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07/12/2011

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Clicca per Ingrandire Ho già cercato di chiarire, in un numero precedente di “Punto di Stella”, le motivazioni che hanno indotto gli autori della Grammatica a proporre l’alfabeto peschiciano; sottolineando esplicitamente che gli autori sono assolutamente aperti ad accogliere ogni suggerimento supportato da motivazioni consistenti. In questo scritto intendo argomentare a proposito delle varie osservazioni “tecniche” sull’alfabeto proposto, portate da Vincenzo Campobasso e Francesco Granatiero (leggi i commenti in coda all’articolo; ndr). Si tratta, ahinoi! di un dibattito tecnicheggiante, non necessariamente molto divertente. In uno scritto prossimo penso di argomentare su quali sono i miei punti di vista sulle osservazioni portate da Vincenzo su temi contigui alla Grammatica.

Argomentazioni relative alle osservazioni “tecniche” sull’alfabeto proposto nella “Ġrammàtëka Pëskëciànë”, portate da Vincenzo Campobasso e Francesco Granatiero.

A) Uso del grafema ‘ë’ per la rappresentazione della vocale atona [ə] (codifica IPA) (es: il termine ‘burrë’ è la traduzione in peschiciano del termine italiano ‘burro’):
• Osservazioni di Vincenzo:
1. … altri (gli universitari sul giornale “La Matricola” e lo stesso Felice Clima), preferiscono il semplice segno di elisione /’/, convinti come me che, essendo un segno muto, non debba essere indicato con un vero e proprio grafema.
2. … non è altro che una e-muta (e-muet in francese) … Essendo una vocale muta, io non vedo la ragione per riportarla, dandole poi un segno che suggerisca al lettore di non leggerla perché muta. Se è muta, è come se non ci fosse …
3. … in rodiano, poi … non c'è solo la e-muta, ci sono anche la i-muta (p.es, V'ttòrje - dove la /e/ è muta, ma non posso mettervi quella capovolta, di cui qui non si dispone) e, meno frequentemente, la u-muta (in questo momento, mi manca un esempio).
4. In rodiano … io ho pensato bene di omettere la /e/, in alcuni casi, e di sostituirla con il segno di elisione (identico all'apostrofo, ma che apostrofo non è) o della e-capovolta (grafema dell'alfabeto fonetico internazionale, praticamente muto) in altri casi.
5. Non vedo di buon occhio la scelta da voi operata perché, psicologicamente, il lettore (specialmente quello che non parla il dialetto che vorrebbe leggere) è portato ugualmente a leggere la /e/, sia che venga sormontata dalla dieresi, sia che venga rappresentata magra.

• Osservazioni di Francesco:
6. … tra il titolo citato e "Grammàt'ka p'sk'cian'" io, per non sapere né leggere né scrivere, preferisco: "Grammàteca peskeciane".
7. La /e/ muta c'è in francese, in tedesco, in inglese, e per scrivere David all'italiana (guarda un po'!) si scriveva Davidde.

• Argomentazioni di Paolo:
1. La soluzione /’/ non mi convince. Il grafema /’/ rappresenta una elisione; e l’elisione è la caduta della vocale finale di una parola dinanzi alla vocale iniziale della seguente (es: “l’acqua” “l’akkuë”). Il grafema /’/ rappresenta dunque una vocale caduta, che sia essa atona o tonica.
2. L’affermazione 2 non mi convince. Il fonema atono si avverte, esiste: è un suono vocalico, che indica la presenza di una sillaba. Il fonema è codificato da IPA ([ə]); e ogni lingua (o dialetto) ne codifica il grafema corrispondente.
Nell’alfabeto francese il fonema è rappresentato con il grafema /e/ (es: fille); questo comporta che i francesi utilizzino un altro grafema, il grafema /é/, per rappresentare il fonema [e] e il grafema /è/, per rappresentare il fonema [ε].
Nell’alfabeto inglese (che è lingua non fonetica) il fonema [ə] è rappresentato con vari grafemi: /e/ (es: ‘the’), /er/ (es: ‘butter,), /or/ (es: ‘door’)…
Nell’alfabeto napoletano il fonema [ə] è rappresentato storicamente con il grafema /e/, con le ovvie ambiguità indotte, ma non pochi scrittori utilizzano il grafema /ë/. E così via… Mi pare che il problema non sia “se” rappresentare il fonema, ma “come” rappresentarlo.

