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14/06/2012

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Clicca per Ingrandire "ROMANZIERE SERIO E RINOMATO CERCA STORIE E PERSONAGGI PER STESURA ROMANZO. LAUTA RICOMPENSA IN CASO DI UN'EVENTUALE SELEZIONE DEL SUDDETTO AUTORE. SE INTERESSATI, PRESENTARSI IL GIORNO SETTE CORRENTE MESE A PARTIRE DALLE 14.30 NELLO STUDIO DI VIA PIRANDELLO 36. CITOFONARE A PROF. LUIGI CASSETTO, SECONDO PIANO. ASTENERSI PERDITEMPO E PERSONAGGI POCO DEGNI DI RIGUARDO E INTERESSE."

«Perfetto - pensò, mentre sorseggiava il caffè assaporandone ogni aroma e sfumatura di gusto. - Ora non mi resta che aspettare e, con un po' di fortuna, il gioco sarà fatto in un battibaleno!» Gli occhi del vecchio professore scintillavano di autentico piacere. Osservava compiaciuto il giornale aperto, che aveva steso a mo' di tovaglia, sul tavolino davanti a sé. Se c'era una cosa che non sopportava, era avere le due mani occupate mentre faceva colazione al bar cui era solito andare. Per giunta, l'annuncio appena pubblicato, ancora fresco di stampa, si trovava proprio nella piega che divide in due il quotidiano e voleva considerarlo bene, con calma. Centellinarlo insomma, come si centellina un espresso di ottima qualità.

Lo rilesse più volte e gli piacque dall'inizio alla fine. Non una parola di troppo né una mancante. Perfetto. La scelta dei caratteri in stampatello maiuscolo - aveva dovuto aggiungere un supplemento in moneta sonante per ottenerli - era stata azzeccatissima perché così il testo risaltava come un'isola fertile e rigogliosa nell'anonimo mare sterminato e informe degli annunci economici del giovedì. Aveva davvero studiato ogni minima cosa. Perfetto. Come raramente accadeva, il professor Cassetto era soddisfatto di sé.

Col braccio semialzato, puntò il dito ad antenna per captare l'attenzione vagante del giovane e indaffarato cameriere. “Garçon: l'addition s'il vous plaît!” Gli piaceva rivolgersi in francese ai suoi consimili ogni qualvolta se ne presentasse l'occasione. Non tanto per certe piccole vanità senili desiderose di fare sfoggio di conoscenze linguistiche sconosciute ai più, quanto per il piacere di rievocare a se stesso il soggiorno parigino durato tre anni, molto tempo addietro. Fu preso da nostalgia e rimpianti. «Ah, Parigi: laggiù sì che si trovano personaggi e storie in tutta facilità, senza nessuno sforzo! Non hai che da rimanere in ascolto, coi cinque sensi all'erta, e quelle si presentano da sole, senza che tu debba muovere un dito. Magari te le sussurrano le sagome imprecise di due innamorati che si tengono la mano nelle luci soffuse di un bistrot di Saint-Germain-des-Près. Oppure te le suggerisce il tappeto di foglie gialle e rosse che fai scricchiolare passeggiando una malinconica sera in riva alla Senna. Eggià, perché a Parigi tutto si tinge di poesia, perfino i vapori etilici di un Sans-abri intento a crearsi un cantuccio di cellulosa al riparo dal freddo in una stazione del metrò. E tu non devi fare altro che organizzarle e buttarle su carta. Assemblarle, come si rimettono in ordine i pezzi di un puzzle facile e consueto. Ah, Parigi, Parigi...»

“Ecco, Professore: fanno tre euro e cinquanta.”
“Voilà jeune homme, gardez la monnaie, je vous en prie.”
“Grazie”.

Il professor Cassetto uscì nel sole del mattino primaverile carico di euforia e baldanza giovanile, e si diresse di buon passo (e in largo anticipo) nel luogo dove nel pomeriggio avrebbe passato al vaglio storie e personaggi, cioè a casa sua. Per l'occasione, con l'aiuto della governante, aveva già predisposto l'appartamento mettendo un divano e alcune sedie nella grande anticamera antistante lo studio. Così gli offerenti avrebbero potuto attendere comodamente e in serenità il proprio turno. Inoltre, per stimolare la creatività dei presenti - e conoscerne i gusti letterari, se mai ne avessero avuti - dispose sul largo tavolo basso da salotto libri di vario genere: Gogol, Kafka, Beckett e Ionesco, solo per citarne alcuni, con la misteriosa intenzione di domandare a ognuno, alla fine di ogni colloquio, per quale libro avesse optato e perché.

