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06/04/2011

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IN SALVO LA NECROPOLI DI MONTE PUCCI

Clicca per Ingrandire Il Comune di Vico del Gargano sta procedendo all'affidamento dell'incarico per l'esproprio dell'area della necropoli di Monte Pucci (agro vichese, fra Peschici e San Menaio; ndr) per creare un percorso di fruizione turistica del bene culturale. La necropoli, una delle numerose del Promontorio, la seconda di Vico del Gargano dopo quella di Monte Tabor (senza contarne altre più piccole e meno note), si trova in località Calenella, compresa nel territorio di Vico del Gargano, dove sorge l’omonima torre cinquecentesca a picco sul mare - sistema utilizzato per l’avvistamento e la difesa dagli assalti di barbari che giungevano via mare e Turchi - appartenente a una serie di Torri Spagnole, costruite lungo la costa pugliese in punti strategici, in modo da rappresentare nel loro insieme un complesso fortificato continuo di vedetta e allerta alla popolazione locale.

Un anno fa, di questi tempi, Domenico Ottaviano scriveva sull’Attacco di Foggia: “Necropoli di Monte Pucci: uno dei siti paleocristiani più importanti del promontorio da tre decenni in rovina. Le ultime ricerche risalgono al 1962. Pronto un progetto per la valorizzazione.

“C’è un Gargano segreto. Un Gargano nascosto ai più, perché non segnalato, perché sommerso da metri di terra e celato da rovi. Una buona fetta del patrimonio archeologico del promontorio, già depredato al limite del possibile, attende che il tempo e gli eventi atmosferici ne cancellino del tutto i segni. Stiamo parlando degli ipogei di Monte Pucci e della sua necropoli paleocristiana. Uno dei tanti siti in lento e rovinoso degrado. Il luogo rappresenta una testimonianza degli antichi usi della vita cristiana e funeraria delle popolazioni garganiche che vivevano nelle caverne sparse lungo la costa, ed ebbe anche funzioni di romitorio.

“Sul lato occidentale del Monte, si possono osservare ampie grotte sepolcrali, spesso ingrandite dopo aver scavato nel calcare del monte. Ogni ingresso di queste cavità, è rivolto al tramonto del sole, e a volte preceduto da un corridoio d’entrata ricavato nella pietra. Spesso adibite a rifugio temporaneo delle mandrie fino ad epoche non lontane, hanno sofferto molti danni irreparabili che hanno portato alla distruzione delle nicchie ad arco nelle pareti e di alcuni loculi sotterranei, su cui a volte sovrastavano dei baldacchini.

“Non molti testi parlano di questo sito. Nemmeno attraverso i motori di ricerca se ne trova notizia. Le più dettagliate risalgono al 1975, anno in cui Francesco Delli Muti pubblica il volume “Archeologia Garganica”. Nel testo viene citata l’esplorazione del 1962dell’antropologo Cleto Corrain. Gli scavi, svolti in tutto il promontorio con contributi di Cnr e Istituto di Antropologia dell’Università di Padova, cominciarono il 1955 e si soffermarono soprattutto sul sito in questione. Il Delli Muti, profondo conoscitore di questa terra scrive: «La maggior parte degli ipogei (ne rinvenimmo ben ventisei) sono vuoti e in parte (dove non sono avvenuti crolli recenti) adibiti a ricovero per il bestiame».

“Lo scavo di un paio di complessi tombali, non profanati di recente perché riempiti da sedimenti, permise il recupero di un ingentissimo materiale e oggetti fittili, tra cui alcune lucerne, capaci di datare il periodo di attività della necropoli entro limiti abbastanza ristretti (metà IV - inizio VII secolo d.C.). Scrive ancora Delli Muti: «Si tratta di un complicato complesso di corridoi e loculi, la cui disposizione denuncia una avara e sapiente economia dello spazio: loculi sotto il pavimento ed a varie altezze nelle pareti, o elevati, su ripiani a un metro dal piano dei corridoi». Prima di Corrain, fu un certo Battaglia, di cui fu ‘discepolo’, a occuparsi degli ipogei.