3. L’affermazione 3 non mi convince. Anche se il rodiano non lo conosco (e conosco poco il peschiciano). Quando si parli di e-muta, di i-muta, di u-muta, ritengo si faccia riferimento ai grafemi delle parole in lingua originaria (es: ‘Vittoria’). Il suono, il fonema, ho l’impressione sia sempre lo stesso ([ə]): e, se questo è vero, anche il grafema che rappresenta quel fonema è sempre lo stesso.
4. L’affermazione 4 m’intriga. Anche se il rodiano, mi ripeto, non lo conosco. Leggere, Vincenzo, che tu stai compilando il “Vocabbolàrjə du Dialètt Rudjèn’” (in peschiciano diremmo “Vokabbolàrëjë du Dialèttë Rudjènë”) m’intriga davvero tanto. Tu utilizzi tre grafemi diversi (/ə/ - assenza di grafema - /’/) per esprimere un fonema che in peschiciano si esprimerebbe con il solo /ë/! Perché? Si tratta in rodiano di tre suoni diversi?
5. L’affermazione 5 mi risulta non verificata. Gli autori hanno verificato che le persone (comuni) nel lasso di una ventina di minuti si abituano a pronunciare secondo le regole proposte.
6. L’affermazione 6 m’appare alquanto pilatesca. Il grafema /e/ rappresenta un suono diverso dalla vocale atona: diversità che troverei opportuno mantenere in termini di grafemi.
7. L’affermazione 7 non mi appare chiara. Quale lingua utilizzava ‘Davidde’?

B - Uso dei grafemi monogrammi /k/, /ġ/, /ñ/, /š/ per la rappresentazione dei fonemi consonantici rappresentati nella lingua italiana da digrammi (/ch/, /gh/, /gn/, /sc/ dolce).

• Osservazioni di Vincenzo:
1. Perché sostituire la /c/ aspra (riconoscibile dalla sua posizione, sempre davanti ad /a/, /o/, /u/), con /k/?
2. Perché usare /ġ/ per la /g/ aspra, anch’essa riscontrabile dalla propria posizione davanti alle citate tre vocali?
3. Il problema, semmai, si porrebbe per rendere aspro il suono di /c/ e /g/ quando sono seguite dalle vocali /e/ ed /i/.
4. … nulla ho contro /gn/ di paggnòtt, p’gnèt’, eccetera.
5. Nulla ancora ho contro /sc/ di sscém’, ssciaqquà, eccetera. Il problema, per me e per chi la pensa come me, si poneva con l’incontro di /sc/ con una /c/ aspra successiva: l’ho risolto, … questa volta, sì, con il ricorso alla /k/: casckavàdd.

• Argomentazioni di Paolo:
1. Il grafema ‘k’ è adottato per rappresentare agevolmente il raddoppiamento del suono consonantico a inizio parola (es: ‘più’ ‘kkjù’); consente inoltre di dirimere possibili ambiguità di pronuncia indotte dall’adozione dei grafemi /ë/ e /j/ nei grafemi dialettali /cë/, /cj/ (la fonologia della lingua italiana non regola ovviamente la pronuncia di /c/ davanti a /ë/ e /j/).
Il grafema, una volta introdotto, offre l’opportunità di sfruttarne appieno le potenzialità.
2. Il grafema /ġ/ è adottato per rappresentare agevolmente il raddoppiamento del suono consonantico a inizio parola (es: /ghianda/ > /ġġjannë/); consente inoltre di dirimere possibili ambiguità di pronuncia indotte dall’adozione dei grafemi /ë/ e /j/ nei grafemi dialettali /gë/, /gj/ (la fonologia della lingua italiana non regola ovviamente la pronuncia di /g/ davanti a /ë/ e /j/).
Il grafema, una volta introdotto, offre l’opportunità di sfruttarne appieno le potenzialità.
3. Il problema, avendo introdotto /k/ e /ġ/, non sussiste.
4. Il grafema /ñ/ è adottato per rappresentare agevolmente il raddoppiamento del suono consonantico (es: ingiuriare > ‘ññurà, ragazza > uaññàunë).
5. Il grafema /š/ è adottato per rappresentare agevolmente il raddoppiamento del suono consonantico (es: discesa > ššindё, riconoscere > ‘akkanèššё).
Il grafema, una volta introdotto, offre l’opportunità di rappresentare altri fonetismi potenzialmente ambigui (es: fucile > škuppèttë, lucertola > vuškërë) [potrebbe applicarsi anche al termine rodiano ‘casckavàdd’, evidenziato da Vincenzo].

