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13/03/2013

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“VENTI DI GRECALE”: Si torna a casa - 6° cap. (5)

Clicca per Ingrandire Gino continua a procedere lentamente con la ‘508’. La pineta ci avvolge coi suoi odori di resina e sottobosco. Superiamo il bivio per Vico, attraversiamo San Menaio, prendiamo il rettilineo per Rodi - tutto dissestato - costeggiando il mare: ondine provano a scalare pigramente qualche centimetro di spiaggia. Paolo le guarda, curioso, col nasino schiacciato sul vetro del finestrino. ‘Come sembra calmo tutto - mi dico. - Possibile che, per sopravvivere con dignitą, sia necessario lottare tanto?’ E ripenso alle difficoltą del paese nell’ultimo periodo.

Alla fine della guerra a Peschici la povertą impera come sempre, pił che mai: gente scarna, sudicia, vestita di stracci, scalza, tante morti fra bambini e anziani, poche braccia per il lavoro nei campi, attivitą della Marina praticamente ferme. Le donne! La forza ineluttabile degli eventi ha imposto alle donne soprattutto la responsabilitą di resistere nel caos. E le donne hanno reagito con sacrifici gravosi infiniti. Il mese dopo la fine della guerra la guarnigione americana lascia Calalunga. Anche questa per il paese č una perdita: gli americani, coi magazzini colmi di vettovaglie e sigarette, si sono mostrati sempre molto generosi coi peschiciani. Prima di lasciare Calalunga consegnano a Don Pasqualino le loro scorte perché il contenuto sia distribuito ai pił indigenti e Robert viene alla messa della domenica al Purgatorio a salutare. Don Michele lo invita a salire sui gradini dell’altare. Robert, commosso, dice poche parole.

“Noi tornare America; ma noi amare tanto voi, Peschici, Italia! Ciao, «uańńł»!” Ha la voce rotta. Commuove anche noi.

Il ritorno in paese dei primi soldati reduci dal fronte innesca nella gente la reazione all’atmosfera di rassegnato fatalismo che ha assopito la vita di tutti. Don Pasqualino li accoglie in municipio, Don Michele ne parla a messa, tutti, per strada, li riconoscono, e li salutano, e vogliono parlare con loro. E a loro fa piacere raccontare le loro storie al bar, o all’osteria di «zė Rokkė».

«Jč seńńė ke kuąlėke kąusė sta kańńąnnė» sento dire Don Pasqualino.
«Fėnammņ i krėstėjanė cė nė jevėnė, mo cė sta kualėkedņunė ke tornė. E kualkedņunė fa pņurė fiġġjė. Nardčinė jč ‘rruątė a dąicė.»
«A dąicė? E ke ‘i’ dą da mańńą?»
«Da mańńą? U pąaanė! E i fėkėdińėjė! E i koccėlė!»

La ruota della vita riprende lentamente a girare.

«So’rruatė ąvėti rčducė a Peskėcė» spiega Don Pasqualino. «I peskarčggė dė Pavėlłccė akkumčnzanė a ješšė kjanė kjanė pė Manfrėdņnėjė; ‘a Ġarġąnėkė, da i prčimė jņurnė dė l’annė, arrčivė n’ata volėtė fčinė a Rąudė. Mo c’akkumčnzė a parlą pņurė dė l’ąkkuė dė l’Akkuedņttė. E pņurė dė kurrčndė elčttrėkė!»

E i crocchietti si ritrovano tanti argomenti sui quali discutere: fascisti e partigiani, monarchia e repubblica, nuovi partiti politici, De Gasperi e Togliatti, americani e russi, Istria e Venezia Giulia, episodi di giustizia sommaria, epurazione, mafia.

“Hanno voluto umiliarci! - ragiona lucidamente zio Raffaele, alludendo agli anglo-americani. - Sennņ, perché tanti bombardamenti e tanti civili uccisi dopo l’armistizio? Molti di pił dopo l’armistizio che prima. E perché quel rallentamento dell’avanzata delle truppe alleate in Veneto, che ha consentito ai titini di penetrare in Venezia Giulia? Per amputarci Dalmazia e Istria? E cosa saremo costretti a sopportare per mantenere con noi Trieste e Gorizia?”

