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21/04/2013

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ABUSIVISMI EDILIZI: SI CIURLA NEL MANICO

Clicca per Ingrandire Siamo qui. Esseri viventi immersi in una terra meravigliosa impreziosita da una cornice fatta di mare e di cielo: in due parole un “paesaggio meraviglioso”. Dello stesso noi ci nutriamo nello spirito e nel corpo, forse senza saperlo. Cos’è allora il Paesaggio, da dove si deve o si può trarre spunto per conferirgli il suo giusto e intrinseco significato, se non dalla sua stessa essenza.

Anno Domini 1939: nasce la prima legge sul Paesaggio. Gli abitanti dell’Italia fascista devono improvvisamente dare conto a quello che intendono costruire in particolari zone che, per illuminazione di qualcuno, sono improvvisamente diventate “belle”, da salvaguardare, da non violare se non a determinate aleatorie e mai ben definite e definibili condizioni, ove consentite. Legge che ha mantenuto il suo imprimatur fino al 2004, allorquando un intervenuto Testo Unico ha in sostanza variato il numero e la data della normativa ma non certo il suo concetto di fondo. Altre leggine burocratizzanti, anche se definite di semplificazione, hanno poi costellato il nuovo Testo di ulteriori balzelli.

Si può pensare che tutta la legislazione sulla materia possa aver dato giovamento al Paesaggio e dunque agli esseri viventi in esso contenuti, perché di questo, secondo alcuni, si tratta: prima il paesaggio e poi gli esseri umani. L’antropizzazione altro non è che un disturbo, un fastidioso inconveniente all’interno del Paesaggio. Una casa nel bosco è uno scandalo, ma è pur vero che può essere stupenda. Una costruzione in riva al mare è una vergogna, ma può essere incantevole. Di tanto può essere faro la casa sulla cascata di Wright che negli anni ’30 riuscì a integrare l’architettura con quanto di più naturale e “inviolabile” possa immaginarsi: una cascata, una vera cascata. Ancora oggi, o forse soprattutto oggi, tale correlazione fra natura e opera dell’uomo costituisce capolavoro. Ma eravamo negli Stati Uniti d’America e la casa è stata realizzata lì, ancora ammirata e visitata da tutto il mondo.

Ma allora le normative paesaggistiche, oggi e per come sono scritte e gestite, a cosa veramente occorrono se non a fornire elementi ostativi e non correttivi o incoraggianti. E poi: queste leggi, basate su nulla di oggettivo bensì sulla soggettività dell’individuo preposto alle valutazioni, da dove traggono spunto e come si può essere certi di rispettarle se non con un appiattimento generale o una rinuncia a “fare”. E’ la innata virtù della conoscenza o forse particolari e specialissime doti che vengono divinamente donate a coloro che, per titolo di studio corrispondente, sono stati candidati a dover “semplicemente” assegnare un ideale punteggio a una proposta progettuale da realizzarsi in queste preindividuate zone-aree-territori sottoposti al vincolo paesaggistico?

E nulla venga tolto loro o non riconosciuto, in quanto non rappresentano altro che la volontà e l’espressione di una legge evanescente. Sono lì, sui loro scranni, a dire la loro sulla adeguatezza o meno della proposta, sulla eventuale candidabilità del progetto a poter divenire realtà, senza a volte conoscere il territorio, così sconfinato e dissimile, o avere cognizione del contesto se non quello che possono estrarre da grigie fotografie allegate o da ricordi lontani di gite scolastiche sul posto. Che poi insieme, ove sussistano, costituiscono le fonti primarie di “giudizio”. Conformi o meno al Piano di riferimento, gli Ufficiali Giudicanti esprimono la loro e poco importa se la valutazione sia equa o meno in quanto non esistono, non possono esistere, elementi oggettivi di giudizio, ma solo impressioni estemporanee cui è difficile o quasi impossibile opporsi concretamente.

