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18/09/2011

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REPORTAGE DAL MAROCCO (4)

Clicca per Ingrandire In una strada polverosa e popolarissima della vecchia ‘medina’ con negozietti, scrivani pubblici e continuo viavai di donne musulmane in jellaba e i bambini per mano, al n. 51 ci si imbatte con sorpresa in una croce. È l’entrata del Centro sant’Antonio dei francescani a Meknes, rue Driba. Umilissima e spaziosa la casa, costruita da secoli e aggrappata alle antiche mura della città: dalla sua terrazza fra i merli di cinta (foto del titolo; ndr) si ammirano, sotto, i vecchi quartieri di Meknes. Panni stesi e parabole, disseminati ovunque su poveri tetti: miseria e modernità insieme composte con tolleranza. E simbolo eloquente di un Paese uscito dal medioevo e lanciato nell’attualità.

Qui dall’alto, al primo mattino, è anche un incantevole luogo di preghiera meditativa sulla città, mentre il sole apre un occhio sul filo dell’orizzonte. “Che la tua presenza, Signore, apporti la gioia ai suoi abitanti!” senti mormorare sottovoce un giovane frate, Pietro, così sensibile a questo mondo musulmano e qui ormai da sette anni. Segue, insieme a Joël, un anziano francescano francese, un centro di formazione linguistica e informatica per quasi un migliaio di giovani musulmani, oltre a un servizio di biblioteca. Il tutto, evidentemente, gratuito o quasi.

Non è una casa questa, ma un alveare: piccole stanze di classe con giovani che vanno e giovani che vengono. Mentre lo sguardo si ferma su una parete dove in varie lingue si trova scritto:“Se ti parlo tu dimentichi, se ti insegno tu ripeti, se partecipi tu impari”. Preziosa massima per un popolo che da sempre è stato abituato a ripetere ciò che la tradizione insegna. Allora, per esempio, una trentina di giovani già diplomati partecipano integrando il corpo insegnante per i corsi di lingua e stimolando la partecipazione di ognuno... in una società dove i due terzi dei giovani diplomati resteranno disoccupati.

Ogni settimana, poi, un tema è proposto alla discussione libera e aperta a tutti, a volte su temi sensibili come la primavera araba, la religione o la sessualità. Vengono anche da lontano per partecipare con un’ora di strada. Qualcuno dei giovani prepara un’introduzione al tema, spesso anche un breve filmato, poi Pietro il francescano rilancia la parola a tutti, mentre spesso alla fine è la piccola Yamina di dieci anni che conclude. Sì, con una breve frase scritta nel suo quaderno, come caduta dal cielo. L’ultima volta dopo aver ascoltato i giovani sui rapporti qui a volte complicati tra uomo e donna, la senti concludere: “Ti ringrazio, Dio, di dare alla mia famiglia l’armonia tra papà e mamma che si vogliono bene”. Sintesi semplice, bella, cristallina. “È la nostra mascotte!” mi fa il giovane frate.

Questo spazio umanizzante di incontro e di parola, in cui vivere una fratellanza tra giovani qui sconosciuta e una grande libertà di scambio, è un miracolo di Francesco oggi in terra musulmana. Un’oasi di pace che questi suoi discepoli hanno saputo coltivare con pazienza infinita da vent’anni come un giardino. Segno di un mondo nuovo. Una formazione così, fatta di conoscenze e di valori, questi giovani musulmani non la potranno più dimenticare. “Ciò non può che farli crescere!” senti esclamare ammirata suor Eliza, francescana indiana. E spiega, calma: “Qualche cosa è cambiato nella loro vita; ogni incontro ha sempre un grano di mistero. Ma anch’io, veramente, sono cambiata nell’incontro con l’altro, con il mondo musulmano...” E a volte sente dire da qualche vecchio allievo con convinzione: ”Non potete immaginare quanto abbiamo ricevuto da voi!” parlando dei francescani o delle religiose francescane.

Visito, allora, l’antico complesso della scuola per orfani e bambini abbandonati delle suore francescane insieme a Suor Monique, ormai ben anziana, qui nella sua giovinezza per vent’anni. È diventata una scuola professionale statale per 1.400 giovani. Il direttore tra un complimento e l’altro ringrazia ancora una volta la vecchia suora di aver ceduto allo Stato per una cifra simbolica tutta questa grande proprietà. Tutto, però, dopo tanti anni è rimasto intatto e ciò la consola: la cappella è diventata una bella sala di accoglienza e per il giardino coi suoi vialetti il direttore confessa, camminandovi, di sentire qualcosa, come una presenza... “È la vecchia la statua di Myriem, della Madonna, che ci siamo portate a casa!” mi soffia suor Monique. Poi, l’anziana suora si arresta d’improvviso vicino all’antico refettorio, sembra turbata. “È proprio qui che un musulmano un giorno mi diceva: ‘ma soeur’, è grazie a voi che Dio è in mezzo a noi!” Parole impossibili ormai da dimenticare.

I francescani da secoli hanno abitato e amato Meknes, già dal 17.mo secolo al tempo delle migliaia di prigionieri cristiani, messi da Moulay Ismail ai lavori forzati per i suoi palazzi e nascosti sottoterra in prigioni oscure, un immenso antro di sette chilometri quadrati, aperto ora ai turisti.
In fondo, tutte lezioni di vangelo di oggi e di ieri. Sempre, tuttavia, di un’incredibile attualità.

Renato Zilio

 Redazione

 

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