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09/10/2012

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“VENTI DI GRECALE”: Feste peschiciane e cultura contadina Anni Quaranta - 4° cap. (5)

Clicca per Ingrandire La festa di San Matteo annuncia l’autunno, che avanza.

“In autunno - mi ricorda Lisetta - gli uomini dei campi raccolgono la pił gran parte del frutto del loro lavoro. E nelle campagne ci sono pure tante greggi: oltre al gregge di Mattiuccio il Pecoraio, c’č anche un gregge transumante, che scende dall’Abruzzo per svernare. E Don Michele si puņ riposare: alla gente, che č tanto impegnata a procurarsi cibo, per sostenere il corpo, non resta molto tempo da dedicare allo spirito. C’č comunque la commemorazione dei santi, e soprattutto la commemorazione dei defunti, a mantenere continuo il dialogo tra la chiesa e i fedeli.”

Da un paio di anni a settembre Ettore passa qualche giorno con i pastori. “Le greggi, Biancł, mi fanno tanta tenerezza: tranquille, mansuete - gli agnellini, con quegli occhioni e con quella peluria soffice - obbedienti. Obbedienti a chi, poi? Al pastore, all’uomo, al loro carnefice, che in un momento solo della loro vita, forse, le aiuta: durante i parti, se qualche agnellino in uscita mette la mamma in difficoltą. E pure questo, l’uomo, il carnefice, il carnefice interessato, lo fa, perché gli conviene: perché l’agnellino potrą dargli latte e carne per sfamarsi, e lana per vestirsi. E all’agnellino cosa dą il carnefice in cambio? Gli incide l’orecchio, lo marchia, gli mozza la coda, lo castra, lo munge, lo fa accoppiare solo se serve, lo tosa, lo macella! In maniere sbrigative cruenti! Senza nessuna riconoscenza! E nessuna pietą! La vita del pastore poi mi sembra mitica. Loro vivono solitari nei pascoli, sui monti, all’aria aperta, in mezzo alle greggi, con qualche cane pastore come amico, con niente pił di un tozzo di pane nella sacca. Vivono adesso, come debbono aver vissuto i pastori dei tempi di Omero! Pure D’Annunzio ha tempo di parlarne, affascinato, tra una bravata e l’altra, tra una Duse e l’altra: pure lui, abruzzese - la Maiella č lģ, č lģ davanti - deve aver sentito questa magia!”

Nella sua stanza Ettore ha appeso a una parete un’immagine del Buon Pastore con il suo gregge. Quando arriva dall’Abruzzo il gregge degli Orsitti, i pastori di Opi, Ettore va a dare una mano a Mattiuccio il Pecoraio. « Li aiuta molto, Mattėjłccė, i due fratelli montanari, che tanto gli piace il mare, che non si fermano al Tavoliere come gli altri, e arrivano fino a qua: gli fa trovare i pascoli, gli fa trovare pronti gli stazzi. Quest’anno stanno a Sfinale nella proprietą di zio Luigi. Restano fino ad aprile; poi, dopo la tosatura e la festa di commiato – buono, l’agnello a cotturo! – risaliranno i tratturi verso l’Abruzzo; e torneranno a casa loro, a colmare le loro nostalgie. Dormiamo per terra sopra un telo di sacco; nella casetta non c’č niente; solo un camino, che - meno male! - tira. E lģ vicino c’č un rivolo di acqua sorgiva. La mattina mangiamo fette di pane, bagnate nell’acqua calda salata, con un po’ di sugna; a sera spesso pure; o, se c’č, zuppa di cavoli o un po’ di carne secca.”

