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02/11/2011

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SOGNANDO IL PARADISO A OGNI COSTO

Clicca per Ingrandire Nella precarietà dell’esistenza, la morte era un evento da preparare per tempo. Passati i quarant’anni, la donna cuciva il corredo “specifico” per sé e per il proprio compagno, poiché non si poteva mai sapere… «nu cunte, na càuse», meglio evitare di farsi trovare impreparati ed esporsi ai pettegolezzi della gente! Ogni anno, l’insolito corredo veniva lavato durante la “luscìa”: doveva essere sempre bianco e profumato di serpillo. «Nun putesse mai sirvì!»: era questo l’augurio che passava di bocca in bocca, mentre i vari capi di lino e di cotone, impreziositi da orli a giorno e da ricami, venivano lavati e asciugati.

Ma la morte, ultima avventura della vita, arrivava spesso anzitempo. Sorretti da una gran fede, i parenti dell’infermo speravano in un miracolo: fino all’ultimo momento si accendeva la “lampe” davanti ai santi sottocampana, un “altare” consueto sul comò. Si pregava senza sosta, ma quando si sentiva il canto notturno della “mèrula marèine” era proprio la fine! Il detto era: «Quando canta il merlo marino, fortunata la casa dove si posa, sfortunata quella che mira!».

Nella “Settena dei Morti”, che si recitava dal giorno di Tutti i Santi fino al giorno 7 novembre, si fa riferimento ad “alme purganti”, che innalzano mesti lamenti “nel mare del duol”. Esse sono collocate nel Purgatorio, un carcere, un’oscura prigione, un mare di fuoco, dove l’arsura le brucia. Soffrono le pene dell’Inferno. Ma i morti temono soprattutto l’oblio e la dimenticanza. Preghiere e suffragi da parte dei vivi servono affinché «le anime benedette del Purgatorio si possano rinfrescare (“ci putèssine addifriscà”)». Il Paradiso è “una bella cosa”. Chi ha la fortuna di arrivarci, dopo una vita di stenti e duro lavoro, va a riposarsi: «U paravèise / jè na bella càuse / Chi va / ci va a ripàuse».

Nei racconti di Gesù Cristo, viene descritto come un luogo inaccessibile e delimitato da una porta, a guardia della quale c’è un san Pietro poco disponibile ad aprirla. Non solo a chicchessia, ma anche a chi ha avuto modo di ospitarlo, insieme a Gesù, durante la vita terrena. Nei “cunti” di Peschici, però, i protagonisti, con la loro arguzia e la loro intelligenza, riescono a varcare sempre la porta d’oro del Paradiso. Come ‘Quagghiarelle’, che quando muore va a bussare al Paradiso. A san Pietro, che chiede chi sia, risponde senza timore, dandogli del tu: «Sono Quagghiarelle, mi fai entrare?»

Al rifiuto deciso di san Pietro, non demorde. Chiede di poter sbirciare attraverso la porta, vuole vedere almeno com’è fatto il Paradiso. Poi butta la coppola dentro e, con la scusa di riprendersela, entra. E comincia a suonare il suo micidiale fischietto, coinvolgendo in una sorta di ballo frenetico, molto simile a una ‘taranta’, tutti i santi del Paradiso. Quando Gesù Cristo sente tutto quel rumore, chiama a rapporto san Pietro e lo rimprovera: «Ma che vi siete impazziti oggi? Cos’è tutto questo fracasso (“stu ribelle”) che fate in Paradiso?» Risponde san Pietro, sconsolato: «Che vuol essere? E’ arrivato Quagghiarelle, e vuole stare per forza in Paradiso!». E Gesù: «Pietro, Quagghiarelle a noi ci ha ospitato, e noi “l’amma fa stà o Paravèise!”»

In un altro racconto, il tema del Paradiso ‘conquistato’ si ripete con significative e insolite varianti. “Ntiniucce”, il protagonista, in vita ha ospitato Gesù e san Pietro sorpresi da un temporale presso la sua casella di campagna. Il Maestro, per ringraziarlo, gli concede tre grazie, tra cui quella di poter vincere sempre al gioco delle carte. Quando l’uomo bussa alla porta del Paradiso, san Pietro non lo fa entrare: «Potevi pure chiedere la grazia del Paradiso! Hai chiesto le ‘mupie’? Ora vattene all’Inferno!»

Qui “Ntiniucce” sfida Lucifero a una partita a carte: la posta in gioco è il trasferimento al Paradiso. “Ntiniucce” vince, una a una, tutte le anime dell’Inferno! Se le mette in un sacco e torna a bussare insistente alla porta d’oro. San Pietro, per levarselo di torno, accetta di giocare una partita a carte: la posta è il permesso d’entrare. E fatalmente perde. Quando vede uscire dal sacco tutte quelle anime di peccatori, resta come un fesso (“nu fesse”). E “Ntiniucce”, senza scomporsi: «Se tu mi avessi fatto entrare prima, ero solo io. Adesso arrangiati!»

Teresa Maria Rauzino

 Redazione

 

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