C - Rinuncia ai grafemi /h/, /q/, /w/, /x/, /y/ nell’alfabeto peschiciano.

• Osservazioni di Vincenzo:
1. Qual è la necessità di eliminare, oltre all’uso di /w/ (sostituibile con il digramma /ua/ o il digramma /uo/, per rendere i fonemi di parole straniere), /x/ (sostituibile con il trigramma /ics/, sia in caso di parole straniere che di segni matematici), anche quello di /h/ e /q/, ai quali siamo almeno ben abituati?
2. Semmai, qualche dubbio potrebbe venire proprio in presenza di grafemi stranieri (per quanto ormai diffusissimi: vedi il ke per ‘che’ dei giovani nei messaggi sia con cellulari che via internet).

• Argomentazioni di Paolo:
1. L’adozione dei grafemi /w/, /x/, /y/, non compresi nell’alfabeto italiano classico, è apparsa inessenziale.
L’utilizzo del grafema /h/, avendo adottato i grafemi /ġ/ e /k/, appare ridondante.
L’utilizzo del grafema /q/, avendo adottato il grafema /k/, appare ridondante (come ridondante appare in italiano, ove induce tra l’altro ambiguità tipo “acqua, taccuino, soqquadro”, rappresentati con grafemi diversi).
2. La modalità di trattare (manipolare) termini di altre lingue non è stata affrontata compiutamente: gli autori ipotizzano che, ferma restando l’opportunità di esprimere i termini di una lingua specifica con l’alfabeto proprio della lingua stessa, il patrimonio fonetico dell’alfabeto peschiciano proposto dovrebbe poter rispondere alle esigenze.

Osservazione generale: gli autori, alla ricerca del contenimento delle ambiguità di pronuncia, hanno inteso proporre un alfabeto “fonetico”, composto da un grafema per ogni suono distintivo. Principio guida, questo, assunto per la configurazione dell'Alfabeto Fonetico Internazionale. Ho molto piacere, Vincenzo, Francesco, nel discutere delle vostre osservazioni. Sono decisamente intriganti. E utili. Spero che anche voi possiate trovare le mie argomentazioni di una qualche utilità.
E ribadisco ancora: gli autori della Ġrammàtëka Pëskëciànë sono assolutamente aperti ad accogliere ogni suggerimento supportato da motivazioni consistenti.

Paolo Labombarda


DIALETTO E GRAMMATICA = A lato delle discussioni sorte sulla “Grammàtëka Pëskëciànë”, ne stanno nascendo altre. Tra queste, la questione se la grammatica del dialetto sia o non sia insegnabile. Io ho dato il benvenuto, in questo senso, alla grammatica peschiciana dicendo che si potrebbe insegnare nelle scuole. Dovremmo forse modificare questo verbo, che manifesta tutto l’inutile impegno di insegnare il “come si parla” il dialetto a gente che comunemente lo parla, senza porsi alcun problema circa il perché e il percome un pensiero venga espresso in un modo anziché in un altro.

Partendo dall’assunto (già espresso altrove e comunque non originale perché detto e affermato più volte da altre persone) che il linguaggio - quindi il dialetto, nel nostro caso - fa la grammatica e non viceversa, è sicuramente più prudente parlare di “illustrare”, non di insegnare. Illustrare quali norme si sono ricavate dallo studio del dialetto, senza pretendere di modificare il modo di parlarlo da parte di chi lo parla. Il dialetto, oltretutto, non è un cristallo, è fiume che scorre, si modifica, si aggiorna, si modernizza, si adatta. Quel che abbiamo trovato valido in un momento, qualche tempo dopo non lo è più.

Certo, questo è fenomeno che avviene anche nell’italiano come lingua nazionale. Ce ne accorgiamo, lo parliamo ufficiosamente, poi, finalmente, arrivano i Grammatici della Crusca che approvano e autorizzano l’immissione dei neologismi, delle nuove locuzioni e via elencando, nel vocabolario. Analogo lavoro, per il dialetto, non è stato fatto, nemmeno per quelle grammatiche apparse, un po’ isolatamente qua e là, per tutto il territorio nazionale. Per stare al passo, un autore (o chi ne prende il posto dopo), dovrebbe ogni tot anni preoccuparsi di rifare gli studi che lo hanno portato a schematizzare la grammatica e aggiornarla. Col risultato di starci continuamente a rielaborarla.

