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25/05/2013

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LA LEGGENDA DEL VITELLO D”ORO DI KALENA

Clicca per Ingrandire LA TRAMA = Cora e Gabriel finiscono nella rete di una spietata organizzazione. Per coronare il loro amore i due ragazzi si rincorrono dalla penisola di Olympia a Seattle fino al Monte Gargano, da Grotta Paglicci alla Torre del Milèto e alla fabbrica arcana di Kàlena. In questo luogo dei miracoli, nella camera segreta di Acceptus, Cora riporterà in vita le formule della figlia del Sole Calipso per ascendere alla quinta dimensione.

DALLA PREFAZIONE = L’arcana architettura della fabbrica di Kàlena, sonora come uno strumento musicale, attiva onde guaritrici grazie alle decorazioni del divino Acceptus, virtù già conosciute nel Sedicesimo Secolo, quando attirarono nel luogo dei miracoli il corsaro Ariadeno Barbarossa. La speranza di ottenere la guarigione della figlia morente condusse fino ad essa il ricchissimo ammiraglio della flotta ottomana. Troppo tardi, perché la giovane vi giunse in fin di vita e fu seppellita nella cripta con la dote destinatale, un vitello d’oro trasformato in cuscino funebre.


I CAPITOLI DELLA LEGGENDA
Cap. 11 = Il simbolo della Triplice Cinta Sacra contrassegna fin dall’era epigravettiana i luoghi di un’energia tellurica scaturente dalla presenza sottostante dell’acqua celeste, nel nostro caso indica il cammino per giungere a uno dei sacri pozzi Omphalos, una possibile via di riemersione. Il camminamento sotterraneo ci conduce nell’antico sottopassaggio utilizzato dai monaci per mettersi in salvo via mare in caso di scorreria piratesca, ma è anche un inghiottitoio per i forti venti di superficie, che qui spazzano le coste fino a piegare definitivamente i pini d’Aleppo e la macchia mediterranea nella direzione in cui spirano. La fortissima bora di superficie è canalizzata nel sottopassaggio che stiamo percorrendo, dove si raccoglie l’acqua di stillicidio. Più che avanzare stiamo, piuttosto, vorticando in avanti. A un certo punto la bussola magnetica di Alex impazzisce e inizia la risalita, un movimento ascensionale irresistibile che ci solleva come per l’attrazione di un magnete potentissimo.

Io e Ian ci ritroviamo nel cortile dell’antico centro spirituale cristiano di Kàlena, primo nucleo della fondazione di Peschici. Gabriel e Alex giacciono sul fondo asciutto del pozzo in disuso, dal quale più nessuno attinge acqua. Alex svela a Gabriel la potenza delle pietre con cui è costruita la camera sottostante del pozzo: “Qui sono state nascoste le pietre cubiche delle mura poseidoniche portate in Daunia sulle navi di Diomede dopo la distruzione di Troia. Sono dei potenti magneti. Questo complesso monastico in rovina è stato un vivente centro spirituale per secoli. Crociati ed esponenti del Sacro Ordine del Tempio lo hanno onorato con la loro presenza. Il suo primo abate, Graziano da Verona, lo ha reso un baluardo dell’aristocrazia spirituale nei secoli dei secoli. Graziano, circondato dal primo manipolo di santi monaci, tra cui si ricorda un Patrizio d’Irlanda, riposa sotto l’altare del Tempio Antico che risale all’872 d.C..

L’altare, orientato sull’asse est-ovest, riproduce in forma cubica il simbolo della Triplice Cinta, rivelando la sua funzione di cronografo solare del tempo ciclico, incardinato sul flusso temporale degli equinozi e dei solstizi. Secoli dopo, un gruppo di Cavalieri Templari, sfuggiti alle persecuzioni che li vide imprigionati nella prigione francese di Chinon, trovò rifugio fra queste sante mura. Tu ora vedrai solo delle rovine, ma devi provare a immaginare la fabbrica appena sorta in tutta la luce rosata della pietra di Apricena. Il divino Acceptus, maestro costruttore del romanico pugliese, vi pose mano, abbellendo con decori la già sublime opera architettonica. I fregi di Acceptus sono andati distrutti perlopiù, ma quando l’opera era nella piena completezza, le cronache testimoniano che vento e pioggia sonorizzavano la fabbrica come uno strumento musicale capace di attivare le onde theta nelle menti di monaci e fedeli, provocando guarigioni e ripristino di condizioni fisiche di ringiovanimento. La fama di questo luogo dei miracoli era ancora viva nel Sedicesimo Secolo e giunse fino nel campo avversario del corsaro Khayr al-Dīn, conosciuto in ambiente cristiano italico col nome di Ariadeno Barbarossa (*).