“Delli Muti, che ricorda nel testo il compianto Battaglia - già morto nel ’64 - parla persino di alcune sue supposizioni: «… nella presenza di cappellette isolate dette cibori e specie di baldacchini di roccia, egli non escludeva qualche influenza orientale, forse anatolica». E del problema irrisolto tuttora del centro abitato, o dei centri, capaci di giustificare un imponente cimitero come questo. L’ipotesi fu che la necropoli potesse accogliere le salme dei religiosi del monastero di S. Maria di Calena fondata da Ludovico II nell’827. Ma l’inventario dei resti scheletrici rivela una proporzionata rappresentanza dei due sessi e dell’età infantile e giovanile, facendo crollare il castello di supposizioni in merito. Poiché Peschici e Vico sono troppo lontane dal sito, non sono loro i centri del cimitero.

“Nell’ultima campagna di scavi del ’62 vennero redatte una piantina e una dettagliata descrizione di ogni singolo ipogeo allo scopo – lungimirante! - del Corrain di far conoscere a fini turistici (ed era ancora poco diffuso il turismo sul promontorio nel ’60) queste interessantissime architetture sepolcrali. Nel testo di Delli Muti si legge la cronistoria del ritrovamento dell’ipogeo ‘3’: «Fu scoperto da Battaglia mentre era ancora ostruito dai detriti portati dal vento. Lo scavo svolto dalla nostra missione, fornì gran parte del materiale scheletrico e fittile che disponiamo. Si dovette procedere allo sgombero del corridoio d’accesso. Presso l’ingresso, perfettamente rettangolare, apparve un piccolo loculo, al riparo di lastroni di laterzio. Vi si trovarono frammenti di ossa riferibili ad un neonato. La posizione di questo, fuori dalla vera catacomba, fa pensare alla prassi cristiana di seppellire i non battezzati fuori dal cimitero.

“E ancora: «Lo sterro di tutto il complesso si rivelò ben più esteso delle aspettative: solo un loculo era però integro, semi-scavato e ricoperto da lastroni di calca e di cotto legati con la calce. La quarta cappella sulla destra si sviluppa in maniera eccezionale sfruttando un corridoio naturale che sul fondo prosegue strettissimo per parecchi metri con forte inclinazione verso il basso. Un nostro calcolo approssimativo del numero complessivo dei loculi, 50-60, in realtà potrebbe essere di lunga inferiore alla realtà».

“Oggi questo ipogeo conserva una buona parte delle caratteristiche descritte, ma di sicuro, se non si interviene, la roccia sovrastante continuerà a cadere, rovinando del tutto una ricchezza che dovrebbe essere aperta a tutti. Il Comune di Vico del Gargano ha presentato un progetto da 500mila euro per ‘Capitanata 2020’. «Abbiamo ripreso, e con l’ufficio tecnico ridotto, un progetto molto esteso per il ripristino dell’area risalente a circa dieci anni fa - ricorda Luigi Damiani, sindaco di Vico del Gargano. - Vi sono infatti una parte delle cavità molto raccolte, una decina, perché il finanziamento non avrebbe mai coperto tutta quell’area».

“E aggiunge: «Lo scorso 9 aprile (2010; ndr), io ed i sindaci del circondario abbiamo partecipato all’incontro preliminare, dove i tecnici hanno espresso un parere che vedrebbe l’intervento immediatamente cantierabile. Abbiamo già pronto il progetto esecutivo e siamo certi della disponibilità, da parte dei proprietari dei terreni in cui è sito l’ipogeo sepolcrale, all’esproprio la cui somma è compresa nei 500mila euro totali. L’idea consiste nella creazione di un Parco Archeologico fruibile a tutti, la pulizia, la messa in sicurezza e l’apertura al pubblico del complesso».

“Dall’ufficio tecnico del Comune ci pervengono i tipi di lavori che saranno svolti sul sito. Innanzitutto gli ipogei dell’area presa in considerazione verranno puliti dalla vegetazione spontanea e da tutto il materiale di crollo ed erosione, eolica ed idrica. Verranno apposti cippi lapidei che numereranno tutti gli ipogei e aggiorneranno gli stessi rilievi planimetrici. Il numero delle catacombe che subiranno interventi di restauro mirato, sotto la supervisione e consulenza del dott. Maolucci della Soprintendenza Archeologica, è al massimo una decina, site nel punto di maggior densità. Ogni ipogeo verrà dotato di appositi pannelli per indicarne le caratteristiche.

“Altro punto forte del sito è l’aspetto naturalistico. Gli elementi arborei - recita la relazione redatta - come fichi, ulivi e carrubi verranno potati, e verrà creato un percorso lungo il quale saranno piantati dei fichi per sottolineare la tipicità di alcuni tipi” (Domenico Ottaviano jr.).


 Redazione

 

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