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14/11/2011

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RICONCILIAZIONE, MISSIONE DA NON FALLIRE

Clicca per Ingrandire K cammina in direzione del castello. Ormai, dal punto in cui si trova può notare il ponte levatoio abbassato e il portale aperto. Procede con passo attento e circospetto per evitare ciottoli e avvallamenti disseminati lungo l'accidentato sentiero. Sull'altura, davanti all'ingresso della roccaforte, scorge la sagoma di un uomo con indosso un lungo mantello nero. Ma è ancora troppo distante perché possa coglierne la fisionomia. Inoltre, l'individuo porta, calata sulla testa, una curiosa tuba che preclude a K ogni possibilità di stabilirne i tratti del volto. Un'indefinibile inquietudine lo assale. Si ferma per osservare meglio davanti a sé.

Tutto è calmo e pacifico nella vallata: è una giornata limpida e cristallina, e l'aria è frizzante. Gli uccelli volteggiano tracciando traiettorie misteriosamente giocose nel cielo azzurro. L'erba dei prati è verde e brillante, gli alberi carichi di germogli e tenere foglioline che la natura primaverile sta facendo spuntare. Sullo sfondo si stagliano maestose le catene montuose ancora innevate dall'inverno precedente. K, meravigliato da tanta bellezza, dimentica per un istante la destinazione del suo percorso. Ha intenzione di riposare un po' e va a sedersi su una roccia posta lungo il ciglio della strada. Si leva il cappello per tergere il sudore dalla fronte con un fazzoletto.

E' in cammino già da molte ore: è partito dal villaggio molto prima dell'alba. Non è abituato a certe scarpinate e il dissesto in cui versano i tratturi della regione gli ha causato male ai piedi. Si toglie le scarpe per rinfrancarsi, poi sfila la borraccia dalla cintola dei pantaloni. Mentre beve, lancia uno sguardo in direzione del castello: l'uomo dalla cappa nera sta facendo un gesto con la mano. Sebbene K sia ancora troppo lontano per identificare precisamente l'immagine, il messaggio è inequivocabile: gli fa segno di avvicinarsi. Ecco che il disagio provato prima lo afferra di nuovo. Si alza e fa tre passi avanti per considerare meglio lo strano interlocutore che continua a gesticolare manifestando, senza ombra di dubbio, il desiderio che lui si avvicini al castello.

K torna a sedersi. Vuole prendere tempo e ha bisogno di riflettere sul da farsi. Si tratta proprio di un evento che non ha calcolato. Chi è costui? Un mendicante che sollecita la sua elemosina? Alquanto improbabile, dato che non ha mai visto prima uno straccione indossare un copricapo simile. E se fosse una guardia del castello? Anche tale ipotesi, però, pare infondata: l'uomo in nero non sembra armato e nei paraggi non vi sono cavalli. Inoltre, un soldato l'avrebbe mai apostrofato a quel modo?

K non sa che fare. Tornare indietro significherebbe ammettere a se stesso, e a quanti sono a conoscenza del motivo del suo viaggio, di aver fallito la propria missione. Sarebbe deriso e vilipeso. Ma, più ancora, perderebbe la stima nei propri confronti. Così, decide che la cosa migliore è rimanere in attesa che l'altro se ne torni sui suoi passi lasciandogli finalmente libero il passaggio. Si stende sull'erba per riposare un po' e finisce con l'addormentarsi nell'aria tiepida del pomeriggio.

Quando si ridesta è già il finire del giorno: il sole sta tramontando dietro il crinale dei monti e fra poco sarà scomparso del tutto. Il cinguettare dei passeri si sta quietando e i primi grilli cominciano a impregnare il silenzio che regna ora nella campagna. Guarda di nuovo in direzione del castello: l'uomo è sempre allo stesso posto. E’ seduto su una sedia e appena si accorge che K lo sta guardando si alza in piedi e riprende a fargli cenni con la mano. K è infastidito. Aveva sperato che al risveglio quel bizzarro personaggio si sarebbe dileguato, e invece niente: è ancora lì a invitarlo ad avvicinarsi. “Beh - pensa - ormai è questione di pochi minuti, a breve i guardiani verranno a chiudere le porte del castello e scacceranno quell'importuno”.

