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06/05/2012

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UNA DONNA E LA FOLLIA DEL NAZISMO

Clicca per Ingrandire Un grande vecchio del giornalismo italiano, Enzo Biagi, a chi lo intervistava chiedendogli quale fosse il segreto per attrarre il lettore sino alla fine dell’articolo rispose con la solita modestia che ricette non ce n’erano e lui si atteneva a una regola: raccontare il fatto raccontando la storia di qualcuno. Grande lezione per un mestiere che non si insegna ma si impara ogni giorno, annusando l’aria e leggendo quelli che scrivono meglio di te, partendo umilmente dal concetto che sono tantissimi, non essendo tu Enzo Biagi, evidentemente.

Dunque, la nostra storia: l’abbiamo trovata che circolava in rete, col faccino dolcissimo e rotondo di una vecchina (foto del titolo, dailypicksandflicks.com; ndr). Abbiamo approfondito, cercato altro: è venuta fuori una di quelle storie che ti riappacificano col genere umano. Dunque, la storia di Irena Sendler, vissuta durante la seconda guerra mondiale, nella follia del nazismo (leggi scheda in calce). Irena che, giovane impiegata al Comune di Varsavia, non ebrea e cattolica, entrò prima nella Resistenza eppoi nel Ghetto (foto 1 sotto) per salvare bambini. Con molti rischi e molte scuse, riusciva a gabbare le terribili SS che sorvegliavano l’inferno in terra che era il ghetto, ed entrava per “fare controlli per conto del municipio”.

Ragazza minuta (foto 2; a 32 anni) e automunita, infilava i neonati dentro una cesta e la cesta sul sedile di dietro, dove c’era anche un cane addestrato ad abbaiare appena i bimbi cominciavano a piangere, per coprirne il pianto e confondere le guardie. Una volta in salvo i bimbi cambiavano identità, ma Irena aveva cura, sotterrando barattoli di vetro nel giardino di casa, di scrivere vecchia e nuova identità affinché quei bambini potessero un giorno sapere chi erano veramente e, forse, ritrovare la propria famiglia o ciò che, dopo sei milioni di morti, ne era rimasto. Ne sotterrò di barattoli Irena: 2.500 bambini salvati dalla fame, dalle malattie e, infine, dalle fiamme e dalle fucilazioni in strada e ovunque ci fosse un ebreo nel ghetto di Varsavia.

Irena fu arrestata dalla Gestapo: le spezzarono gambe e braccia, chissà che altro inflissero a quella ragazza graziosa e minuta. Non morì e non parlò, ma non potè mai più camminare come prima. Dopo molti anni il suo Paese, la Polonia, la elesse eroe nazionale, lo Stato di Israele la considerò, massima onorificenza, tra i “Giusti”. Molti di quei bambini, ormai adulti, sono andati a trovarla e ringraziarla per aver salvato la loro vita (foto 3, di Mariusz Kubik) e, anche, un popolo. Poiché, come è scritto nel Talmud, chi salva una vita salva l’Umanità. Il 2005 venne candidata al Nobel per la Pace: lo vinse Al Gore, che non ha salvato 2500 bambini ma perse le elezioni contro Bush e fece perdere milioni di dollari a quanti avevano contribuito alla sua campagna elettorale. Usa versus Polonia, appunto.

A chi le faceva notare l’ingiustizia rispondeva con un sorriso: “Ogni bambino salvato con il mio aiuto è la giustificazione della mia esistenza su questa terra e non un titolo di gloria. Avrei - concludeva senza più sorridere - potuto fare di più, salvarne altri. Questo rimpianto non mi lascia mai”. Irena è morta qualche anno fa, in una casa di riposo polacca. Oggi la sua storia e il suo faccino sorridente di nonnina navigano in rete, su migliaia di bacheche, link, ‘condividi’, blog di chiunque voglia raccontare un fatto raccontandone la straordinaria protagonista. Di Al Gore, presidente mancato e Nobel di consolazione, si sono perse le tracce.

Rossana Gismondi


CHI È IRENA SENDLER = Da nubile Irena Krzyżanowska, (Varsavia, 15 febbraio 1910 - 12 maggio 2008), è stata una infermiera e assistente sociale polacca (foto 4, robertobrumat.wordpress.com), che collaborò con la Resistenza nella Polonia occupata durante la Seconda guerra mondiale. Divenne famosa per avere salvato, insieme con una ventina di altri membri della Resistenza polacca, circa 2.500 bambini ebrei facendoli uscire di nascosto dal Ghetto di Varsavia, fornendo loro falsi documenti e trovando rifugio per loro in case al di fuori del ghetto. Nacque in una famiglia polacca di orientamento politico socialista, nella periferia operaia di Varsavia.

Il padre, Stanisław Krzyżanowski, medico, morì di tifo il febbraio 1917 avendo contratto la malattia mentre assisteva ammalati che altri suoi colleghi si erano rifiutati di curare. Molti degli ammalati erano ebrei. Dopo la sua morte, i responsabili della comunità ebraica di Varsavia si offrirono di pagare gli studi di Irena come segno di riconoscenza. Pur essendo di confessione cattolica, la ragazza sperimentò fin dall'adolescenza una profonda vicinanza ed empatia col mondo ebraico. All'università di Varsavia, per esempio, si oppose alla ghettizzazione degli studenti ebrei e come conseguenza venne sospesa per tre anni.