Il sobbalzo dell'ascensore arrestatosi al secondo piano gli provocò un involontario movimento intestinale. «Maledizione, scoreggiare in un posto così non ti lascia via di scampo: se per caso incontri qualcuno, la tua persona sarà associata per sempre a quel peto. E a quell'odore», pensò imbarazzato. Guardingo, si affacciò sul pianerottolo e in men che non si dica sgattaiolò in casa con l'agilità di un felino. «Voilà, au diable!» esclamò sollevato mentre richiudeva la porta d'ingresso dietro di sé. Come se lo avesse sentito arrivare e lo stesse aspettando, il professore si trovò davanti Elvira che gli sorrideva affabilmente. Finse indifferenza abbassando leggermente il mento nel tentativo di nascondere il rossore che sentiva accendersi sulle guance.

“Bonjour Elvira.”
“Buongiorno, Signor Luigi.”

L'efficiente cameriera lo aiutò prontamente a sbarazzarsi di soprabito e cappello. Da quando aveva perso la moglie, quattro anni prima, la donna era diventata una collaboratrice fedele e insostituibile per il professore.

“Merci Elvira. Ah, come farei se non ci fossi tu?”
“Lei è troppo gentile, signor Luigi.”

Le diede le ultime disposizioni, poi entrò nello studio andando a sedere alla scrivania di mogano rosso. Quanto aveva organizzato lo riempiva di ottimismo e aspettative nuove: grazie all'annuncio avrebbe finalmente ritrovato la creatività persa molto tempo prima. Ma soprattutto, le luci della ribalta si sarebbero accese di nuovo su di lui, sfavillanti e generose, ridando colore e brillantezza alla sua fama di grande scrittore, appannatasi ormai da un po' troppi anni. Incrociò soddisfatto le mani sulla pancia e si mise a osservare i filamenti di polvere danzanti nella luce che filtrava dalle persiane. Piano piano cadde in una specie di dormiveglia, poi si addormentò profondamente…

***

Il toc-toc secco e preciso contro il legno lo fece sussultare: la pendola a muro segnava le quattordici e trentatre. Con un gesto rapido della mano si sistemò i capelli e raddrizzò sulla sedia. “Avanti!” La cameriera annunciò la prima visita al professore con un sorriso appena accennato, come trattenuto, poi scomparve dietro la porta. Un attimo dopo, una sagoma enorme si affacciò sull'uscio occupandone quasi per intero tutto il riquadro. “Avanti...” ripeté con meno slancio Cassetto. Con incedere malfermo e dondolante, un donnone sul metro e ottanta intorno al quintale (forse più) avanzò fino al suo cospetto facendo scricchiolare minacciosamente a ogni passo il parquet di legno sotto i piedi. Dinanzi a una stazza così imponente, l'anziano professore tradì un impercettibile turbamento trasalendo e strabuzzando involontariamente gli occhi. Era una giovane donna di una trentina d'anni dai capelli molto ossigenati e troppo trucco intorno a occhi e bocca. Indossava un vestito di seta sgargiante a fiori assai scollato che lasciava in bella mostra la sostanziosa quantità di due seni enormi, simili per dimensioni e forma a due palle da bowling. Inversamente, aveva due gambette piuttosto fini e sproporzionate rispetto al resto del corpo che conferivano a quella femmina un non so che di uccellesco. «Una specie di passero gigante - pensò. - In altra epoca avrebbe potuto certamente essere esibita in un luna park come fenomeno da baraccone.»