«Ŝģ!» fa eco Don Pasqualino. «Vonnė umėlią l’Itąlėja faššģstė, pėkkč tąinė ‘a kolėpė k’ą pėnzatė a nu ‘lebensraum’ kundrąrėjė e’ leggė du mėrkatė ląurė. Vonnė sradėką u faššģsmė, E pė kuģstė kiłdėnė kjł dė n’okkėjė kuąnnė rumąnė accčisė kuąlėke faššģstė; e kuąnnė ‘i stannė apprress’apprressė k’i vonn’accčidė; e kuąnnė venėnė mannątė e’ kambė dė prėggiunčjė, o mazzėjatė a sanġė; e kiudėnė n’okkėjė ‘nnanzė e’ latrėcģnėjė, e’ stėrloggė. E nan sąulė kapadąvėtė, andņ ąvėna fattė ‘a Repłbblėka Sociąlė. Ma pņur’akkuą. A Tąrandė a Ġrottąlėjė, - u sapčitė? - cė stannė kambė dė prėggiunčjė».

“Ma no! Vogliono umiliare l’Italia tutta! - ribatte zio Raffaele. - Non solo quella fascista! Vogliono che nascano in Italia forze contrapposte, che possano iniziare a portarla sulla via della democrazia. Vogliono diminuire la forza storica dei fascisti, ma senza dare troppo spazio alla forza nuova dei comunisti. Anche le idee di Stalin a loro non piacciono, come non piacevano quelle di Hitler e di Mussolini. E l’allontanamento dei dipendenti pubblici fascisti dalle posizioni di comando o dall’impiego, l’epurazione? - aggiunge. - Pensate forse che il decreto di Umberto sia stata volontą di Umberto, o di Vittorio Emanuele, o di Bonomi? Non ha forse preso le mosse da un’ordinanza del governo militare alleato? E che vogliono fare con l’epurazione? Ridimensionare la vecchia classe dirigente. E liberare posti di comando, in cui piazzare pedine loro… per controllarci. L’epurazione ormai č in atto dappertutto: da tempo nel centro nord, adesso anche al sud. E sta estendendosi anche al settore delle imprese private.”

«E da kuąnnė so’ sbarkątė a’ Sėcilėjė anna datė na manė pņurė a’ mafėjė kė tanda malaggčnde. Kė kuģstė ce so’ missė d’akkņrdė: sė fannė ‘a spejė avėnė nu skondė dė pčinė. E ‘i dannė pņurė i postė ‘ndņ cė kummąnnė, andņ cė spartėnė i kąusė du Pająisė. ‘I fannė pņurė sinėkė. ‘A mafjė, kuellė ke Musėlčinė e u prėfčttė Mąurė avėna stėrmėnatė. Ma po u uąjė jč statė» conclude Don Pasqualino «ke ‘i Llėjątė anna dėcčisė k’ava jessė l’Itąlėjė vņunė di postė d’attąkkė a tuttė i forzė dė l’Eurąupė.»
“E cos’altro potevano scegliere, se volevano attaccare l’Asse dal sud?” si chiede e chiede zio Raffaele.

I crocchietti cominciano a parlare di politica con una libertą nuova, alla quale non sono abituati; a parlare di politica, animandosi.
“Cominciano a parlare, ma non proprio a capire - sentenzia Don Vito. - Tantissimi peschiciani sono analfabeti! Che ne sanno di economia, di mercato, di lotta di classe? Nel profondo sono quasi tutti monarchici, per abitudine, perché sono nati monarchici. E perché gli piace la Regina Elena, che č figlia di un pastore. A qualcuno piace la Democrazia Cristiana, ma solo per via dell’aggettivo ‘cristiana’ e della presenza della croce nel simbolo del partito. A qualcuno piace il Partito Comunista, ma solo per via della falce e del martello, presenti nel simbolo. A pochi piace ancora il fascismo: i pił l’hanno rimosso da un giorno all’altro subito dopo l’armistizio.”

Don Pasqualino č stato l’ultimo podestą di Peschici fascista. Ed č anche il primo sindaco post-fascista.