Una mattina verso le 11 - piove a dirotto - Ettore si presenta a casa, zuppo da capo a piedi, evidentemente stravolto: “«Uańńł», devo dormire: sono distrutto!” Si asciuga, si butta sul letto, non si vede pił sino all’ora di cena. A cena racconta: “Stanotte il finimondo č successo: acqua, fulmini, tuoni, acqua, fulmini, tuoni! La casetta sembrava illuminata a giorno! I tuoni sembravano scoppiare davanti la porta! Ieri sera, come ogni sera, avevamo diviso le pecore dai montoni: le pecore in uno stazzo, i montoni in un altro stazzo vicino; all’aperto naturalmente. Non č ancora il tempo per l’accoppiamento: sarą tra un mese! E il gregge č grosso. Oltre gli animali di «Mattėjłccė» ci stanno pure quelli degli Orsitti. Sono tante bestie, pił di duecento! Quando il finimondo č scoppiato - ma č stato proprio cosa grossa, lo avete sentito? - il gregge si č innervosito, l’odore di qualche pecora in fase di estro deve essersi esaltato, i montoni si sono eccitati, e hanno divelto la staccionata che divide i due stazzi. Quando ce ne siamo accorti, nello stazzo delle pecore, sopra il mare di pecore, tra belati continui, si agitavano decine di montoni. «Pa Majčllė» ha gridato Mattėjłccė, «na’ ńč u tembė!» Ci siamo coperti alla bell’e meglio; abbiamo riparato la staccionata, cercando di rinforzarla; abbiamo spinto tutte le bestie - pecore e montoni - fuori dallo stazzo delle pecore; e le abbiamo fatte rientrare una a una nei due stazzi, verificando bestia per bestia in quale stazzo doveva entrare; mentre continuava a piovere e a tuonare; e contro il parere dei montoni, che non avevano nessuna voglia di terminare l’orgia. Appena erano divisi, cercavano di tornare ad accoppiarsi. La voglia gliel’abbiamo fatta passare a furia di strattoni e di bastonate, anche sul cranio. Una lotta! Una lotta! Ore e ore! Fino a stamattina! Stamattina abbiamo finito.”

Quando torna a casa, venendo dai pastori, Ettore porta sempre un paio di borracce di latte; Angela lo filtra, il latte - elimina le pallottole di sterco - facendolo passare attraverso una schiumarola, e lo scalda poco poco; Paolo ne berrebbe litri! Ogni tanto Ettore arriva con una fiscella di paglia e ramoscelli, colma di ricotta. “Abbiamo fatto il formaggio - racconta eccitato - e la ricotta. Loro alle prime luci dell’aurora mungono le pecore, una a una; qualche pecora, pił ricca di latte, l’hanno munta anche il pomeriggio prima; io intanto faccio legna, e accendo un bel fuoco. Loro filtrano – pił o meno – il latte, e lo versano nel caldaio. Poi mettiamo il caldaio sul fuoco; e Mattėjłccė aggiunge il caglio, estratto dallo stomaco di agnellini: lui sa quanto aggiungerne e quando; il latte comincia a cagliare. Fajėlłccė, u fėġġjņulė dė Mattėjłccė, guarda incantato con gli occhi sgranati, e dice: “ Ta’, kuąġġjė! Kuąġġjė! ” Appena la cagliata č completa, la scaldiamo ancora, e lei comincia a squagliarsi; mentre io rimescolo con quel bastone, tutto bozzuto, che loro usano; e il siero viene a galla, mentre sul fondo del caldaio a poco a poco si deposita il formaggio. Leviamo il caldaio dal fuoco e lasciamo freddare. Prendiamo con le mani dal fondo del caldaio il formaggio, morbido acquoso, e lo mettiamo nelle forme di vimini, premendo per eliminare il siero rimasto. E le mettiamo da parte le forme. Loro si devono asciugare, ancora per un po’; e poi ci penseranno quelli di Opi a salarlo il formaggio sulle due facce, e a conservarlo: la stagionatura č un’arte; il formaggio č un prodotto vivo, che si modifica nel tempo, come tutti gli esseri viventi. E gli cambieranno qualche volta anche il colore, spalmandolo di olio di oliva. Noi adesso mettiamo di nuovo a scaldare il siero rimasto nel caldaio, finché quasi bolle; e a poco a poco ecco che affiora la ricotta. Lei, pił leggera, galleggia sul siero: «Ta’, ‘a rėkottė! Jč nnatė! Jč nnatė!» urla eccitato «Fajėlłccė». La ricotta la raccogliamo con schiumarole e la mettiamo nelle fuscelle a raffreddare, e asciugare. E resta ancora siero, pure dopo la ricotta, che non si butta: i cani pastori ne sono ghiotti.”

In quel periodo di tanto in tanto Mattiuccio viene a Peschici con il mulo e una cesta piena di fuscelle di ricotta: «Uańńņu, ‘a rėkottė! Jč freškė ‘a rėkottė!»