Cercò di darsi un po' di contegno sforzandosi di apparire naturale e spontaneo. “Buonasera signorina, la prego, si accomodi.” Lei rispose al saluto con un cenno del capo, mantenendo gli occhi incollati a terra. Sedette appoggiando la parte di deretano che la povera sedia poteva ospitare - e sopportare - esponendo il rimanente corporeo alle forze gravitazionali del vuoto. Cassetto annusò l'aria con malcelato disgusto: la massa di tessuti ambulante che si trovava davanti emanava un profumo dolciastro, sicuramente economico - da supermercato, - che lo infastidiva. Lei non si accorse di nulla continuando a fissare un punto imprecisato del pavimento. Per un attimo la penombra della stanza si infittì in un silenzio denso e imbarazzante. Siccome quella non apriva bocca, lui prese l'iniziativa e ruppe il ghiaccio. “Bene signorina, lei è qui per propormi una storia, può parlare liberamente ma prima, di grazia, mi favorisca il suo nome.”

“Mi chiamo Magda” rispose, con le dita che si agitavano nervosamente sul congegno di apertura della minuscola borsetta in finta pelle che teneva appoggiata in grembo.
“Cominci pure, Magda, la ascolto. Quale storia vuole raccontarmi?”
La donna trasalì un paio di volte, poi disse: “... Ehm, ecco vede, io non sono sempre stata così. Prima ero diversa... capisce?”
“Francamente no, signorina. ‘Così’ come? Mademoiselle, vuole essere più esplicita, per piacere?”

Non rispose. Si mise a frugare all'interno della borsa e ne estrasse una foto. La osservò per qualche istante come ad assicurarsi che fosse quella giusta, poi, facendola ruotare con le dita nel senso del professore, la appoggiò sulla scrivania posizionandogliela davanti. Cassetto prese gli occhiali dal taschino del panciotto e si mise a guardare l'immagine. Era una vecchia Polaroid dai colori un po' sbiaditi sulla quale vide raffigurata una figura femminile in piedi. Una ragazza intorno ai sedici anni sorrideva posando per l'autore dell'istantanea. Era snella e carina ma, benché sorridesse, un'ombra di tristezza le attraversava lo sguardo. Si accorse della dedica sul retro, la lesse ad alta voce: “A Magda, l'Angelo mio. Papà”. Dopo averla esaminata per un buon momento, allungò il braccio per restituirle la fotografia. “Uhm, e così era lei, più giovane...”
“Sì, prima che...”, ma la risposta fu interrotta da uno scoppio di pianto. Rovistò con le mani nella borsetta alla ricerca disperata di un fazzoletto. Ne estrasse uno di stoffa variopinta e si soffiò sonoramente il naso, soffocando come meglio poteva i singhiozzi che le si schiodavano dalla gola. “La prego di scusarmi, Signore, non è mia abitudine comportarmi così, ma è più forte di me”.
“Allons Mademoiselle, calmez-vous, je vous en prie!”

Per un momento fu incerto sul da farsi: non si era minimamente immaginato una situazione simile e non sapeva come procedere lo strano colloquio. Quell'essere, grottesco e misterioso per modi e sembianze, più balena che donna, al contempo lo irritava e incuriosiva. Benché fosse seccato e provasse una certa repulsione, avrebbe voluto saperne di più. Scelse di usare la diplomazia. “Senta Magda, se preferisce possiamo fissare un altro appuntamento, vederci un'altra volta insomma...”
“No, no, non si preoccupi. Non è niente. Adesso mi passa, anzi guardi, è già passato.” A riprova che stava dicendo il vero, emise un risolino nervoso simile a un cinguettio di passero e i suoi occhi incrociarono per un momento quelli preoccupati del professore, che continuava a guardarla come un veterinario alla ricerca dei sintomi rivelatori di malattia in una giumenta priva di parola e senno. Chiamò Elvira e fece portare acqua e caffè per stemperare gli umori neri della donna. Durante il ristoro parlarono di banalità legate alle condizioni meteorologiche e Magda riprese animo acquistando familiarità e confidenza col professore. Dopodiché ripresero la conversazione interrotta.