«U kańńamčndė da putėstą a sinėkė?» si chiede Papą. «Ma kuąlė kańńamčndė? Akkuą i kąusė kańńėnė škittė pėkkč passė u tembė, senzė ke nėššņunė cė n’addąunė. U kańńamčndė jč successė senzė ke a Peskėcė kańńąssė kualėke kąusė.»
«Aġġja ‘vņutė tanda dubbėjė!» confessa Don Pasqualino «gią doppė l’armėstģzėjė! Ma tuttė m’anna dittė k’ava kundunuėą a fą kuģlė ke faciąivė prčimė: parąivė ke n’ gė stąivė nullė ke jind’a stu manėkņmėjė cė putąivė nġarėką di fattė du pająisė. Ji so’ statė sembė a kundąttė ku Prėfettė dė Foggė e sembė a dėsposėzėjąunė pi kosė giustė ke c’avėna fa. Propėjė u prefčttė m’ą dittė dė kundunuą. E jģ aġġja kundunuątė. Ma mo i fattė so’ kańńatė: ‘a učrrė jč fėnņutė, ‘a pulģtėkė jč kańńątė, da kap’a pąidė, u Ġuvčrnė d’Unėtą Naziunąlė sta fattė da partčitė nąuė, andėfaššistė; so’ sembė kkjł pąukė kuģllė ke kredėnė anġąurė a’ munarkčjė. Sarrčjė ąurė ke fossėnė i ggiłvėnė a pėnzą e a fą i kundė ke c’anna fa. Ma ji perņ stenġė sembė a dėsposėzėjąunė du Prefettė!»

Qualche tempo dopo Don Pasqualino si dimette. La gestione del Comune č assegnata a un Commissario designato dal Prefetto. Il quale resta per un paio di mesi, il tempo per assistere pietrificato alle operazioni di spegnimento di un incendio furioso - «l’annė fukėjatė a ppostė! L’annė fattė a ppostė! Tenġė i prąuė» - che ha devastato ettari ed ettari di pineta fra la Madonna di Loreto e Sfinale. Mimģ il Sacrestano ha suonato le campane a distesa per ore per raccogliere la gente. Don Pasqualino si č prodigato infaticabile nell’organizzazione degli interventi: il tempo per preparare le elezioni del nuovo Sindaco. Votano un paio di centinaia di persone. Si presenta, oltre Don Pasqualino convinto da zio Raffaele, anche Matteuccio il Pecoraio, detto «Piġġjefłjė». Don Pasqualino č rieletto sindaco a grande maggioranza. Lui si commuove molto.

«Tu mo včidė! Ji, vekkjė faššistė kummģndė, mo sonġa ‘ššņutė sinėkė jind’a l’Itąlėjė doppė-faššistė. Perņ jč ‘a vėrėtą, ji na’ ssonġė kkjł propėjė akkąumė a kuģllė ke jąivė prčimė. U fattė ke jč ke k’u sapė s’aġġja jessė kapącė di jessė akkąumė a vņunė dė doppė … Aġġja pėnzą, anzė amma pėnzą a kuąttė kąusė ġrossė: ‘a fatėjė pė tuttė, a sėstėmazėjąunė di rčducė, ‘a skąulė pi ggiłvėnė, e giustģzėjė, giustģzėjė, ‘a giustģzėjė pė tuttė!»

Ha contato subito i caduti peschiciani, pił di trenta, e i reduci, un centinaio.

* * * * *

L’odore penetrante delle zagare indica che Rodi č vicina. Il trenino della Ferrovia Garganica č lģ in stazione, che attende. Parte fra una mezzoretta; la locomotiva č gią sotto pressione; il sentore del vapore copre la fragranza delle zagare. C’č pochissima gente. Gino fa i biglietti. Michelino accompagna Paolo e me con le due valigie in un vagone.

«Mėkėlč, kąumė va ‘a makėnė?» chiede un signore con un cappello da ferroviere.
«Va bąunė, Marėjł, va bąunė! Po c’amma fą na kamėnątė!»

Michelino sale sulla piattaforma del vagone con le due valigie, aiuta Paolo a scalare il predellino, poi aiuta me. Ci sistemiamo, Paolo e io, sui sedili di legno uno di fronte all’altra, vicino a un finestrino dalla parte del mare.

«Mą, kąumė jč ġrossė!» esclama ammirato Paolo, che vede un treno per la prima volta.

Nel vagone ci sono due coppie di uomini, volti bruni, rugosi, segnati dal sole e dal vento, tutti con baschetto o cappello, circondati da sporte e cestini di vimini vuoti; la testa appoggiata allo schienale, gli occhi chiusi, sembra che dormano. Il mare calmo lambisce il molo, accarezzandolo per tutta la sua lunghezza. Paolo guarda dal finestrino preoccupato: cerca Gino con lo sguardo. Poi sorride: l’ha visto! Gino si siede vicino a noi. Michelino scende. Resta lģ sul marciapiede. D’un tratto il fischio stridente del treno; poi un altro fischio pił lungo; il treno si muove. Michelino si scosta e alza un braccio in segno di saluto. Ha una mole davvero imponente! Resta lģ a salutare mentre il treno si allontana. Diventa sempre pił piccolo. Scompare, quando il treno imbocca la galleria sotto Rodi. Scompare con lui l’ultima immagine che ci parla di Peschici.