Terminati gli studi, cominciò a lavorare come assistente sociale nelle città di Otwock e Tarczyn. Trasferitasi a Varsavia, già da quando i nazisti occuparono la Polonia (1939), cominciò a lavorare per salvare gli Ebrei dalla persecuzione. Con altri collaboratori riuscì a procurare circa 3mila falsi passaporti per aiutare famiglie ebraiche. Il 1942 entrò nella resistenza polacca che al suo interno presentava forti contrasti fra componente nazionalista-cattolica e componente comunista, contrasti che a volte si ripercuotevano anche nelle fasi decisionali. Il movimento clandestino non comunista di cui faceva parte la Sendler, la ‘Żegota’, le affidò l’incarico delle operazioni di salvataggio dei bambini ebrei del Ghetto.

Come dipendente dei servizi sociali della municipalità, ottenne un permesso speciale per entrare nel Ghetto alla ricerca di eventuali sintomi di tifo (i Tedeschi temevano che una epidemia tifoidea avrebbe potuto spargersi anche al di fuori del Ghetto stesso). Durante queste visite portava sui vestiti una Stella di Davide come segno di solidarietà col popolo ebraico e per non richiamare l'attenzione su di sé. Divenuta ‘Jolanta’, nome di battaglia, insieme ad altri membri della Resistenza organizzò così la fuga dei bambini dal Ghetto. I bambini più piccoli vennero portati fuori dal Ghetto dentro ambulanze o altri veicoli. In altre circostanze si spacciò per tecnico di condutture idrauliche e fognature: entrata nel ghetto con un furgone, riusciva a portarne fuori alcuni neonati nascondendoli nel fondo di una cassa per attrezzi o alcuni bambini più grandi chiusi in un sacco di juta.

Nel retro del camion teneva anche un cane addestrato ad abbaiare, quando i soldati nazisti si avvicinavano, e coprire così il pianto dei bambini. Fuori dal Ghetto, forniva ai bambini falsi documenti con nomi cristiani, ne annotava i veri nomi accanto a quelli falsi e seppelliva gli elenchi dentro bottiglie e vasetti di marmellata sotto un albero del suo giardino nella speranza di poter un giorno riconsegnare i bambini ai loro genitori. Poi li portava in campagna, affidandoli a famiglie cristiane, oppure in alcuni conventi cattolici (le Piccole Ancelle dell'Immacolata a Turkowice e Chotomów). Altri bambini vennero affidati direttamente a preti cattolici che li nascondevano nelle case canoniche.

Venne arrestata dalla Gestapo l’ottobre del 1943. Sottoposta a pesanti torture (le vennero spezzate gambe e braccia tanto che rimase inferma a vita), non rivelò mai il proprio segreto. Condannata a morte, venne salvata dalla rete della resistenza polacca che riuscì a corrompere con denaro i soldati tedeschi che avrebbero dovuto condurla all'esecuzione. Il suo nome venne così registrato insieme a quello dei giustiziati e per i rimanenti mesi della guerra visse nell'anonimato, continuando però a organizzare i tentativi di salvataggio di bambini ebrei. Terminate guerra e occupazione tedesca, i nomi dei bambini vennero consegnati a un Comitato Ebraico che riuscì a rintracciarne circa 2mila, anche se gran parte delle loro famiglie erano state sterminate a Treblinka e negli altri lager.

Dopo la guerra subì alcune minacce anche dal regime comunista per i suoi contatti col governo polacco in esilio e l'Armia Krajowa (Esercito Nazionale, principale movimento di resistenza). Pur essendo stata partigiana, non condivise mai la politica del Partito Comunista polacco. Il 1965 venne riconosciuta dallo Yad Vashem (Ente nazionale per la Memoria della Shoah) di Gerusalemme come una dei “Giusti” fra le Nazioni. Soltanto in quell'occasione il governo comunista le diede il permesso di viaggiare all'estero, per ricevere il riconoscimento in Israele.

La storia della sua vita venne riscoperta il 1999 da alcuni studenti di un college del Kansas (www.irenasendler.org) che lanciarono un progetto per farne conoscere vita e operato a livello internazionale. Il 7 novembre 2001 le venne assegnata la Croce di Comandante con Stella dell'Ordine della Polonia Restituta. Il 2003, papa Giovanni Paolo II le inviò una lettera personale lodandola per i suoi sforzi durante la guerra. Il 10 ottobre 2003 ricevette la più alta decorazione civile della Polonia, l'Ordine dell'Aquila Bianca, e il premio Jan Karski “Per il coraggio e il cuore” assegnatole dal Centro Americano di Cultura Polacca a Washington.

Il 2007, l'allora Presidente della Repubblica polacca, Lech Kaczyński, avanzò la proposta al suo Senato, che votò a favore all’unanimità, affinché fosse proclamata eroe nazionale. Invitata all'atto di omaggio del Senato il 14 maggio dello stesso anno, ormai 97enne, non fu in grado di lasciare la casa di riposo in cui risiedeva, ma mandò una dichiarazione tramite Elżbieta Ficowska, salvata da bambina. Il suo nome venne anche raccomandato dal governo polacco, e l'appoggio ufficiale dello Stato di Israele espresso dal primo ministro Ehud Olmertnella, nella scelta del premio Nobel per la Pace. Tuttavia, il premio venne assegnato a Al Gore.


Onorificenze:
Croce di Comandante dell'Ordine della Polonia Restituta - 12 giugno 1996
Comandante con Stella dell'Ordine della Polonia Restituta - 7 novembre 2001
Dama dell'Ordine dell'Aquila Bianca - 10 novembre 2003
Dama dell'Ordine dell'Ecce Homo
Dama dell'Ordine del Sorriso


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