Personalmente, come parte introduttiva al mio vocabolario (che ha unicamente lo scopo di salvare il salvabile dei fonemi usati da secoli o da pochi anni nel vernacolo), ho riportato pochissime note, più come “essere” che come “dover essere” delle cose, talvolta ripetendole nel corso di trattazione dei lemmi, talaltra parlandone ex-novo (proprio per spogliarle da una ufficialità non necessaria né opportuna). E sono questi gli aspetti di una grammatica che vanno illustrati. E’ come dire che al curioso si dà conto del perché egli si trova a parlare in quel suo modo, non che così deve parlare. Potrebbe ben succedere, infatti, che io parli all’uditore dell’uso di una forma verbale ed egli, giratemi le spalle, parli per circonlocuzioni, per parafrasi, a mezzo di locuzioni, eccetera, che nulla hanno a che fare con la forma verbale da me illustrata.

Vincenzo Campobasso

 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 08/12/2011 -- 09:45:23 -- vincenzo

Al mio ultimo riscontro al dott Labombarda, vorrei aggiungere questo invito ai lettori. Andate su Google e digitate Alfabeto Fonetico Internazionale. Vi renderete conto che: 1, non ci sono i simboli proposti/usati dai tre autori della Grammatica Peschiciana; 2, che, a voler adottare questo alfabeto, nessuno (tranne certi linguisti mestieranti) capirebbe nè il dialetto rodiano, nè quello peschiciano, nè qualunque altro dialetto o lingua del mondo! Il dialetto non è altro che lingua italiana adattata a quel contesto. Perchè renderlo tanto lontano dalle nostre conoscenze grammaticali di base? Io, tranne che per qualche "fuga", mi attengo, per lo più, proprio a queste conoscenze. Oltre non vado, altri sacrifici ai lettori non chiedo.

-- 09/12/2011 -- 13:46:10 -- Paolo

mi trovo perfettamente d’accordo sul senso generale di quanto espresso a proposito dell’ ”insegnamento” della grammatica: preferirei forse il termine “discutere” (che fa pensare a una discussione tra molti), al termine “illustrare” (che fa pensare a un messaggio da uno a molti)

-- 09/12/2011 -- 15:16:28 -- Paolo

Convengo che sull’Alfabeto Fonetico Internazionale (IPA) “non ci sono” (come sottolineato da Vincenzo) “i simboli proposti/usati dai tre autori della Grammatica Peschiciana”. Aggiungerei che non ci sono neppure i simboli usati per l’alfabeto italiano, o per quello francese, o per quello inglese, o greco, o cirillico, o …. L’alfabeto fonetico infatti è, appunto, “fonetico”, non “grafico”: è cioè l’elenco dei suoni elementari (“fonemi”) che l’apparato vocale umano è in grado di emettere (sono una cinquantina), rappresentati, per distinguere per iscritto ciascun fonema da un altro, con simboli grafici differenti, avendo l’avvertenza di porre tali simboli tra parentesi quadre proprio per ricordare che non si tratta di un alfabeto “grafico”. (CONTINUA 1)

-- 09/12/2011 -- 16:45:07 -- Paolo

(1 CONTINUA) Se i lettori desiderano ricordare i 21 grafemi dell’alfabeto italiano, suggerirei di cercare l’alfabeto italiano, appunto, e non l’IPA: l’alfabeto italiano è la maniera convenuta (dagli italiani) per rappresentare graficamente alcuni dei fonemi dell’IPA , i fonemi usati da chi in italiano si esprime. Analogamente dovrebbero agire per qualunque altro alfabeto. L’alfabeto cirillico russo, ad esempio, ricorda la maniera convenuta (dai russi) per rappresentare graficamente i più di 30 fonemi usati da chi si esprime in russo. Ogni alfabeto usa spesso riportare, accanto ad ogni grafema, il fonema IPA del suono che rappresenta, espresso graficamente secondo il protocollo IPA. E molti vocabolari usano riportare, accanto ad ogni lemma, la pronuncia del lemma espressa graficamente secondo il protocollo IPA. (CONTINUA 2)

