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07/06/2008

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ALLA SCOPERTA DEI “LUOGHI DEL CUORE SGARRUPATI” DEL GARGANO

Clicca per Ingrandire Per contrastare pirati e corsari l’imperatore Carlo V, a partire dal 1537, dette l’avvio alla costruzione di numerose torri lungo tutte le coste del vicereame di Napoli. Il sistema era funzionale all’avvistamento degli invasori che giungevano dal mare. Il principio difensivo di proteggersi mediante torri di avvistamento, adottato già dall’epoca romana, continuava a essere ancora validissimo: alcune furono ricostruite negli stessi luoghi occupati un tempo da torri romane, bizantine, sveve o angioine.

Il piano difensivo, ideato dal vicerè Pedro di Toledo, fu attuato da don Pedro Afan de Ribera. Per una difesa efficiente della costa della Capitanata ravvisò la necessità di costruire dieci torri sui litorali dal Fortore a Manfredonia. Accanto alle torri cilindriche ne comparvero di quadrate, specie nei punti nevralgici e maggiormente esposti della costa.

La distanza tra le torri variava in funzione della morfologia della costa: poteva raggiungere i 30 chilometri, nel caso di zone concave di spiaggia o di coste rocciose senza insenature; ridursi a circa dieci chilometri in caso di costa frastagliata. Per uniformare tipologie e modalità difensive, ogni opera fortificata doveva essere autorizzata dalla Regia Corte, mentre le già esistenti e ritenute idonee furono espropriate. La loro ubicazione avveniva in modo che costituissero un cordone ininterrotto: ogni torre “guardava a vista” la precedente e la successiva. Salvo casi particolari, furono edificate in gran parsimonia. Le già costruite da privati o varie Università (i Comuni) vennero incamerate dallo Stato previo rimborso delle spese sostenute per la costruzione. Furono denominate torri “cavallare”, perché poste sotto la guardia di un uomo a cavallo in grado di allertare rapidamente il più vicino presidio militare.

Le Università dovettero farsi carico del pagamento dei salari dei militi e dei cavallari in servizio e, per le torri che ne erano dotate, della «feluca di guardia» (rematori con barca). I lavori di costruzione procedettero con grande lentezza. Nel dicembre 1594 Carlo Gambacorta, marchese di Celenza Valfortore, visitò quelle costiere di Capitanata e compilò per ciascuna minuziose schede oggi conservate nella Biblioteca Nazionale di Parigi. Ogni scheda contiene: relazione sullo stato della torre, pianta, sezione e veduta prospettica.

Le torri erano quasi tutte quadrangolari a tronco di piramide. Il coronamento presentava per ogni lato 4 o 5 caditoie, botole aperte in successione lungo il cammino di ronda della costruzione difensiva da cui era possibile rovesciare sul nemico sottostante ogni tipo di proiettile o oggetto contundente. Per lo più a un solo vano e con una sola porta, avevano una cisterna per la raccolta delle acque piovane. L’accesso era consentito da una scala volante o fissa e un piccolo ponte levatoio collocati entrambi sulla parete a monte. La parete rivolta verso il mare era cieca per essere la più esposta al pericolo e le due laterali erano munite di feritoie.

Le informazioni venivano trasmesse da una torre all’altra. L’avvistamento di navi sospette era annunciato di giorno con colonne di fumo, la notte con l’accensione di fiaccole: il numero di fuochi era pari al numero delle imbarcazioni nemiche avvistate. Cessato il pericolo turco, le torri costiere furono mantenute in piedi dignitosamente finché ebbero una funzione specifica: fino al secolo scorso, in qualche caso fino a pochi decenni fa, servivano per avvistare i contrabbandieri. In seguito sono cadute in rovina.

L’abbandono è stato totale sia fossero proprietà di privati sia appartenessero al Demanio. Alcune torri (Sfinale, Calalunga - foto 1, sotto - Portonuovo, San Felice, Torre Petra, Monte Pucci) hanno perso il coronamento sostituito da sovrastrutture più moderne. Altre, Sfinale (foto titolo, la più "sgarrupata" di tutte; ndr) e Calarossa, sono ridotte a ruderi. Altre ancora, pur restaurate, sono sulla via del degrado: torri poste in una stupenda cornice paesaggistica sono escluse dalla pubblica fruizione in quanto non ne è stata prevista alcuna valorizzazione: Torre San Felice, Vieste, soggetta a continui atti vandalici, è letteralmente murata (foto 2, sotto); Montepucci è chiusa al pubblico (foto 3, sotto).

Un vero peccato, vista l’importanza che ebbero un tempo come “sentinelle” del mare e potrebbero tornare ad avere. Ricordiamo che sono monumenti nazionali sottoposti a vincolo come tutti gli edifici storici di un certo valore e una certa vetustà, e dovrebbero essere protette e valorizzate dagli Enti territoriali sotto la cui giurisdizione ricadono. Un compito puntualmente disatteso.

La Sovrintendenza ai beni monumentali della Puglia, il Parco del Gargano, la Comunità montana del Gargano, la Provincia di Foggia, la Regione Puglia e i vari Comuni nel cui territorio le varie torri costiere sono ubicate, cosa intendono fare per non farle morire?

Terry Rauzino

 Punto di Stella - mensile d'informazione del gargano - GIUGNO 2008

 

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