* * * * *

Ottobre: č tempo di vendemmia. La vendemmia, anche lei, č occasione di socializzazione per la gente del paese. Ettore naturalmente presenzia con Angelantonio alla vendemmia al Renazzo. “Mietitura e vendemmia! Pane e vino - dice. - Sono la base della cultura nostra; dall’ultima cena di Gesł; da sempre.” La vendemmia al Renazzo precede di poco la partenza dei ragazzi per il nuovo anno scolastico. “«Jamė, Biancł, jamė o’ Rėnazzė!» Dobbiamo pulire la cantina. Porta pure Paolo!” Andiamo. Ettore prende Paolo a cavalcioni sulle spalle. Ettore, Nunziatina e Annuccia aiutano Angelantonio a ripulire la cantina. Tirano fuori dalla cantina tutto: botti, tini, tinelli, barili, damigiane, ceste, bigonci, secchi. Lavano tutto con acqua. Disinfettano tutto: Angelantonio fa sciogliere zolfo in un pentolino; Nunziatina immerge strisce di canapa nello zolfo; quando sono ben imbevute, le infila in tutti i contenitori. Rilavano tutto, e riempiono d’acqua i contenitori di legno: per renderli pił impermeabili. La brezza porta folate che sanno di mare.

La vendemmia dura qualche giorno. Mi piace esserci: ci vado, insieme con Ettore, e con Paolo, anche se debbo svegliarlo all’alba. Mi fa piacere che stia in mezzo alla gente, e alle cose della terra; e poi lui stravede per “zio Ettoone”. A vendemmiare ci sono una decina di persone. Si distribuiscono su due, tre filari, vicini - “cosģ chiacchierano, e scherzano” - le donne con fazzolettone legato intorno al capo, gli uomini con baschetto - “tra un po’ farą caldo” - ognuno con il suo paio di forbici e il suo secchio di legno. “Andiamo a vendemmiare, Biancł!” Seguo Ettore con Paolo. “Bisogna stare attenti, quando si taglia un grappolo, a non farsi male, a non arrecare danni alla pianta, a non rovinare il tutore, soprattutto quando č fatto con le canne a treppiede, a non rovinare le forbici con i fili di ferro. Guarda, Pallopą, quanto č bello un grappolo d’uva, «nu raspė»!”

Ognuno, riempito il secchio, lo svuota in uno dei bigonci di legno posti all’inizio dei filari. Presso ciascun bigoncio una ragazza cerca di staccare per quanto possibile i raspi dagli acini, eliminandoli, e di insaccare quel che resta, nel bigoncio con un pistone di legno. “Speriamo che deraspano bene: il vino viene meglio! Dobbiamo stare attenti alle bucce degli acini: facciamo solo vino rosso, che l’aroma e il colore dalle bucce lo prende.” Quando il bigoncio č pieno, passa Angelantonio con il mulo, lo issa su un fianco del mulo, assicurandolo con una corda di canapa, e lo porta in cantina; in cantina vuota il bigoncio nei tini, e riporta il bigoncio all’inizio di un filare. I tini a fine raccolta sono pieni. Il giorno dopo la fine della raccolta avviene la pigiatura.

«Mo, lavątėvė i pąidė, k’amma acciakką l’ņuė» avverte Angelantonio.

La gente si leva le scarpe - qualcuno gią non le ha - si lava i piedi, ed entra nei tini sull’uva. Comincia a pigiarla, pestando con i piedi, in allegria, scherzando. Il colore del succo assume la tonalitą giallo-grigio-verde. “Il mosto!” esclama Ettore come commosso; e prende il mandolino, e intona una tarantella; e tutti cominciano a cantare, e a ballare, continuando a pestare. La sera versano il mosto nelle botti con i coperchi semiaperti, che ricoprono con un telo a protezione dalla polvere.
“Sennņ quello scoppia - mi spiega Ettore. - Adesso il mosto resta tranquillo a fermentare per una decina di giorni.”

La brezza di terra porta folate di profumo di pini.

Qualche giorno dopo Ettore parte per Foggia per il Convitto, dopo aver raccomandato ad Angelantonio di cercare di fare le altre operazioni sul vino nei giorni in cui lui tornerą di nuovo a Peschici. Angelantonio lo accontenta. Ed Ettore continua a tenermi al corrente. “La prima vinificazione č finita … Abbiamo cominciato la svinatura: abbiamo eliminato il cappello in superficie, fatto di bucce e di graspi, travasando il vino dal basso della botte. Poi abbiamo spremuto anche il cappello con il torchio, e abbiamo rimediato un altro po’ di vino … L’ho assaggiato il vino: pare che ha un buon bouquet! … Abbiamo fatto un’altra svinatura. Sta venendo bene il vino … Adesso con la vinaccia, che ha resistito alla spremitura, voglio provare a fare la grappa … La fermentazione continua lenta: il vino vivo continua a maturare … Comincia a sentirsi l’aroma delle botti: il legno č di quercia … Ho trovato un alambicco! Mo faccio la grappa.”