La galleria č buia: Paolo sembra interdetto. Gino gli sussurra qualcosa all’orecchio: Paolo sorride, si rasserena. Anche Gino sembra sereno. Ha avuto negli ultimi giorni un momento d’indecisione. Si č chiesto se fosse giusto proseguire la nostra ‘vita a Roma’ o se invece convenisse restare qui a Peschici e, ora che Ettore non c’č pił, dare una mano a Papą. Ne ha parlato con Papą. E Papą l’ha convinto ad andare.

«Ġrazėjė, Gėggģ! Tu sģ nu bąunė fėġġjņulė! Ma akkuą ke pu’ fa? Tu si laurėjątė! E vulģssė ajutą a me ke a malapčinė saccė skrčivė! Jind’a stu pająisė puvėrčttė! Mendrė a Rąumė tčinė nu postė sėkņurė, jind’a na banġa mburtąndė. E mo i banġė so’ mburtąndė. Amma fa n’ata volėtė l’Itąlėjė! E po tu sta a Rąumė, allą sta u Ġuvernė, stannė i skąulė, sta l’Unėversėtą: Pallėpąllė po studėją avvucčinė a’ mammė e o’ patrė. Va, va, Gėggģ! Tu sa ke pu fa? M’ą mėnģ truą kkjł spissė, tanda volėtė. M’ą fa vėdč tanda volėtė a Pallėpąllė e Bėjanġłccė! »

Gino si č rasserenato.

Il trenino comincia ad arrampicarsi sulle pendici del Promontorio. Ecco il lago di Varano. Gino illustra cose a Paolo. Ricordo, quando sei anni fa ho fatto la ferrovia da San Severo a Peschici: Paolo nella cesta, e Papą Paolo. Papą Paolo! Continuo ad avere in mente la sua immagine, che si staglia con Nervino in alto, agitato a salutare, vicino alla sagoma della Torretta contro il cielo chiaro di levante.

Compare il lago di Lesina; tra i due laghi il promontorio di Capo Jale. Nei giorni di aria nitida, il capo č visibile dalla terrazza di casa.

«Nonnņ, ke cė sta apprčssė » chiedeva Paolo a Papą. E Papą di rimando: «U munnė sta, Pallėpą, u munnė ġrossė straurdėnąrjė!» Paolo ora sta iniziando a scoprire il mondo oltre Capo Jale.

Il trenino sorpassa a passo misurato la piana di Carpino, costellata di olivi, raggiunge la stazione di San Nicandro, costeggia il lago di Lesina. Sempre in salita leggera: «Mo jč» sembra dire, «n’ąvėta nġjanątė». Colori blu, blu scuro, violetto. Paolo si č addormentato fra le braccia di Gino. Gino sembra tranquillo. Mi tranquillizza la sua tranquillitą.

*****

“Quanta miseria ho trovato in Italia! - ripeteva Gino in una delle nostre chiacchierate confidenziali sulla terrazza; ricordo che, seduti sul tavolo di cemento in terrazza, con su la scritta ‘PL’, seguivamo un piroscafo che solcava le onde al largo, pigramente, nella direzione nord-sud. - Cosģ, non me l’aspettavo proprio l’Italia!”

Stavamo godendoci dalla terrazza il tramonto. Provavamo a interpretare il futuro che ci attendeva.

“Sapessi che frustrazione il processo militare! Mi hanno fatto le pulci! Dove ero quando ci siamo arresi. Quanti eravamo. Quali armi avevamo. Cosa avevamo nel magazzino. A chi ci siamo arresi. Chi erano. Quanti erano. Come erano armati. Perché abbiamo deciso di arrenderci. Cosa abbiamo ceduto al nemico. E tante altre cose. Hanno fatto le pulci a me, a noi, che eravamo lą. Ma loro allora dove erano? … Ho rinunciato al servizio permanente effettivo, ho preferito il Banco di Roma. L’esercito non č pił lo stesso. Io, come tanti altri, sono stato educato nell’ambiente fascista. Ora č tutta un’altra cosa. Č peggio? Č meglio? Boooh! Non lo so. So solo che č tutta un’altra cosa. Non č la cosa che conoscevo. … A casa, a Roma, ci arrangeremo. La Signora Conte č rimasta sola. La casa ha tre camere: noi ne abitiamo due, la signora Conte una; cucina e servizi sono in comune. Dobbiamo avere pazienza almeno per un po’!”