“Bene, Magda, ora che si è calmata e sta meglio, potrebbe dirmi qual è la storia che aveva intenzione di propormi?”
“Beh... ecco, io...” rispose la donna in un balbettio tremolante che irritò il professore.
“Ah, no, la prego: non ricominci!”
“Sì, anzi no!... Mi scusi... insomma io volevo dirle che...”
“Cheeee?”
“Che... la storia che volevo raccontarle è probabilmente molto interessante, solo che non posso raccontargliela.”
“Magda, benedetta ragazza, che cosa intende dire!?” esclamò Cassetto spazientito.
“Vede, Signore, non posso perché il racconto non possiede le virgole, e i due punti, e i punti e virgola... insomma, tutti i minuscoli segni utili per segnare le pause e chiarire i concetti. Inoltre, le parole sono mischiate e a raccontarla non si capisce nulla” rispose guardandosi i piedi, come avesse individuato una minuscola macchiolina sulla punta di una scarpa.
“Ma che dice!? E' una cosa alla quale possiamo rimediare, non le pare? E poi, come fa una storia a perdere la punteggiatura e confondere le parole?” domandò astioso sviluppando la certezza di trovarsi davanti a una demente. Poi, senza ulteriori speranze di poter cavare un ragno dal buco da quell'ammasso di carne abnorme e sconclusionato, aggiunse: “Uhm, capisco... Non si preoccupi, Mademoiselle, non importa. Sarà per un'altra volta”. E fece il gesto di alzarsi per accompagnare la donna alla porta.

“No, La prego Professore, non mi mandi via, io devo consegnarle la storia, ne va della memoria di un essere caro” supplicò Magda con tono allarmato e straziante. Cassetto non sapeva più che fare, l'incongrua fragilità della donna lo irritava e innervosiva ma non se la sentiva di alzare la voce per cacciarla in malo modo. Si impose autocontrollo e decise di fare un ultimo tentativo. “E va bene, Magda, allora me la consegni, così la leggerò con calma e le farò sapere.” Pronunciò la frase lentamente, scandendo bene le parole, quasi avesse a che fare con una bambina capricciosa e rompiscatole da convincere con le buone.
“Ma non si tratta di un racconto scritto! Io la so a memoria!” esclamò con indignazione e tono risentito. Poi continuò, risoluta: “Vede, Professore, la storia me l'ha trasmessa mio padre, molti anni fa. Più o meno, al tempo della foto che lei ha visto e lui stesso scattò. All'epoca, papà era un attore di teatro che aveva raggiunto una certa notorietà. Amava molto il suo lavoro ed era un uomo felice e appagato. Poi però, un brutto giorno, le cose cominciarono a cambiare: si era messo in testa di essere diventato orfano...”
“Diventato orfano... cosa significa, signorina? Vada avanti la prego” chiese, sorpreso e incuriosito dall'ultima rivelazione.

“Mio padre - continuò - si era creato una specie di fissazione: andava ripetendo che era un personaggio orfano d'autore. Aveva sviluppato questa idea e negli ultimi tempi non pensava ad altro. Aveva perfino smesso di fare l'attore perché credeva di dover recitare di nuovo solo quando avesse trovato l'Autore-Padre. Così cominciò a disertare le scene e si chiuse in casa, fino al giorno in cui non ne uscì più.”
“Perché suo padre non usciva più di casa, Magda?” fece Cassetto, ormai completamente assorbito dalle parole della donna.
“Perché tutte le settimane metteva un annuncio sul giornale locale per trovare l'Autore che stava cercando senza posa. Sosteneva che non poteva uscire nel caso gli avesse telefonato. Così passava le sue giornate standosene seduto sul divano, tappato in soggiorno. Quando suonava il telefono si precipitava a rispondere e guai se lo avesse fatto qualcun altro. Ma ogni volta era deluso e investiva di insulti e improperi il malcapitato interlocutore all'altro capo del filo. Spesso si trattava di impresari teatrali che volevano proporgli nuovi ruoli. Poi, piano piano, le telefonate scemarono. I registi non lo cercarono più. E mio padre, a poco a poco, scivolò in una grave depressione. Comunque, come può senz'altro immaginare, Signore, nessuno mai telefonò per rispondere all'annuncio. Un giorno - il giorno in cui mi fotografò nel giardino di casa - mi consegnò una busta sigillata contenente una lettera. Mi fece promettere di non aprirla e conservarla facendo attenzione a non perderla. Io ubbidii senza darci troppa importanza: era già da mesi che papà diceva e compiva stranezze di ogni tipo, e la cosa non mi aveva sorpreso più di tanto. Conservai la missiva in un tiretto e non ci pensai più. Una settimana dopo mamma lo trovò in garage appeso a una corda e io mi ricordai della lettera. Aprii la busta per esaminarne il contenuto...”