* * * * *

Novembre inizia con due celebrazioni, due momenti per riflettere e ricordare: il primo del mese si festeggiano i santi, il due si ricorda chi non č pił con noi. Qui a Peschici capitano tra la vendemmia e la raccolta delle olive. Angela, nella «nuttątė u panė» precedente, prepara insieme al pane le fave dei morti: «i favė i Mortė: akkuė e farčinė, kuąlėke ąuė, menėlė acciakkątė e nu morsė dė zukkėrė e d’oġġjė.»

La sera di Ognissanti, prima di andare a dormire, ne riempie una calza, che dispone accanto al focolare. «Jč pė Pallėpąllė: ke kuąnn’a krammatčinė ‘a trąuė. Jč ‘a kavėzčttė i Mortė. Akkušģ sapė ke pņurė i Nunnė e i Papanłnnė, ke jissė nan vąidė,‘u penzėnė.» E accende due lumini, e li pone sul parapetto della finestra della cucina, al di qua dei vetri. «Sonnė pi Mortė nostrė. Akkušģ ląurė ‘i vedėnė e kapģššėnė ke pņurė nņujė pėnzamė a ląurė.» E lascia per tutta la notte la tavola apparecchiata con i dolci, e la credenza aperta. «Kuģstė so’ pė lląurė. Sė ‘nġasėmąjė vulčssėnė mėnģ.» Le finestre e i balconi nella piazzola e in Piazza Balilla sono tutti un baluginare di lumini. “Č la tradizione - mi spiega zio Raffaele. - Sono riti che tendono a esorcizzare la paura della morte, dell’oblio, della solitudine, dell’ignoto. «I favė!» Gią al tempo dei romani, pensa, le fave erano considerate un tramite fra il mondo dei vivi e l’altro mondo. Forse per il colore del fiore, che č bianco, maculato di nero; e il nero, simbolo di mistero, č colore molto raro tra i vegetali. E gią allora si mangiavano fave nei pasti tra i parenti del defunto. La commemorazione dei defunti č molto sentita, da sempre. D’altra parte la ricorrenza ha origini benedettine, come l’Abbazia di Calena. Tutta la liturgia in veritą č incentrata sul mistero della purificazione, in base alla quale ogni uomo ha la possibilitą di accedere dopo la morte a una vita eterna, trionfante. La commemorazione vuole certo suffragare i defunti, ma vuole anche creare un’occasione per pensare alla morte religiosamente, con fede e speranza; e spezzare l’ipocrisia del silenzio sulla morte. Sai, Biancł, Sant’Agostino cosa dice? ‘La morte’ dice ‘č l’unica cosa nella vita assolutamente certa’. E noi, quando ci capita di sapere che qualcuno č affetto da male incurabile, diciamo: ‘Poveretto, deve morire: č condannato, non c’č rimedio’. Ma non dovremmo dire la stessa cosa di ogni uomo, appena nasce?”

Don Michele celebra tre messe nelle tre chiese del paese: la funzione solenne č quella del due novembre al Purgatorio, con i membri della Confraternita della Morte schierati nei banchi del corale. “Gesł č venuto tra gli uomini - ricorda Don Michele durante le predica - per liberarli dal timore della morte. La morte c’č per tutti. Č il pił grande tra i problemi che affliggono gli uomini. Lo stesso Gesł di fronte alla morte, nell’orto di Getsemani, ha provato umanamente paura e angoscia. Ma Cristo la morte l’ha vinta! E ha indicato a noi come vincerla!”

Il cimitero il due di novembre č affollato.