“La pazienza, Gino, non ci manca certo! Come avremmo potuto altrimenti superare questo periodo?”

“Paolo avrą certamente qualche difficoltą a scuola. Parla persino male l’italiano! Ma č ancora bambino, imparerą! Le suore mi hanno assicurato che potrą studiare tutta l’estate con loro. E il prossimo anno potrą fare la seconda.”

“E poi, Gino, non saremo proprio ‘toli toli’! Luisa e Giovannino ci aspettano!”

*****

Il trenino ha raggiunto, sbuffando con qualche fatica, il passo «dė ‘Ngarąnė». «Ja’ cė l’aġġja fą! Ja’ cė l’aġġja fą!» sembra ripetere al ritmo degli stantuffi. Ora caracolla pił tranquillo sul falsopiano. ‘Tutto quello che č accaduto in questi anni - mi chiedo - che senso ha? Per chi mai puņ essere utile? Per noi? Ma a noi ha rubato una parte di vita, di giovinezza! Per Paolo? Per i figli di Paolo, per i nipoti di Paolo? Che la guerra sia insulsa, č talmente ovvio! Che sia insulso ammazzarsi l’un l’altro, perché si hanno lingue, sembianze, religioni, bandiere, uniformi, diverse, č talmente ovvio!’

Lģ al largo ecco le Tremiti, una chiara l’altra scura. La giornata č luminosa, splendida: i venti di grecale rendono limpido il cielo. Il trenino, preso fiato, si riassetta, emette un fischio lungo e si lancia nella discesa verso il Tavoliere. Tra olivi, olivi, e olivi. Č allegro, pimpante. «Jammė ja’, u ‘ssajė jč fattė! Jč ‘kkušģ o no?» sembra dirsi. «Pņurė joggė jč fėnņutė! Jč ‘kkušģ o no? Trenģ! Mņoo jč! Trenčinč a ki?»

Tra olivi, olivi, e olivi.


(5.5 fine)


NB1. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo i link delle puntate precedenti relativi ai capitoli del romanzo gią pubblicati (coi titoli originali) e da pubblicare.

Cap.1 - Rifugio a Peschici - Gino e io. Italia in guerra. Gargano. Arrivo a Peschici. (18.06.1940)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2 - La Famiglia - La casa. La famiglia. La giornata. Primi incontri. (23.06.1940)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656

CAP. 3 - Il Paese - Peschici. Guerra in Africa. Gino prigioniero. (21.04.1941)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5709
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5734
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5751
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5779
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5811

CAP. 4 - Echi di guerra - Guerra in Italia. Gino in India. Ciclo delle stagioni. Brani di vita. (29.09.1943)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5851
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5882
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5919
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5962
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5992

CAP. 5 - Echi di caos - Caos in Italia. Gino sull’Himalaya. Brani di vita. (29.06.45)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6017
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6054
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6079
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6102
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6113

CAP. 6 – Ritorni - Pace in Italia. Gino a casa. Brani di vita. Partenza da Peschici. (19.05.46)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6150
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6172
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6213
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=6233

CAP. 7 – Tra le stelle


NB2. Si puņ facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc





 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 14/03/2013 -- 16:29:43 -- vincenzo

Ce n'č voluto, per centellinarlo a dovere, Paolo! Alla fine, perņ, ce l'abbiamo fatta! - Bisognerebbe ricominciare a leggere e tenere tutto il libro tra le mani, per un'emozione diversa - anche a scorno della difficoltą di lettura dei passi in vernacolo, anche per chi, un po' come me, č avvezzo a cimentarsi con i dialetti in genere. - Comunque sia, la tua partecipazione a far nota un po' di storia che ha riguardato Peschici, sia nello strettamente piccolo, sia nel pił ampio - scorci di immagini nazionali ed internazionali - č stata notevole. L'acume sveglio, la penna, veramente felice!- Se il tuo fosse stato un compito scolastico, come avrebbe potuto, un docente, assegnarti un voto inferiore a dieci e lode? Né meno di 110 e lode ti avrebbe dato, se si fosse trattato di una tesi di laurea! Scegli il compito, scegli il voto: io lo confermo!

 
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