“E allora?” sbottò Cassetto, avidamente proteso in avanti nella concentrazione dell'ascolto.
“Dentro c'erano la fotografia che le ho mostrato e una lettera manoscritta destinata a me. Si trattava di un racconto preceduto da qualche raccomandazione che avrei dovuto rispettare. Voleva che lo imparassi a memoria e bruciassi il foglio immediatamente dopo averlo assimilato. Scrisse anche che non avrei mai dovuto dimenticare la storia fino al giorno in cui un Autore si fosse in qualche modo manifestato, per consegnargli a viva voce il testo. Ne rispettai le volontà, fino a quando stamattina non sono capitata per caso sul suo annuncio. Dopo averlo letto mi sono detta che forse era lei, Signore, l'Autore-Padre che mio padre aveva tanto cercato e così mi sono decisa a venire fin qui. Sa - continuò, - nel frattempo io e mia madre rimanemmo sole e gli anni che seguirono furono molto difficili per tutte e due. Io trovai consolazione nel cibo e cominciai a mangiare ingrassando a dismisura per raggiungere le dimensioni che può notare anche Lei. Pensi che una volta...”

“Certo, certo, è una vicenda molto triste - tagliò corto Cassetto. - La compatisco, Magda. Ora, se vuole, può raccontarmi la storia” disse in modo suadente, mascherando meglio che poté il tono sbrigativo col quale aveva formulato la richiesta.
“Ecco, vede, il problema sta proprio lì: la storia che mi trasmise papà era, per così dire, in codice: aveva omesso di proposito la punteggiatura e mischiato frasi e parole. Secondo lui - scrisse nella lettera - quell'espediente aveva lo scopo di togliere di mezzo gli autori impostori o fasulli. Pensava che solo l'Autore-Padre sarebbe stato capace di decifrarla, comprenderla ed essere in grado di restituirle fedelmente il senso originario.”
“Perbacco, Mademoiselle - disse con una punta di esasperazione, - mi racconti la storia e mi lasci giudicare, per cortesia.”

E Magda raccontò la storia al professore così come se la ricordava, senza punteggiatura e sintatticamente confusa, in modo neutro, senza pause né inflessioni vocali di nessun tipo. Ma Cassetto smise di ascoltarla quasi subito. Aveva scollegato il senso uditivo giacché la storia era a tal punto incomprensibile e fastidiosa da sembrargli addirittura un racconto fatto in una lingua straniera e primitiva. Frasi monche, assurde e strampalate, senza valore a nessun livello: una vera inutilità. Metaforizzando, avrebbe potuto dire che il racconto fosse finito in un frullatore il quale aveva mischiato e confuso parole e coerenza in modo irrimediabile e definitivo. Insomma, aveva perso - se mai ne avesse avuto uno nelle intenzioni del fautore - ogni senso compiuto, logico, perfino fonetico. Niente. Non c'era niente, assolutamente niente da salvare. Sicché, mentre lei parlava, si mise a pensare ad altro. «Tutto sommato, questa cicciona bislacca mi sta fornendo una bellissima storia, senza nemmeno saperlo. Ovviamente non quella che sta raccontando, buona solo per la spazzatura. Sono piuttosto i comportamenti del folle padre a renderla succulenta e romanzesca: un attore in cerca di un Autore-Padre è un'idea davvero molto originale e moderna.Un punto di partenza perfetto per ricavarne una esilarantissima storia, altroché!» Il vecchio professore pregustava già il piacere di scrivere, cosa che aveva smesso di fare da parecchi anni, ormai.