* * * * *

La raccolta delle olive a novembre chiude il ciclo di vita annuale dei campi. Peschici č circondata da oliveti; l’olivo, la pianta mediterranea per eccellenza, č anche la pianta di Peschici per eccellenza. La raccolta delle olive č impegno che prende molte persone, per giorni e giorni, tutta la giornata, dall’alba fino a sera inoltrata. Mammą Mariuccia segue la raccolta a Croce, andando lassł un giorno sģ e due no. Ogni tanto mi piace accompagnarla. La squadra dei raccoglitori č costituita di quattro uomini e quattro donne. Giulietto guida le operazioni. Stendono grossi teloni di canapa, volta per volta, sotto un gruppo di olivi. Alcuni salgono su rami degli olivi - gli olivi superano raramente i tre metri di altezza - e con una pertica sbattono le olive, facendole cadere sui teloni; altri raccolgono le olive dai teloni e da terra, e le versano in un tino di legno. Il contenuto del tino, quando č pieno, viene sparso sul pavimento della casetta, dove resta fino a qualche giorno dopo la fine della raccolta. «I vulčivė akkušģ perdėnė ąkkuė, e perdėnė pņurė nu morsė dė pčisė, akkušģ o’ trappčitė cė pajė a kkjł pąukė» mi spiega Mammą. I raccoglitori lavorano allegramente, chiacchierando, scherzando, canticchiando. Papą intanto ha prenotato il turno per la spremitura al frantoio a Peschici.

Un paio di giorni prima del turno Giulietto, a Croce, raccoglie le olive dal pavimento della casetta in sacchi di canapa; e una carovana di cinque muli, legati a catena, guidati da Angelantonio, carica i sacchi, e li porta al frantoio, dove vengono pesati. La carovana fa avanti e dietro, finché le olive sono tutte al frantoio. Quando arriva il turno, Papą č al frantoio: Paolo e io lo accompagniamo. La macina č al centro del frantoio: una vasca di pietra, capace, sulla quale possono ruotare due grandi ruote di pietra, imperniate su un asse di legno duro, orizzontale. Le estremitą dell’asse sono legate con una corda robusta alle selle di due muli.

«Jč jjņutė bbąunė, ‘Mba Pavėlł: so’ kju dė kuarąnda kundąlė!» ci dice «Pėppčinė u Trappčitė» appena ci vede.
«Kuarąndė, komė i jurnė d’a Kuarčsėmė» scherza Papą.

I sacchi di Croce vengono svuotati nella vasca. Due ragazzi prendono le capezze dei due muli e li guidano, facendoli ruotare intorno alla vasca, per un’oretta buona. La macina fa il suo dovere: le olive vengono frantumate, fino a essere ridotte a un impasto, scuro, untuoso. I ragazzi prendono poi l’impasto con delle pale, e lo distribuiscono su fiscoli di paglia, che vengono accatastati l’uno sull’altro, in corrispondenza dell’asse del torchio, e compressi da un disco d’acciaio. La pressione del torchio, azionato dai due ragazzi, sul disco, e quindi sui fiscoli, libera il miscuglio di olio e di acqua che, incanalato, finisce nella cisterna: lģ l’acqua, pił pesante, si accumula sul fondo, e viene espulsa dal basso; e l’olio resta nella cisterna. I ragazzi prelevano poi la sansa della prima spremitura e la versano in un’altra vasca colma d’acqua: lģ viene recuperato olio residuo, che viene a galla. Il frantoio in paese lavora fino a febbraio.

«A Peskėcė» dice Papą, «kuąnnė na famģġġjė tąinė farčinė, oġġjė e včinė, tąinė tuttė kuillė ke servė.»

* * * * *

La vita di famiglia a casa č nel suo piccolo continuata. Rosalba e Antonio si sono sposati; Teresa ha continuato a fare l’amore con Mimģ, nonostante i voleri contrari di Papą e zio Luigi; Aldo a scuola č stato nuovamente bocciato; Ettore a scuola procede bene, ed č tutto preso da Mariolina e dalla preparazione della rappresentazione dei ‘Promessi Sposi’.

Il matrimonio di Rosalba e Antonio ha seguito le tappe tradizionali di rito. Antonio capisce che Rosalba č interessata a vivere la sua vita insieme con lui; e intensifica le sue visite a Peschici. Papą chiede al giudice Darrigo di cercare notizie sulla famiglia Cirillo a San Severo; deve aver avuto risposte confortanti, che ha certamente riportato a Mammą. Antonio parla a Papą di Rosalba; Papą dice di non avere nulla in contrario. Antonio parla a Mammą di Rosalba; Mammą dice di non avere nulla in contrario. Papą parla a Rosalba di Antonio; e Rosalba dice di non avere proprio nulla in contrario. Antonio parla con Rosalba, prendendole una mano tra le sue; Rosalba gli risponde, infilando anche l’altra mano tra le mani di Antonio. Don Alfonso, il papą di Antonio, viene a casa a Peschici con Carmelina, la figlia maggiore (la mamma di Antonio č morta). Don Alfonso e Papą Paolo parlano a lungo; Carmelina e Mammą Marietta cucinano insieme; mentre Antonio e Rosalba chiacchierano con noi in salone. Il fidanzamento si fa. I due sposi vivranno a San Severo, il paese dove Antonio lavora; avranno una casa tutta per loro: attualmente č di proprietą di Don Alfonso, ma sarą donata agli sposi; Antonio porterą il letto e i comodini; Rosalba porterą il resto dei mobili e il corredo.

