disegno”, dopo i tanti anni passati a Pentagram a occuparsi, sempre di design certo, ma anche di budgets e business.

Il 1996, per realizzare il famoso manifesto del 50.mo anniversario della Vespa, girò con pazienza certosina tutte le vecchie tipografie londinesi alla ricerca di desueti e sbertucciati caratteri di scatola per ricomporre la parola e l’idea grafica della Vespa, lemma e icona al tempo stesso. Consegnò il progetto con un ‘esecutivo’ su cartoncino, debitamente protetto da una carta da lucido, con sopra le indicazioni per realizzarlo, colori Pantone inclusi. Nell’ultimo periodo della sua vita, diventa consulente (art director) per la casa editrice Phaidon press: vi pubblica i suoi libri: “Beware Wet Paint” (1996), “The art of Looking Sideways on Fletcher’s visual philosophy” (2001), il cui titolo riassume tutto il suo programma di vita, la sua 'way of life': la capacità (laterale) di mantenere uno sguardo critico, senza essere vecchio, sul mondo. L’ultimo libro, pubblicato da Phaidon, è “Picturing and Poeting” (2006). Tutti documenti straordinari delle sue ricerche grafiche durate una vita.

Negli anni Settanta amò soggiornare con la famiglia a Peschici, sul Gargano (foto 1-2 sotto). La casa del grande designer inglese - in un servizio datato marzo 1974 dal titolo “Come scavarsi una nicchia nel medioevo mediterraneo” della rivista 'Abitare' (n.123) interamente dedicata allo studio Pentagram (di cui era socio) - viene descritta così (foto 3-4-5):

«I criteri dell’abitare, che Fletcher insieme agli altri componenti del Pentagram ha applicato nel proprio paese e per la sua abitazione di città, li ha estesi anche in un paesaggio del tutto diverso da quello britannico, quale il Mediterraneo per la sua casa al mare. Nel cuore di Peschici, in Italia, Alan Fletcher ha sistemato una casa di pescatori ancora intatta, che gode della splendida vista del Gargano, nel modo più adatto a rispettare e a mettere in valore la particolare ricchezza formale e intelligenza razionale di questa architettura cosiddetta spontanea. Ad aumentare la preziosità degli ambienti, Fletcher ha aperto un arco tra due locali attigui, creando un’unica grande cucina-soggiorno. Semplici assi di legno servono per appoggiare piatti, vasellame, bottiglie. Il tavolo della cucina, dipinto di azzurro vivo, è stato acquistato sul posto.

«La casa si articola su due livelli. Una scala interna li mette in comunicazione. Al livello inferiore c’è la cucina, a quello superiore le camere da letto (due) e il bagno. Qui i pavimenti sono stati rifatti in piastrelle e sono stati creati i letti attraverso un semplice rialzo pure piastrellato del pavimento. Sul rialzo sono stati appoggiati i materassi. Gli ambienti sono arredati quasi interamente con oggetti trovati in luogo o fatti fare da artigiani locali: tali sono ad esempio le lampade - quelle usate per la pesca notturna, - le cassettiere e gli armadi a muro, le scaffalature della cucina, i cesti e i paralume in paglia. Altri oggetti, invece, frutto del più raffinato design sono le seggioline in ferro e tela ripiegabili, sono le lampade da tavolo, sono tante altre piccole suppellettili. Antico e moderno si fondono armoniosamente. L’ambiente nitido mette in risalto la forma 'spontanea' o 'colta' dell’oggetto e la inserisce in un linguaggio unitario espressione di una apparentemente comune e continua civiltà non solo formale».

Lo scrittore Francesco Paolo Tanzj, nel suo racconto-amarcord “La zuppa di Elia” (pubblicato il 25/05/2013 su puntodistella.it), a proposito della venuta e del soggiorno di Alan Fletcher a Peschici, riferisce la testimonianza del pittore milanese Luigi Bettini:

«Si presentò un giorno con la sua faccia da simpatico mascalzone con una vistosa cicatrice e una canotta stracciata. Sembrava un poveraccio poco raccomandabile. Poi scoprimmo che era un personaggio famoso, uno dei più grandi artisti dell’epoca. Ricordo ancora che era un appassionato di triglie alla livornese. In seguito rimanemmo legati a lui da una profonda amicizia. Più volte siamo stati ospiti a casa sua a Londra. Anche lui comprò una casa vicino alla chiesa di Sant’Elia, con una bellissima vista sul mare, dove veniva anche d’inverno insieme alla figlia fotografa. Un giorno però, tornando dopo un lungo viaggio per il mondo, trovò che avevano costruito abusivamente un piano rialzato proprio davanti a lui che gli avrebbe impedito per sempre di vedere la splendida vista della baia. Rimase talmente deluso e offeso da quest’atto mafioso e criminale che vendette subito la casa e non tornò più a Peschici».

In realtà, quella casa non è stata mai venduta, è ancora proprietà dei Fletcher. Raffaella, figlia di Alan, vi passa abitualmente le vacanze. Sarebbe interessante intervistarla, per farsi raccontare la verità sul rapporto che legò Alan Fletcher a Peschici. E sarebbe bello se il Comune di Peschici ricordasse il geniale designer inglese, e magari gli conferisse la cittadinanza onoraria, come ha fatto per Bortoluzzi e Conversano, due grandi artisti che hanno amato questa nostra Terra. Una cittadinanza, stavolta, solo alla memoria.

Teresa Maria Rauzino


PS. Ringrazio l’architetto Francesco Sessa per avermi segnalato e inviato le pagine del servizio della rivista ABITARE n. 123 marzo 1974, interamente dedicata allo studio PENTAGRAM di cui Alan Fletcher era socio.

 MAIL (foto tratte dalla rivista citata nell'articolo)

 

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