-- 09/12/2011 -- 17:00:02 -- Paolo

(2 CONTINUA) Ad esempio (da dizionari Collins Gem): “chiudere” (it) [‘kjudere] (IPA); cialda (it) [‘t∫alda] (IPA); scemo (it) [‘∫emo] (IPA); oui (fr) [wi] (IPA]; señor (spa) [se‘ŋor] (IPA); okay (ing) [‘əu’kei] (IPA). Attendersi di trovare nell’IPA i grafemi di un alfabeto qualsiasi sembra come attendersi di trovare in un negozio di frutta, ancorché fornitissimo, una marmellata qualsiasi. L’IPA non può rispondere a domande che sono non di sua competenza; come “manġë ‘a kkjù bbèlla femënë dë Frangë ppo dà kkjù dë kuìllë ke tàinë”. (se i lettori desiderano ricordare i 25 grafemi dell’alfabeto peschiciano proposto, possono consultarlo su questo stesso giornale).

-- 10/12/2011 -- 17:18:37 -- vincenzo

LA STORIA INFINITA. Egregio Paolo. Non sono stato io a citare, spesso e volentieri, l'IPA;M lo hai citato tu, invece di dire che i grammatici italiani hanno CONVENUTO di rappresentare graficamente certi fonemi che riguardano l'italiano. Comunque c'è da riflettere. Prima si è convenuto di rappresentare graficamente i fonemi con le lettere dell'alfabeto; poi si è avvertita la necessità di passare ad altri grafemi estranei all'alfabeto...

-- 10/12/2011 -- 17:24:04 -- vincenzo

LA STORIA INFINITA 2.... Ma, questi nuovi grafemi, non hanno poi la necessità di essere spiegati verbalmente da qualcuno? Non è che uno trovi "tsalda" e capisce da solo che la parola va letta "cialda". Per me, sono solo strani prodotti del cervello, sia di coloro che hanno inventato simboli per rappresentare i fonemi internazionali, sia quelli che hanno attinto da questi per rappresentare i fonemi italiani. La cosa migliore da fare, ora che possiamo farlo, sarebbe produrre un CD (cosa che intenderei fare per il mio vocabolario)

-- 10/12/2011 -- 17:32:15 -- vincenzo

riscontro a Paolo, 09/12-13.46.10. INSEGNARE - abbiamo detto "no"; ILLUSTRARE - sei tu a dire no e proponi DISCUTERE. Io sostengo che l'autore ILLUSTRA: è l'autore che ha impostato/compilato una grammatica; gli uditori ascoltano e, se non sono d'accordo, possono anche obbiettare e, quindi, dar vita ad una DISCUSSIONE. Mi pare che questa debba essere la logica CONSECUTIO TEMPORUM!

-- 11/12/2011 -- 10:44:57 -- Paolo

STORIA INFINITA? Dando uno sguardo, Vincenzo (come tu stesso suggerisci ai lettori) ai razionali dell’IPA, ritengo si possa trovare risposta alle perplessità da te enunciate. Provo ad esprimere qualche considerazione: - Se un Italiano scrive “cialda” e ha l’accortezza di associare il fonema [‘t∫alda], anche un Maori della Nuova Zelanda o un Lappone delle pianure artiche può essere in grado di leggere come legge lo scrittore italiano (analogamente, se un Francese scrive “oui” e ha l’accortezza di associare il fonema [wi], anche un Italiano può essere in grado di leggere come legge lo scrittore francese). - Il CD, che (ovviamente) esiste, non risponde alle perplessità enunciate (chi lo avesse può certo sentire il suono corrispondente, il che non risolve il come comunicare tale suono per "iscritto”). - L’espressione “da solo” sembra poco adatta in un contesto obiettivato alla “comunicazione” tra molti.

-- 11/12/2011 -- 11:17:29 -- Paolo

“INSEGNARE”, “ILLUSTRARE”, “DISCUTERE”: siamo d’accordo (anche se mi si fa dire “no” quando io non lo dico, e si introduce la “consecutio temporum”, che sembra più adatta ad altri contesti).

