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03/06/2008

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Un aristocratico precursore dei suoi tempi:Vincenzo Marulli dei duchi di Ascoli

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Architettura e natura per la città moderna. I trattati di Vincenzo Marulli (1768-1808), questo il titolo del volume scritto dal prof. Giovanni Menna, docente a contratto di Storia dell’Arte contemporanea presso la facoltà di Architettura dell’Università degli studi di Napoli “Federico II”, prefato dal prof. Benedetto Gravagnuolo, preside della stessa facoltà, pubblicato dalla casa editrice milanese Franco Angeli s.r.l. (pp. 319, ill. b/n, Milano 2008, € 26,50).

Come si evince dalla quarta pagina di copertina, l’Autore con questo lavoro “ricostruisce la parabola biografica di Marulli, inquadrando il suo pensiero nel panorama culturale del tempo presentando per la prima volta integralmente i trattati, introdotti da un’approfondita analisi critica che ne mette in luce il contributo offerto all’elaborazione di una moderna cultura del progetto urbano. Tali trattati, al di là dell’oggettiva rilevanza che rivestono nella manualistica architettonica, costituiscono un documento della resistenza che seppe opporre alla corte borbonica la parte migliore della cultura napoletana, sospesa tra il lascito della stagione riformatrice illuminista e la tensione morale con la quale si prefigurava il volto di una città che fosse specchio di una società laica, progressista e liberale. Quella di Vincenzo Marulli (1768 – 1808), fratello del più noto Troiano Marulli, alter ego di Ferdinando IV di Borbone, è una figura di intellettuale napoletano di formazione illuminista, autore di scritti fra i più interessanti della cultura architettonica italiana dei primi anni dell’Ottocento. Pur appartenendo a una delle famiglie aristocratiche più vicine alla corte borbonica, i Marulli d’Ascoli, aderisce alla Repubblica Napoletana nel 1799, ma, con il ritorno dei Borbone, è costretto alla fuga e all’esilio, dando inizio a un lungo viaggio in Europa che lo conduce fino in Inghilterra. Marulli ha così l’opportunità di conoscere realtà sociali, politiche e culturali in grande fermento e, soprattutto, alcuni dei nuovi modelli di intervento e ridisegno del territorio urbano, in un momento cruciale per la trasformazione della città europea. Al ritorno a Napoli pubblica “Sulla mendicità” (1802), testo di impronta riformista e liberale, e due importanti trattati di architettura: L’arte di ordinare i giardini (1804), che affronta per la prima volta nel Regno di Napoli la questione della progettazione del verde privato e pubblico, e “Su l’Architettura e su la nettezza urbana delle città. Idee” (1808), uno dei primi tentativi di sistematizzare nel nostro paese una disciplina ancora agli inizi, la progettazione urbana”.

L’intento di Vincenzo Marulli al suo ritorno dall’esilio è stato, dunque, quello di creare una Napoli proiettata nella realtà europea con “stravolgimenti” architettonici mai concepiti fino ad allora dove funzionalità ed estetica si assemblavano proponendo soluzioni futuristiche e, forse, utopistiche per quell’epoca. Di certo Vincenzo Marulli è stato il primo progettista che, in assoluto, si è preoccupato di risollevare le “sorti” architettoniche ed urbanistiche della capitale paretenopea che all’epoca dilagava nella più inconcepibile e miserevole realtà, così come già nel ‘600 faceva notare il Celano nell’opera “Delle notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli” dove parlando del palazzo dei duchi di Vietri recitava: “[…] il tramuoto ha fatto i danni, ma gli architetti hanno fatto più danni che il tramuoto istesso […]”. In quest’opera l’autore metteva il luce le “pecche” di ricostruzioni inadeguate, attraverso gli interventi di superfetazione architettonica, dove la tendenza del momento prevaleva sulla funzionalità e sull’estetica.


La lunga assenza dalla capitale partenopea e la permanenza in Inghilterra ha portato il Marulli a valutare meglio l’urbanistica inglese in relazione a quella napoletana giudicando la prima più funzionale e più sobria. Com’è noto, nel periodo rinascimentale e, più tardi, in quello Barocco si erano affermati grandi progettisti come il Malvito, il Fuga, il Fontana, il Mormanno, il Sanfelice, solo per fare qualche citazione, che avevano lasciato un’evidente traccia della loro “arte” attraverso le testimonianze architettoniche pubbliche e private che scandivano le piazze e le strade napoletane. Le idee innovatrici di Vincenzo Marulli rappresentavano una sorta di cambiamento che andava al passo con i tempi, visti anche gli sviluppi socioculturali che la città partenopea stava vivendo dalla rivoluzione del 1799 a tutto il Decennio Francese. Vincenzo Marulli si inserisce a pieno titolo in questo contesto con le sue novità. Solo per fare un esempio: per le costruzioni private, propone di non edificare più i palazzi a corte con rimesse e stalle interne alle costruzioni stesse, ma di erigere queste ultime in edifici indipendenti per la salubrità dell’aria. Questo concetto è meglio evidenziato quando si occupa della nettezza urbana che rappresenta per il Marulli il primo assoluto bisogno della città al fine di evitare il dilagare di epidemie.