(*) Le scorrerie compiute dal Barbarossa nelle guerre di corsa sulle coste serbe, con la conquista dell'isola di Gerba, trasformata poi in base per le sue spedizioni, finivano sempre con la messa a ferro e fuoco dei territori circostanti e delle stesse città. La battaglia da lui condotta nel 1538 contro Andrea Doria era stata vittoriosa e aveva catturato alcune galee genovesi e veneziane.

Cap. 12 = Il ricchissimo ex-ammiraglio della flotta ottomana vi giunse in incognito, in una notte tempestosa del 1544. Bussò con imperio al portone che un tempo chiudeva il cortile. Quando il frate guardiano si fece convincere a far alzare l’abate del tempo, il possente comandante della flotta del sultano gli si rivolse come un umile pellegrino, chiedendo asilo per la notte, per sé e sua figlia Catalina, così chiamata come la nonna, una greca già vedova d’un prete ortodosso e poi sposa del padre del Barbarossa. La conduceva fino a Kàlena nella speranza di una guarigione. Era, infatti, molto malata fin da quando era stata promessa in sposa a Dragut Rais (*), suo successore designato nel comando della flotta per Solimano il Magnifico.

(*) Il successore del Barbarossa, Dragut Rais, divenne in seguito talmente potente che Carlo V in persona impartì l'ordine di catturarlo a tutti i costi ai genovesi Doria. Sconfitto con tutta la flotta e catturato, fu incatenato come galeotto ai remi della nave ammiraglia di Andrea Doria per quattro anni. Quindi, ritenuto ormai innocuo, fu venduto come schiavo e liberato. Solo dieci anni dopo, nel luglio del 1554, avrebbe portato l’assedio per tutta una settimana alla città di Vieste nel Gargano, incendiandola e decapitando 5 mila persone sulla roccia ai piedi della Cattedrale chiamata da quel momento “La Chianca Amara”. Deportò giovani e donne destinandoli al mercato degli schiavi. Dragut morì per una scheggia di pietra che lo colpì alla fronte nel maggio del 1565 durante l’assedio del forte di Sant'Elmo a Malta. Cannoneggiato ripetutamente, il forte resistette e lo sconfisse nel contrattacco.

Cap.13 = Il Barbarossa voleva che sua figlia potesse assistere a una cerimonia nella cripta di Acceptus, per beneficiare delle virtù risanatrici, la cui fama era giunta fino a lui. La donna velata, accompagnata da due ancelle anch’esse completamente velate, fu fatta sbarcare dalla goletta attraccata a Ialillo e condotta in portantina alla fiorente Abazia cristiana, dove si doveva compiere il suo destino. La futura sposa del Rais, conosciuto in tutto il mondo arabo come ‘La spada vendicatrice dell’Islam’, sontuosamente abbigliata, come una principessa del deserto, rendeva testimonianza delle immense ricchezze saccheggiate dal padre, sulla via del ritiro, durante tutta una vita di rapine.

Il peso di quelle ricchezze la schiacciava rendendole difficoltoso il respiro. A nulla serviva l’aria mossa col ventaglio da una delle ancelle. Il respiro era affannoso e interrotto da colpi di tosse. Catalina fu accompagnata dall’abate e dalle ancelle fino all’ingresso della cripta sottostante l’altare, dove in cerchio riposavano i sette santi monaci insieme al primo abate, Graziano da Verona, e a Patrizio d’Irlanda.

Cap. 14 = La notte era ventosa e il mugghio del vento entrava nei condotti armonici creati da Acceptus. La donna velata da capo a piedi, e col capo illuminato da una mezzaluna d’argento, entrò nella cripta e fu subito immersa in una luce accecante che sembrava filtrare dalle pareti e fu raggiunta da suoni modulati come dalle canne di un organo piene di vento arcano. Lei si accasciò, fulminata. La costernazione delle due ancelle si espresse con alte grida, che resero sinistre le folate di vento della notte. L’abate si fece incontro al padre, che vedeva morire con Catalina il suo desiderio di una vecchiaia ancora nel vivo della mischia, e temendone le rappresaglie lo esortò con voce incrinata dall’emozione: “Oh, se solo non foste giunti così tardi!”

Il Barbarossa non volle sentire ragioni e per non portare la distruzione in quel luogo santo pretese che la cripta fosse sigillata e ne fosse cancellato perfino il ricordo. Dispose nella sepoltura con le proprie mani, e l’unico ausilio delle due ancelle, la dote che la figlia avrebbe portato al Rais, un forziere a forma di vitello ricolmo di monete d’oro, al di sotto del capo velato di Catalina, come cuscino lussuoso ma scomodo. L’accesso alla cripta fu murato e dissimulato al punto che se ne perse perfino il ricordo”.


NB. Il romanzo è in vendita al link:
http://ilmiolibro.kataweb.it/community.asp?id=15387

 Redazione

 

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