Quando Magda ebbe terminato, Cassetto saltò dalla poltroncina girevole quasi fosse un pupazzo a molla. Era impaziente di cominciare quella che letterati e eruditi avrebbero definito una 'metastoria', e voleva liberarsi di Magda al più presto. Assunse un'aria vaga e un po' indifferente. “In effetti, la storia è un tantino poco chiara. Ci penserò sopra per vedere se potrò ottenerne qualcosa. Le farò sapere al più presto.” Infilò la mano nella tasca posteriore dei pantaloni per sfilarne il portafogli e disse: “Ora, Mademoiselle, mi permetta di risarcirle almeno il disturbo.” Lei si ritrasse e rispose: “No Professore, La prego non mi offenda. Non voglio nessun compenso. In realtà, sarei io a dover ricompensare lei. Non si rende conto del beneficio che ho avuto a raccontarle una storia tutto sommato senza capo né coda. Volevo solo rispettare la volontà del mio povero e infelice padre: l'ho fatto per lui e per il bene che gli voglio. Mi auguro solo di esserle stata utile.” Persa quasi del tutto la timidezza iniziale, ora parlava guardando lungamente negli occhi il professore, senza troppo imbarazzo. Gli sorrise riconoscente e piena di gratitudine.

«Utilissima, mia cara elefantessa, utilissima! Non ti puoi immaginare nemmeno quanto...» pensò Cassetto con l'intenzione di non cercarla mai più. Ma rispose solo con un sorriso accondiscendente e forzato, appena accennato agli angoli della bocca. Dopo qualche frase di circostanza l'accompagnò alla porta congedandola con un galantissimo baciamano preceduto da un profondo inchino eseguito con finto sussiego ed esagerata eleganza: “Au revoir, ma chère Mademoiselle.”
“Arrivederla, Professore.”.

Uscita Magda dallo studio, tornò a sedersi alla scrivania. Febbrile, prese carta e penna preparandosi a trascrivere la storia appena sentita. Aveva già un ottimo titolo per iniziare. Scrisse sul foglio: ‘L'annuncio’.

***

… Il toc-toc secco e preciso contro la porta lo fece sussultare: la pendola a muro segnava le quattordici e trentatre. Con gesto rapido della mano si sistemò i capelli e raddrizzò sulla sedia. “Avanti!” La cameriera annunciò la prima visita al professore con un sorriso appena accennato, come trattenuto, poi scomparve dietro la porta. Un attimo dopo… un uomo in camicia a quadretti e pantaloni di fustagno varcò la porta dello studio. “Buongiorno, Professore, sono qui per la storia.”
“Buongiorno a lei” rispose con una punta di delusione il professore, abbozzando un sorriso spento e distante, mentre cercava invano di ricordare la natura del sogno che l’annuncio di Elvira gli aveva interrotto. Quando prese il taccuino per prendere appunti, sul fondo del cassetto trovò un vecchio ritaglio di giornale ingiallito e stinto. Lo lesse.

"ATTORE ORFANO E SERIO CERCA AUTORE-PADRE PER EVENTUALE RECITA IN SPETTACOLO TEATRALE. SELEZIONE ACCURATA DA PARTE DEL SOTTOSCRITTO-ATTORE PER EVITARE EVENTUALI CONTRAFFAZIONI, SIMULAZIONI E AFFINI. ASTENERSI FINTI AUTORI-PADRI E AUTORI-PADRI INCOMPETENTI.
TELEFONARE A FU MATTIA PASCAL"

Il professore esaminò minuziosamente il biglietto, finito lì chissà come. Il quadratino stampato gli provocava il sorgere di una reminiscenza oscura e lontana… o forse più vicina di quanto pensasse. Un racconto confuso in cui le parole fossero state mischiate e disposte in un ordine impossibile da decifrare. Luigi Cassetto non riusciva a scollare gli occhi dall'annuncio. Dopo il protrarsi di un'attesa che stava diventando sconveniente, l'uomo in camicia, un po' annoiato, chiese cortesemente se poteva cominciare a raccontare la storia che aveva portato con sé.

Il professore si alzò di scatto e cominciò a gridare: “Ma non vede che non è il momento?! Se ne vada! Presto, se ne vada!” accompagnando le frasi con un gesto secco e ripetuto della mano destra, mentre il telefono squillava...
“Pronto!” urlò nella cornetta.
“Pronto… parlo con Fu Mattia Pascal?”

Luigi Scarabino



 Redazione (foto: ramascreen.com)

 

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