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20/01/2013

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LEI ERA… LIBERA

Clicca per Ingrandire Una notte, durante le mie passeggiate solitarie mi fermai a bere birra al solito posto. La gente pian piano stava scomparendo e io ero rimasto seduto su una scalinata aspettando di essere investito dal refolo della sua gonna. La vidi salire. Ci salutammo.
- Dove vai sola soletta?
- Non mi fa mica paura, sai? Adoro passeggiare nella quiete della notte.
- Anche a me piace… ti faccio compagnia.
Il vino le aveva dato alla testa. Effettivamente non era la prima volta che tornava nel pieno della notte a casa da sola, ma quella notte era su di giri. L’avevo notato dallo sguardo perso nel vuoto e dal ricordo delle sue consumazioni che non avevo fatto a meno di contare. Si era scatenata come una pazza a furia di cantare e danzare con ballerini a lei sconosciuti.

Mi piaceva vederla sorridere al cielo. Era stranamente euforica e contagiava chi le stava intorno. La gente l’aveva riempita di rose scarlatte comprate da venditori ambulanti. Le porsi gentilmente il braccio e lei vi annodò il suo. Era piuttosto stanca, poverina, ma non volevo che andasse via, speravo degnasse di attenzioni anche me, che non le ero del tutto sconosciuto. Continuava a ripetermi quanto le piacesse passeggiare nel silenzio della strada e così la portai per le vie del borgo antico a guardare il mare. Si stiracchiò comoda a terra e invitò anche me. Mi guardava e, non so per quale motivo, rideva e nascondeva il volto sulla mia spalla. Io cercavo di placare i miei umani impulsi, ma lei col suo fare riusciva comunque a stuzzicarmi, forse anche ingenuamente.

Appoggiò le labbra color porpora sulla mia guancia. “Perdonami”, disse, e sfilò dalla borsa un fazzolettino. Io, non lasciandole il tempo di immaginare, presi quel fazzolettino e lo strofinai contro le sue labbra fino a far comparire il loro naturale colore. La sbavatura scendeva lungo gli angoli. Con una passata di pollice completai metà dell’opera. Lei, con aria confusa, mi lasciava fare e dalle labbra presi a sfiorarle il viso, poi i capelli, poi una presa stretta dietro la nuca. Un incontro fugace di sapori diversi. Ma era stanca, troppo stanca, e guardando le stelle mi crollò addosso. Io, fra contemplazione e carezze rubate, mi lasciai corrompere da Morfeo.

Improvvisamente aprimmo gli occhi, lei si alzò di scatto. Era l’alba.

- Non mi dire che abbiamo passato la notte per strada!
- Buongiorno, piccola brilla! - mi limitai a rispondere.
Mi guardò con aria confusa e scoppiò a ridere. Mi alzai col fianco dolorante.
- Oh poveretto! - esclamò con aria seriamente dispiaciuta. - Meriti un bel massaggio, - e scoppiò nuovamente a ridere, contagiando anche me. Le presi la mano e la esortai ad affrettare il passo. Mi sorprendevo di me stesso, non capivo perché lo facessi, non ero in me. Correvamo per la strada in cerca di una meta.
- Colazione? - gridava.

La portai a casa, da me. Chiusi la porta con ogni accortezza, ispezionai con un’occhiata veloce la casa. Dopo esserci sommariamente ristorati con acqua e bagno, mi tuffai nel letto. Il mio sguardo era concentrato su di lei che ronzava ai piedi del letto.

- Non posso appisolarmi con questo vestitino, ho bisogno di qualcosa di comodo!
- Arrangiati! - non potevo risponderle altro.

A dir poco sdegnata, si tolse i vestiti e rotolò nelle lenzuola del mio letto. Si dispose dinanzi a me e chiuse gli occhi. Mi stavo lasciando corrodere dal fuoco, non potevo più resistere… quando la vidi ridere con una punta di malizia.

Ci alzammo intorno alle undici. Lei era già uscita dalla doccia.
- Ora sì che potremo fare colazione! - le dissi.
- Frattanto che ti lavi io vado a casa a cambiarmi. - (Abitava poco lontano da me.) Infilò la veste e chiuse l’intimo in borsa. Scappò via.

Ero rimasto un po’ perplesso dal suo comportamento, pensavo che, non avendo dimenticato niente per sbaglio, non ci sarebbe stata alcuna scusa plausibile che la facesse tornare un’altra volta qui da me. L’essersi alzata prima, non permettendomi di poterla contemplare per qualche istante e farle aprire gli occhi nel letto vuoto, non avermi aspettato, mi inquietava. E se non fosse tornata più per la colazione? Non c’erano certezze. La situazione mi suggeriva che se l’avessi voluta tenere vicina il compito spettava interamente a me e questo m’infastidiva parecchio.

Sentii il campanello suonare, mi precipitai fuori. C’era un sole che spaccava le pietre, era una giornata caldissima. Mi coprii la vista con le lenti scure degli occhiali. Lei indossava un leggerissimo vestitino chiaro e un cappellino di paglia. Raggiungemmo il bar e ci accomodammo in bella vista. Mi guardava e sorrideva, io le posai la mano sulla gamba, lei mi accarezzava i capelli, poi ritirò la mano. Sorseggiava con classe il suo espresso con quel cappellino che le copriva metà sguardo. Mi accorsi di come i passanti la guardassero, della gente che mi salutava ridacchiando o facendomi l’occhiolino. ‘Che stupido! - pensai. - Come ho fatto a dimenticare la realtà in una notte!?’

Uscii dal mio universo parallelo. Ora mi era gratificante giudicare corretto il suo comportamento: non poteva fare altrimenti. Non era la prima volta che passavo una notte con un’amante, ma nessuna mi aveva mai fatto perdere la concezione del tempo, a nessuna avevo mai offerto la colazione al bar. Che figura ci avrei fatto nei confronti di Cecilia? E pensare che avevo tradito anche il mio più caro amico! Lui che l’aveva conosciuta prima di me e magicamente si era già lasciato trasportare dalla gelosia per chiunque le rivolgesse più di uno sguardo. Non era più lui, lui che non faceva distinzioni fra la bella carne.

Se fossero venuti a saperlo, mi avrebbero perdonato? Non mi posi più di tanto il problema della signorina seduta vicina a me. Mi aveva fatto capire di essere a conoscenza del mio torto, ma pensare che lei avesse minimamente sbagliato era difficile. Lei era di tutti e di nessuno, era libera… e sapevo bene quanto la libertà fosse indiscutibile.

Erika De Noia



 Redazione (foto blog.libero.it)

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 20/01/2013 -- 18:00:08 -- vincenzo

Bella storiella (forse un po' banale) ma ben articolata, essenziale: una corsa veloce, da centometrista. Me ne compiaccio.

-- 20/01/2013 -- 22:39:19 -- Erika

Il suo apprezzamento è ben gradito.

 
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