Il fidanzamento č celebrato a Peschici a casa Laberi. La famiglia Cirillo arriva la mattina presto con una Fiat 508. Vengono fino al portone; e bussano. Mammą apre il portone e dice: « o ššėnnčiiimė.» Un quarticello d’ora dopo Papą, Mammą e Rosalba scendono; e vanno tutti insieme alla messa al Purgatorio. In chiesa davanti all’altare, davanti a Don Michele, davanti a tutti, nella prima fila, da una parte Antonio e Don Alfonso stanno a lato di Papą, alla sua sinistra; dall’altra parte Rosalba e Mammą stanno a lato di Carmelina, alla sua destra. Il fidanzamento č ufficiale. Č stato poi festeggiato a casa con il pasto in comune: un pasto normale, con in pił vassoi di confetti e di dolcetti ricoperti di glassa, e bicchierini di limoncello, che Angela fa molto bene. Antonio regala a Rosalba un anello; Rosalba si commuove, e fugge via piangendo. Nel pomeriggio la famiglia Cirillo riparte per San Severo.

Dopo il fidanzamento Antonio, quando viene a Peschici, viene a pranzo a casa; e Rosalba e Antonio vanno a Messa insieme; e fanno lo striscio insieme. Rosalba passa mesi a preparare il corredo: Teresa e Angela - e anche le figlie di zio Luigi - l’aiutano. Il corredo, la settimana prima del matrimonio, č portato nella casa degli sposi. Il matrimonio č celebrato di sabato nella Chiesa di Sant’Elia. Il matrimonio a Peschici č una festa della comunitą. Antonio arriva insieme con Don Alfonso e Carmelina con la Fiat 508. Una quindicina di parenti e amici dello sposo sono arrivati con il trenino a Calenella; e Michelino la Macchina li ha portati fino alla Chiesa con tre traini; gli uomini hanno tutti la cravatta, le donne hanno tutte il cappellino e la borsetta.

“Appena l’automobile č comparsa alla Curva del Frantoio - mi racconta successivamente Antonio - uno sciame di ragazzini, festante, si č accodato; Carmelina gli ha lanciato confetti e caramelle; ci hanno accompagnato fino a Sant’Elia.” Una parte dello sciame č volato fino a casa, ha bussato al portone e, quando Angela ha aperto, ha gridato: «Kumą Lėnł, so’ rruuątė!» Papą scende dando il braccio a Rosalba; dietro Mammą e Angela; poi noi con la famiglia di zio Luigi, che č venuta a casa nostra prima. Rosalba ha un abito bianco nuovo, confezionato da Bastianino, con un velo bianco lungo fin quasi a terra; porta tra le mani una composizione di mirto, di alloro e di violette. Papą, camicia aperta e gilč, si č rifiutato di mettere la cravatta; Mammą si č messa delle scarpe decenti - s’č fatta convincere a lasciare le pianelle a casa - ma si č rifiutata di indossare cappellino e borsetta. Davanti al portone si č radunata una folla di gente: gente della piazzola, gente di Piazza Balilla, gente del borgo. Quando appare la sposa al braccio di Papą, le campane del Purgatorio cominciano a suonare; la gente applaude; molte ragazze accarezzano Rosalba, il suo abito, il suo velo. Il corteo, con Papą e Rosalba in testa, si muove lentamente verso Sant’Elia. Lungo il percorso donne alle finestre sventolano fazzoletti o panni bianchi; le campane di Sant’Elia si sovrappongono a quelle del Purgatorio.