In quanto non vi è base di giudizio, non può sussistere oggettività, non ci sono regole se non quelle schematiche della imposta consuetudine. La pletora dei progettisti, confortata o meno da studi e passione per il lavoro, si rassegna allora a rispettare quei pochi elementi formali che potrebbero essere condivisi anche dagli eletti, proponendo finestre e porte piccole, colori sempre bianchi, tetti piani e tutti quegli altri principi architettonici utili a non dare nulla e a cercare di non lasciare altro che case e casette tutte uguali, “in divisa”. Solo così si può continuare a lavorare, progettare, a essere quasi certi che il disegno non resti tale. Ma gli eletti di oggi hanno una scuola: la stessa di prima. Uguale, incontrastata e incoraggiata da tante sentenze amministrative da sempre favorevoli ai giudicanti e contrarie ai proponenti. E’ inutile, non può proporsi nulla che non sia allineato, nulla che contrasti con l’appiattimento architettonico e sociale in atto.

A qualcuno, privo di ingegno, passione e creatività, può anche andare bene questa consuetudine limitativa e foriera del nulla, ma ad altri no: a tutti coloro che respirano la natura e il paesaggio, leggono i contesti, immaginano qualcosa di diverso e hanno studiato e sognato di farlo. A loro no, a noi no e nemmeno a quelli dopo di noi. Perché allora continuare a vagliare in maniera così ciclostilata e fredda, perché non tentare, sempre nel rispetto dei territori vincolati, di incoraggiare qualcosa di diverso che si allontani da costanti stereotipi sempre più opprimenti e sempre uguali a quello che già c’è? La risposta ritengo sia una sola e la si legge fra il bianco delle righe fin qui scritte: il timore di sbagliare, la mancanza di coraggio e volontà, e dunque la certezza che operando in tal modo non si commette nulla di errato e ci si assicura una tranquilla quiescenza, per tutti. Proponenti e giudicanti.

Grande e fondamentale motivazione degli innumerevoli abusi commessi, deriva proprio dall’eccesso dei vincoli imposti (non solo dunque quelli paesaggistici) e dalla consapevolezza che gli stessi, tutti insieme, non avrebbero mai consentito “quella costruzione”. Bene, allora non si può fare: no, si è fatta comunque; d’accordo, ma è abusiva: non più, è stata condonata. Ebbene si, condonata dagli stessi eletti che non l’avrebbero mai approvata in precedenza. Condono contrario a ogni logica razionale, non a quella umana e politica, condono intervenuto - ben tre volte - per sanare gli abusi dei cittadini ma più che altro incongruenze, limitatezze e contraddittorietà legislative. Condono che ha veicolato nelle casse dello Stato le finanze necessarie per provvisori risanamenti di bilancio. Condono che ha venduto gli oltraggi al paesaggio. Condono che, in un solo colpo, ha cancellato tutti i Piani urbanistici e tutte le leggi. Condono che ha incoraggiato i successivi abusi e dona speranza per i prossimi.

Si arriva poi alle “spinte” che i politici di turno avanzano, avidamente, per l’acquisizione dei vari nulla-osta. E non solo a favore di cittadini ma anche per quelle residue opere pubbliche che le risicate finanze statali, regionali e comunali riescono ancora a garantire. Questo è un problema che si concretizza su due fronti: uno che si allinea e produce i “progetti in divisa” e l’altro che, maggiormente “spinto”, invade e pervade il Paesaggio senza alcuna vergogna, consentendo impunemente la realizzazione di opere, a volte terribili, costruite in spregio di ogni elementare valutazione. E’ dunque di tutta evidenza che qualcosa non funziona o per lo meno non funziona nel verso giusto. Da decenni.

E’ doveroso dunque da parte di chi scrive (e impunemente scruta) proporre, quantomeno concettualmente e indegnamente, qualcosa che potrebbe forse arricchire lo stato delle cose: lasciare maggiore spazio alle proposte ‘diverse’, vagliare e valutare in maniera meno stereotipata e ostile, riuscire a cogliere l’idea valida e difenderla a ogni costo. Il tutto possibilmente da effettuarsi da parte di una commissione costituita da elementi non inclini a ingiustificabili estremismi ambientali e architettonici (e ve ne sono tanti, sponsorizzati dalle varie componenti politiche, che… aumentano sempre più), ma disponibili al confronto, a individuare e anche incentivare soluzioni compatibili anche se desuete. Forse in tal modo potrà iniziare una nuova fase distensiva che potrebbe vedere cittadini e istituzioni collaborare, e gli abusi diminuire. E forse, fra tanti, potremo avere anche la ventura di avere una nuova casa sulla cascata…

Massimo D’Adduzio


 Redazione

 

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