Si riaccomoda sul macigno e decide di mangiare il pane e formaggio che si è preparato per il viaggio. Passano le ore, è ormai buio e il firmamento è tutto uno sfavillare di stelle: scie di luce tenue mettono in evidenza la via lattea, una fettina bianca avvolta in un chiarore luminoso annuncia il primo giorno di luna crescente. E' una notte magnifica e la melodia discreta dei grilli pervade la natura circostante. Di quando in quando K lancia occhiate furtive verso l'ingresso del castello. E, come se l'uomo davanti al portone sia in grado di capire le sue azioni ogni volta che K lo guarda, ecco che prende a fare segni con la mano. K nota alle spalle del misterioso personaggio la porta del castello: è rimasta aperta. Ne intravede un chiarore all'interno ma non riesce a cogliere alcun segno di vita.

E’ esasperato. Sviluppa la convinzione che si tratti di un matto. Però non capisce come mai non ci sia nessuno di guardia all'ingresso del castello dato che l'accesso è, almeno potenzialmente, libero e il ponte levatoio abbassato. Un vero rompicapo. “Se fosse un pazzo - dice fra sé - potrebbe pure essere pericoloso: non è cosa rara da queste parti che un viandante venga assassinato da qualche scalmanato che ha perduto la ragione”. K continua a riflettere: non è mai stato un tipo violento ma è capace di difendersi. Attaccati alla cintura, sotto la giacca del frac, tiene fodero e coltello. Lo sguaina e decide di non aspettare oltre, pronto a fronteggiare l’avversario in caso dovesse rivelarsi necessario. E’ determinato a entrare nel castello la notte stessa, perciò comincia ad avanzare a grandi passi verso l'edificio.

A mano a mano che la distanza si assottiglia, la sua visione si fa più nitida e precisa. Ora vede distintamente l'uomo dal mantello nero alzarsi in piedi e brandire un coltellaccio nella sua direzione. K non ha più dubbi: le intenzioni dello sconosciuto sono apertamente ostili. Eppure, c'è qualcosa che non quadra: sembra che l'uomo stia imitando esattamente i suoi movimenti. Stesso modo di tenere il coltello in mano e stesso modo di muoversi. In verità, il minaccioso individuo non si sposta affatto dal punto in cui si trova, ma finge soltanto di camminare verso di lui, scopiazzandone in modo grottesco e caricaturale l'andatura. K è furioso: quello stupido folle si sta proprio prendendo gioco di lui! E’ deciso a dargli una bella lezione!

Adesso, solo poche decine di metri lo separano dall’ostacolo da abbattere. Accelera l’andatura, troppo per quanto terreno e scarsa visibilità possano permettergli. D'improvviso, sente il vuoto sotto un piede: sta camminando troppo speditamente e perde l'equilibrio cadendo in una buca del terreno. Nella caduta in avanti, il coltello gli sfugge di mano perdendosi nell'oscurità. K è disperato. Ritrova a tastoni nel buio l’arma e alza terrorizzato lo sguardo. Sul ponte levatoio non c'è nessuno. L’uomo nero è scomparso, volatilizzato nel nulla. L’entrata del castello ora è deserta e il passaggio d'accesso libero. Stringe saldamente il pugnale con le due mani e guardingo oltrepassa il ponte di legno entrando lentamente all'interno della costruzione in muratura.

Nel cortile non vi è presenza di vita umana né animale. Il silenzio che vi regna è totale e K non avverte nemmeno più il canto dei primi grilli primaverili. I vari ingressi che permettono di accedere ai locali della cittadella sono tutti spenti e desolati. K distingue un'unica arcata sostenuta da due colonne dal cui interno emana un bagliore tremolante: probabilmente la luce di una torcia messa lì a illuminare il vasto stanzone che si intravede al di là. Il cuore gli prende a battere all'impazzata quando entra nel salone, una stanza enorme e vuota a parte un lettone matrimoniale dalla coperta di raso verde. La luce danzante della fiaccola appesa alla parete crea curiosi effetti ottici proiettandosi sui muri del sinistro locale, scrostati e attraversati da crepe.