In chiesa Don Michele č gią sull’altare; Antonio č in piedi accanto all’inginocchiatoio; vicino a lui Don Alfonso e Carmelina; nelle prime file sono gią sistemati i notabili del paese, il Sindaco, il Brigadiere, e gli altri; alcune sedie sono lasciate libere per i parenti stretti degli sposi. Papą accompagna Rosalba presso l’inginocchiatoio; guarda Rosalba, la attira a sé, la abbraccia forte a lungo, mormorandole cose all’orecchio; poi la lascia, guardandola ancora negli occhi. Si volta verso Antonio e apre le braccia; Antonio lo abbraccia. Antonio si avvicina a Rosalba, la guarda negli occhi, le prende una mano, si china a baciargliela, e la guida all’inginocchiatoio. Papą e Don Alfonso si abbracciano; Mammą Mariuccia e Carmelina si abbracciano; tutti prendono posto; c’č un gran brusio sotto lo scampanio. Don Michele fa il segno della croce; inizia la funzione; il brusio cessa; lo scampanio continua.

Dopo la funzione Antonio dą il braccio a Rosalba. Appena fuori della chiesa Rosalba lancia il mazzetto di fiori verso Teresa, che lo prende al volo, e lancia uno sguardo a Mimģ. Il corteo, con in testa Antonio e Rosalba, seguiti da Papą che dą il braccio a Carmelina, e Don Alfonso, che dą il braccio a Mammą Mariuccia, torna lentamente verso casa; la gente, dai lati del corteo, dalle finestre, dalle terrazze delle case, lancia chicchi di grano, e sale, e lenticchie, e rami di mirto.

«Sonnė tuttė seńńė» mi spiega Angela. «U ġranė jč l’aġłrėjė dė bbona salņutė, u salė jč d’a sapėjčnzė, i mmģkulė di ġrandizzė, ‘a murtčllė jč l’aġurėjė k’anna naššė tanda fiġġjė.»

Mammą ha voluto organizzare il banchetto nuziale sulla terrazza: ha sistemato due tavoli, uno per gli sposi e i genitori, l’altro enorme per parenti e amici. Poi ha disposto tante cose da mangiare sul tavolo ovale della cucina, e ha lasciato aperto il portone per chiunque volesse entrare. Antonia rischia di impazzire; e, con lei, Santina, Nunziatina e Annuccia, che le danno una mano. Nel pomeriggio inoltrato Rosalba e Antonio partono con la Fiat. Prima di partire Rosalba ha voluto riguardare da sola tutti gli angoli della casa; ci lascia, senza parlare, con gli occhi lucidi.

“«Mėkėlčinė ‘a Makėnė» - mi racconta poi zio Raffaele - ha passato tutta la giornata accanto alla Fiat di Don Alfonso, a rimirarsela.”

«Rumančimė sembė akkjł pąukė jind’a sta kasė» riflette Papą sconsolato un po’ pił tardi. «T’arrėkłrdė, Bėjanġł, kuąnnė si rruatė a Peskėcė mo fa dņuj’annė? Jemmė dudėcė! Cė stąivė Nonnņ, Pąulė, Rosalbė e Rosčttė, ke mo n’ gė stannė kkjł kė nnņujė … Be perņ amma sėstėmatė a n’ata fiġġja femėnė. Prčimė a Marčjė kė Mėkąilė a Korątė, po a Pąulė kė Nėkulčinė a San Rąimė; mo Rosalbė kė ‘Ndončjė a Sanzėvąirė … Mbč Jangėlė kė Gesł rumąnė a Peskėcė … Mo amma pėnzą a Sėnellė! Ma na’ ńč kąusa bbąunė kė stu kunzėprčinė.»

Qualche mese dopo Papą fa costruire sulla terrazza un muro, alto pił di due metri, a dividere la terrazza nostra dalla terrazza di zio Luigi. «Akkušģ a Sėnellė ‘i passė nu morsė u sbriġġjė dė jģ a perdė tembė allą sąupė.»

Ma Teresa, quando Papą non c’č, continua ad andare sulla terrazza. «Mėmģ u mņurė ‘u kkoppė» mi ha confidato.
“E Papą non lo sa?”
«Po jessė ke ‘u sapė. E ke ‘u penzė. Ke po fa kkjł? Jissė pė mmo u mņurė l’ą fattė, pė dčicė akkąumė ‘a penzė: pė dicėlė a mme, a Mėmģ, a zė Luģggė, a tuttė. »

I figli maschi pure sono fonti di grosse preoccupazioni per Papą: «Pėppčinė, ą fą a fforzė u medėkė all’Albanėjė; Gėggčinė, sta prėggiunėiąirė all’Indėjė; Dėddčinė, ke na’ ttąinė kapė nč dė studėją nč dė fatėją!»