Non meno trascurabile poi è stata la proposta di riordinare i giardini pubblici e privati dove estetica e funzionalità devono completarsi; per questo li distingue per tipologie riordinandoli secondo le esigenze ambientali: fiori, agrumi, piante di vario genere ecc. non trascura neppure di occuparsi delle ville private che pure devono avere un criterio d’ordine ambientale in completa armonia con la costruzione stessa. Le case di abitazione della gente comune, inoltre, devono essere comode, munite di impianti igienici ed esteticamente rispondenti al gusto di tendenza ma facendo prevalere la funzionalità innanzi tutto.

Il pensiero illuminato di Vincenzo Marulli, in ogni caso, si spinge ben oltre lo studio dell’urbanistica. Nel trattato sulla mendicità egli affronta problemi fino ad allora completamente trascurati. Per la sanità, progetta la costruzione degli ospedali in modo che siano provvisti di infrastrutture per i portatori di handicap, ridisegna le aree dei parchi pubblici compresi i camposanti che l’editto di Sint Cloud rende indispensabili a tutela e salvaguardia della salute pubblica. Tale editto, emanato nel 1804 da Napoleone, raccoglie organicamente in un unico corpus legislativo tutte le precedenti e frammentate norme sui cimiteri, stabilendo che le tombe vengano poste al di fuori delle mura cittadine, in luoghi soleggiati e arieggiati, e che siano tutte uguali, solo con nome, cognome e date. Si vuole così evitare discriminazioni tra i defunti. Per i personaggi illustri, invece, sarà una commissione di magistrati a decidere se far scolpire sulla tomba un epitaffio. Questo editto ha, quindi, due motivazioni alla base: una igienico-sanitaria e l'altra ideologico-politica. A tale riguardo Ugo Foscolo pone in evidenza il proprio disappunto sulla questione scrivendo i “Sepolcri”.

Anche il principe de Curtis, in arte Totò, negli anni Sessanta del secolo scorso, ha affrontato la tematica sull’uguaglianza degli uomini di fronte alla morte con la poesia satirica “A’ Livella” narrando un significativo e grottesco espisodio che vede protagonista un visitatore del camposanto spettatore di un’accesa diatriba tra due defunti appartenenti a due diverse estrazioni sociali: il mondo dell’aristocrazia, con un marchese, e la classe più umile, quella operaia, con un netturbino. Lo spettatore riferisce che nel camposanto di Napoli, il fantasma del Marchese di Rovigo e di Belluno con tanto di corona e di blasone, dalla sua tomba rimprovera il fantasma del netturbino tale Gennaro Esposito, che si è permesso, indegnamente, di farsi seppellire al suo fianco. Dopo un ampio e colorito dibattimento tra i due, durante il quale il netturbino tenta invano di giustificare la sua presenza dovuta alla volontà della moglie e, viste le insistenze del marchese a fargli cambiare posto perché la sua vicinanza rappresenta per il nobile una grave offesa verso il suo rango tenuto conto dell’ascendenza da nobili natali, il netturbino coraggiosamente, invita l’altezzoso aristocrartico a riflettere sul suo attuale stato recitando:

“[…] stamme a ssentì...nun fà 'o restiv,
suppuorteme vicin-ch’ t’ 'mporta?
Sti ppagliacciat 'e ffann sul 'e vive:
nuj simm seri...appartenimm à mort!"


Chiudendo la breve parentesi sull’uguaglianza dell’uomo di fronte alla morte e tornando al testo del prof. Menna, si conclude questa breve carrellata espositiva rivolgendo l’attenzione all’Appendice del volume che costituisce un altro tassello importante del lavoro poiché raccoglie interessanti documenti circa il progetto di Carità nazionale del cittadino Domenico Cirillo, del 1799; il bando di Concorso del 1802 emanato per volere di Giuseppe Zurlo; il Ragionamento sulla mendicità di Vincenzo Marulli; alcune riflessioni di Trojano Marulli sul personaggio di Vincenzo ed, infine, riflessioni di Antonio de Rosa relative sempre alla figura del Marulli.

In buona sostanza è questo un libro completo e ben documentato che rappresenta un valore aggiunto alla vasta produzione storico-letteraria che la città di Ascoli Satriano, attraverso l’opera meritoria di promozione della storia del territorio ascolano da parte del Centro Culturale Polivalente, sta operando già da alcuni anni con risultati euristici lusinghieri.
Un libro che non deve mancare nella biblioteca dei cultori attenti e consapevoli che la storia e le proprie radici non vanno mai dimenticate.

Lucia Lopriore

 Redazione

 

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