Non sa bene che fare, è ancora scosso e al contempo gli sembra che quanto sta accadendo sia incongruo e irreale. Rimane lì, leggermente inebetito, con lo sguardo fisso nel vuoto. A un tratto, un lieve fremito proveniente dal letto lo fa sussultare inorridito: durante la perlustrazione del locale non si è accorto di un piccolo rigonfiamento sotto la coperta. Adesso è in preda al terrore e vorrebbe filarsela a gambe levate, lontano da quel macabro luogo, ma sa che è troppo tardi per tornare indietro. Perciò raccoglie tutto il coraggio di cui ancora dispone, afferra con una mano un lembo del copriletto e in un colpo solo lo strappa via facendolo ricadere dietro di sé.

Sul lenzuolo, un bambino rannicchiato in posizione fetale geme e si lamenta sommessamente. Con occhi spaventati e imploranti guarda K, che prova un misto di ripugnanza e compassione. Si siede accanto a lui e comincia ad asciugargli le lacrime, accarezzandogli delicatamente il viso. A poco a poco il pargolino si cheta e allora K prende a parlargli dolcemente. Poi, sottovoce, intona la nenia che gli cantava sempre sua madre quando era piccolo:

Angioletto angiolino
fà la nanna nel lettino.
Angioletto angiolino
dormi dormi fino al mattino.
Così l’angelo passerà
e un fiorellino nel tuo cuore metterà.

La cantilena addormenta il piccolo. Per un po' K lo osserva dormire e la paura e il disgusto di prima si trasformano in tenerezza infinita. Stringe a sé il bimbo. Infine, lo posa con delicatezza sul letto. Sfinito dalla stanchezza del viaggio e dalla spossatezza dell'assurda esperienza, febbricitante e privo di energie, si sdraia sul letto e si addormenta istantaneamente accanto all'esserino che frattanto ha sciolto un poco la posizione racchiusa e adesso dorme serenamente.

Durante la notte K alterna livelli di dormiveglia molto strani. La febbre gli ha provocato una sorta di stato allucinatorio e delirante. Immagina che insetti mostruosi e giganti popolino i muri della stanza in cui si trova, coleotteri e ragni enormi si affaccendano lungo le pareti compiendo traiettorie rapide e zigzaganti. Dopo un tempo imprecisato, finalmente trova riposo. Smette di sognare e scivola in una fase di sonno profondo e ristoratore.

Quando si sveglia la febbre è passata e K si sente riposato e fresco. Non sa da quanto tempo si trovi lì, né quante ore abbia dormito. La torcia si è consumata completamente, è spenta, ma la luce del giorno penetra dall'ingresso illuminando la stanza. Si mette a sedere sul letto e si guarda intorno: è solo. Osserva i muri del camerone, bianchi e lindi come se nel corso della notte qualcuno abbia provveduto a ripulirli e imbiancarli. Si alza ed esce dal locale, poi dal castello. Non incontra nessuno mentre attraversa a passo svelto il cortile. Giunto sul ponte levatoio, vede al suo centro una sedia su cui sono appoggiate, ripiegate con cura, una cappa nera e una tuba.

In pochi secondi raggiunge la vallata sottostante la fortezza. Volge lo sguardo al cielo: il sole sta già cominciando la sua curva discendente. Pensa: “Saranno almeno le quattro del pomeriggio, se cammino di buona lena, arriverò al villaggio prima che sia notte fonda”. Mentre si allontana, si volta per guardare indietro un'ultima volta: adesso, la porta del castello è chiusa e il ponte levatoio sollevato. A una delle finestre gli pare di scorgere un bambino che lo saluta con la mano. K gli sorride rispondendo con un cenno del capo, poi riprende la marcia per tornare a casa.
Luigi Scarabino

 Redazione

 

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