-- 11/12/2011 -- 11:20:49 -- Paolo

Il punto 2. esposto nel commento di Vincenzo del 09/12 induce qualche considerazione: - Dice Vincenzo: “a voler adottare questo alfabeto, nessuno (tranne certi linguisti mestieranti) capirebbe nè il dialetto rodiano, nè quello peschiciano, nè qualunque altro dialetto o lingua del mondo”. Non sono sicuro di comprendere appieno il messaggio: . Un alfabeto risulta utile per “capire” uno scritto? Magari! Consente al massimo di “leggere” lo scritto; ovviamente lo consente a chi ha dedicato un pizzico di tempo ad apprendere l’alfabeto. “Capire” mi sembra un passo successivo. . L’alfabeto proposto per la scrittura del dialetto peschiciano potrebbe risultare non adatto a esprimere suoni di altre lingue o dialetti? Certo che potrebbe risultare non adatto! Sarebbe certamente non in grado di esprimere, ad esempio, i suoni aspirati del dialetto toscano, molto caro ad Aracne, dea di Vincenzo. (CONTINUA)

-- 11/12/2011 -- 11:25:21 -- Paolo

(CONTINUA) Affermare che l’alfabeto peschiciano possa essere utilizzato tal quale in contesti diversi dal dialetto peschiciano avrebbe poco senso. (Desidererei peraltro ricordare che più di un peschiciano, dopo un primo ovvio istante di perplessità, ha trovato l’alfabeto intuitivo e coerente). . “Certi linguisti mestieranti”? Potrei avere un qualche riferimento più diretto: avrei piacere a conoscere le loro idee. - Dice Vincenzo: “il dialetto non è altro che lingua italiana adattata al contesto”. Sono d’accordo. È “lingua” adattata al contesto; non “alfabeto”. La dialettizzazione della lingua italiana, che peraltro non cancella le infinite mutevoli esperienze storiche di ciascun territorio, è assoggettata alle molteplici mutazioni “fonetiche” (frangimento, geminazione, aferesi e quant’altro) tipiche di quel territorio. (CONTINUA ANCORA)

-- 11/12/2011 -- 11:28:13 -- Paolo

(CONTINUA ANCORA) - Dice Vincenzo: “Perché renderlo tanto lontano dalle nostre conoscenze grammaticali di base?” La grammatica del territorio - parliamo ora di regole grammaticali, non di alfabeto - è talvolta diversa dalla grammatica della lingua italiana (esempio: “salùtam’a sorëtë”, accusativo preposizionale riscontrabile nella lingua spagnola).

-- 11/12/2011 -- 18:40:42 -- vincenzo

DIALETTI, DUELLI... - BANDIERA BIANCA! Sono stanco, Paolo, di questa diatriba senza futuro! Non intendevo convincerti, non cercare di farlo. Ti inviterei a citarmi esempi di altri dialetti che sono resi grafemicamente come il tuo, ma sono stanco (ed anche angosciato!). Chiudiamola qui! Ciascuno per la propria strada, come ho sempre desiderato e sostenuto.

-- 12/12/2011 -- 18:10:12 -- Paolo

Cenzì, pare a me che ci siamo fatta una bella chiacchierata; e magari abbiamo provocato qualche riflessione in qualcuno dei due o tre lettori che sono caduti nella rete. I quali si sono certamente resi conto che duelli, diatribe, angosce e bandiere bianche sono evocate per solo "divertissement" (come a te piace dire). Grazie. Alla prossima.

-- 12/12/2011 -- 21:16:11 -- Domenico Sergio

vuj sit pazz!!!ahah

-- 13/12/2011 -- 09:08:35 -- Paolo

Grande, Domenico! Temo che, per quanto riguarda me, possa esserci del vero in quello che tu sostieni! (Secondo la grammatica peschiciana, avresti potuto scrivere “vòujë sèitë pazzë”)

-- 19/12/2011 -- 11:19:07 -- Domenico Sergio

considera che sono di Carpino

-- 19/12/2011 -- 20:28:43 -- Francesco

Sembra che la nostra e "mutola" (il modo di lenire la pronuncia delle vocali atone) sia una eredità lasciataci dagli Angioini (Cfr. A. A. Sobrero, Puglia, Profili linguistici delle regioni, Laterza, 2002). Orbene in Francia si usano tre E: é, è ed e. Quest'ultima è la cosiddetta e muta o semimuta. Il francese è una lingua ufficiale e non ha avuto bisogno di altro. I nostri dialetti, altrettanto dignitosi, sono invece, a quanto si legge qui, assai pretenziosi. fg