Papą per Aldo č preoccupatissimo: Aldo č stato nuovamente bocciato a scuola soprattutto per il suo carattere irrequieto, irrispettoso «Ke almąinė akkumenząssė a fatėją kė mme.» Ettore č l’unico maschio che non dą preoccupazioni rilevanti. Anzi! A scuola se la cava bene; a Peschici dą una mano, al Renazzo e a Croce; č pieno di iniziative: il mandolino, l’Azione Cattolica, la compagnia teatrale; e Mariolina. Ettore č innamorato di Mariolina! Mariolina abita in campagna, nella piana di Peschici, in un podere vicino al Renazzo, in una casetta molto carina; i genitori sono contadini: «Tenėnė vińńė, vulčivė e n’ortė bellė grossė» mi racconta Angela. «U patrė, Rokkė, fatėjė a fąurė da sembė, jč fiġġjė dė famiġġjė k’anna sembė fatėjątė a fąurė: ‘a Mammė, Marčjė, fatčjė kundčndė apprčss’a jissė, da kuąnnė Rokkė cė nė jč nnamurątė, e cė l’ą dittė, e jessė, ke tėnąivė sidėcė annė, ą lassatė ‘a skąulė ke facčivė a Foggė, e jąivė bravė … Marčjė nan parė propėjė na femėnė dė fąurė. Sembė a ppostė, ki robbė nittė, parlė bbąunė u ‘talianė, e leggė pņurė i libbrė. I fiġġjė anna pėġġjatė da jessė!»

Mariolina ha due sorelle, Michelina pił grande, e Andreina pił piccola. Sembrano fatte con lo stampino: tutte e tre biondine, con gli occhi chiari, il viso atteggiato al sorriso; vanno a scuola a Foggia tutte e tre.

* * * * *

Luisa mi tiene al corrente, per quanto possibile, di quello che accade a Roma. Ci scriviamo; le lettere viaggiano lentissime; la censura č certamente in azione. Luisa mi riporta sensazioni di disagio che lei e Giovannino avvertono. L’approvvigionamento di cibo ai mercati diventa sempre pił problematico; la borsa nera č dappertutto; le strade sono brulicanti di persone indigenti; la disponibilitą di abitazioni č limitata. La cittą appare sempre pił frequentata da tedeschi: la loro presenza si avverte in tutti i Ministeri. Il bombardamento al quartiere di San Lorenzo ha gettato tutti nello sconforto. Lei e Giovannino hanno avuto paura: San Lorenzo č lģ a due passi da Piazza Bologna. La casa mia e di Gino a Roma potrebbe far gola a qualcuno. Il contratto di affitto continua a mantenere validitą, data la situazione di Gino; ma la casa, essendo vuota, potrebbe essere requisita, o pił semplicemente occupata: converrebbe che fosse abitata. Ho chiesto a Luisa di occuparsene. E Luisa č riuscita a subaffittare casa ai coniugi Conte: lui č un generale in pensione.

Ora sono senza Gino mio. E senza casa mia. Ma ho Paolo, Paolo mio.


(5.5 fine)


NB1. Per seguire meglio la narrazione, elenchiamo di seguito i link delle puntate precedenti.

Cap.1 - Rifugio a Peschici - Gino e io. Italia in guerra. Gargano. Arrivo a Peschici. (18.06.1940)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5363
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5369
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5410
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5435

CAP. 2 - La Famiglia - La casa. La famiglia. La giornata. Primi incontri. (23.06.1940)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5487
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5523
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5559
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5628
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5656

CAP. 3 - Il Paese - Peschici. Guerra in Africa. Gino prigioniero. (21.04.1941)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5709
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5734
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5751
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5779
(5) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5811

CAP. 4 - Echi di guerra - Guerra in Italia. Gino in India. Ciclo delle stagioni. Brani di vita. (29.09.1943)
(1) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5851
(2) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5882
(3) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5919
(4) http://www.puntodistella.it/news.asp?id=5962

CAP. 5 - Echi di caos

CAP. 6 - Ritorni

CAP. 7 – Tra le stelle


NB2. Si puņ facilitare la lettura dei periodi idiomatici tenendo a portata di mano la tabella dell’Alfabeto Peschiciano scaricabile da www.puntodistella.it/public/file/periodici/alfabeto_pds.doc



 RedazioneLoro filtrano, pił o meno, il latte, e lo versano nel caldaro. Poi mettiamo il caldaro sul fuoco; e «Mattėjłccė» aggiunge il caglio, estratto dallo stomaco di agnellini: lui sa quanto aggiung

 

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