-- 19/12/2011 -- 21:20:28 -- Francesco

Clemente Merlo, che nel primo numero de "L'Italia dialettale" ha stabilito le regole della scrittura dei dialetti, quando si trattò di scrivere le Note fonetiche della parlata di Bitonto, scrisse la e mutola senza il tondino sottostante (e senza dieresi)e non pensò minimamente di usare l'apostrofo per questo scopo. fg

-- 19/12/2011 -- 21:21:12 -- Francesco

Così i dialettologi e così i poeti dialettali di un certo valore. Lo fanno tutti i poeti della Daunia, almeno i migliori, da Carlo Jondi (sanseverese della seconda metà del Settecento) fino ai poeti dei nostri giorni, come Giacomo Strizzi, Michele Capuano, Francesco Paolo Borazio, Cristanziano Serricchio, Raffaele Lepore, Osvaldo Anzivino, Joseph Tusiani, Giovanni Scarale, Grazia Stella Elia, Francesco Granatiero. fg

-- 19/12/2011 -- 21:22:00 -- Francesco

Il sottoscritto si è assunto, in modo tutt'altro che "pilatesco", le sue responsabilità scrivendo, tra l'altro, una grammatica storica del dialetto di Mattinata (1986), ampiamente utilizzata nel mondo accademico, un Vocabolario dei dialetti garganici (che uscirà, spero, il mese prossimo) e anche qualcosa sul dialetto di Peschici. Ma i pionieri, i veri scopritori dei dialetti garganici sono, a quanto pare, non Giacomo Melillo, Michele Melillo, Matteo Armistizio Melillo, Pasquale Caratù ecc. ecc., bensì Campobasso e Labombarda... In quanto a Davidde, non si tratta di un'invenzione o licenza poetica di Dante. E' una parola dell'italiano antico ed è un cognome ancora in uso. Mi rendo conto di aver fatto una sciocchezza a buttare su fb quelle due margaritas, perché quella sciocchezza ha comportato ancora la fatica (per Pilato è troppo!) di quest'ultima nota. F. Granatiero

-- 20/12/2011 -- 08:59:34 -- vincenzo

Non sono stato io ad asserire di essere scopritore del dialetto (che, secondo te, è unico, perchè così ti è stato detto dagli illustri studiosi da te citati). Io ho solo scelto una strada quasi mia (poichè non è soltanto mia) di grafemizzare i fonemi RODIANI. Non conosco la tua grammatica e nemmeno ho desiderato/desidero conoscerla. Ho rispettato/rispetto la tua scelta di usare lo schwa alla francese; tu sostieni che le "regole" devono essere comuni. Io non ci sto. Tutto qui

-- 20/12/2011 -- 18:04:09 -- Paolo

Non sapevo di dove tu fossi, Domenico. Ovviamente il carpinese (immagino si dica così) è tutt'altra cosa del peschiciano. Mia nonna (mai conosciuta) era di Carpino: si chiamava Rosina Russi.

-- 21/12/2011 -- 09:41:17 -- vincenzo

Egregio dott Francesco! Mi è sfuggito di farti notare che il compianto Giovanni Scarale, da te citato e con cui c'erano reciproco rispetto e stima, non usava il tuo schwa, bensì la e-"dieresata" che usa anche Paolo. L'ha usata nelle sue poesie in vernacolo, l'ha usata per le lapidi toponomastiche, che gremiscono nella zona storica di San Giovanni Rotondo, di cui è stato "poeta ufficiale"... Vorrei pregarti, con l'occasione, di non ironizzare troppo: non rappresento l'unica eccezione alle tue vedute.

-- 21/12/2011 -- 09:51:10 -- vincenzo

Cerchiamo di non gridare all'ignorante! Non mi ero accorto che, cambiando verbo, ed usando GREMIRE, dovevo sostituire "nella" con "la". Chi capisce, capisce!

-- 21/12/2011 -- 19:10:43 -- Paolo

« Deve essere un segno! » mi sono detto quando, mentre scorrevo la “margarita” frutto della “fatica” di Francesco, ho avvertito lontane le note del 'Tu scendi dalle stelle'. La coincidenza mi ha commosso. Buon Natale a tutti!

 
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