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17/03/2011

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150 ANNI DELL’UNITÀ: PERCHÉ CELEBRARLI?

Clicca per Ingrandire Questa celebrazione sarà stata utile se avrà fatto riflettere sulla nostra realtà. Proviamo a porci alcune domande: se le risposte saranno nella maggior parte dei casi affermative, è segno che noi siamo migliori di quelli che vivevano negli anni preunitari e l’unità è stata positiva. In caso di risposte prevalentemente negative, è segno che non siamo cresciuti civilmente, moralmente ed economicamente. In questo caso occorrerà lavorare ancora su tale progetto. D’altro canto, l’Italia è ancora una bambina e tante pagine di storia vanno ancora scritte.

- Sono libero come figlio, alunno, donna/uomo che lavora, come moglie, come cittadino che vive nella propria casa, nella propria città, nel proprio Stato?
- Posso esprimere liberamente il mio pensiero senza che altri mi facciano ritorsioni?
- Posso lasciare la macchina sotto casa, davanti al negozio, in luogo incustodito senza il timore che venga rubata?
- Posso stare in casa senza il timore di ricevere visite sgradite e minacce?
- Vado in vacanza tranquillamente senza la paura che altri verranno a casa mia per farmi qualche dispetto?
- Lascio tranquillamente la casa al mare o al bosco, fiducioso che nessuno andrà mai a scassinare la porta e portare via mobili e altri oggetti?
- Posso realizzare un progetto e/o aprire un’attività in tempo utile senza seguire vie clientelari o andare incontro a migliaia di intralci burocratici?
- Riesco a condurla senza pagare il pizzo o essere costretto ad assumere un soggetto che respinga la forza con la forza?
- I nostri boschi sono esenti da incendi dolosi?
- Mi sono estranei discorsi che parlano di macchine incendiate, giovani morti, vittime della criminalità più o meno organizzata, di concorsi vinti dai “raccomandati”, di gare d’appalto truccate, di dipendenti sfruttati, di caduta del welfare, di Mezzogiorno parassita, di politici che una volta ottenuto il voto si dimenticano di chi li ha sostenuti e dei problemi della comunità?

La ricorrenza dei 150 anni oltre a far capire che per noi del Mezzogiorno il Regno d’Italia è stato fondamentalmente patrigno e che comunque l’unità col tempo è stata vantaggiosa per tutti generalizzando i servizi dell’istruzione, della sanità, di poste e trasporti, oltre a promuovere l’orgoglio nazionale per il nostro patrimonio culturale e naturalistico, deve essere utile a far comprendere che non può esservi unità senza la giustizia e la libertà. Una libertà che libera l’uomo dal bisogno, dalla sudditanza, dalla precarietà.

La celebrazione deve fare di ciascuno di noi una sentinella della Costituzione, adoperandosi affinché questa Carta non sia un codice di utopie, a partire dall’art. 1 che fonda l’Italia sul lavoro [che non c’è], a seguire con l’art. 3 che pone l’uguaglianza [di sesso, di lingua, dio, razza, di religione, di condizione personale e sociale] di fronte alla legge come valore, o con l’art. 9 che considera la guerra come strumento di difesa e non di offesa…

La celebrazione dei 150 anni non può non considerare che mentre difendiamo il valore dell’unità d’Italia, annaffiando le nostre radici e coltivando le nostre peculiarità e identità, non possiamo non tenere presente che viviamo in un mondo globalizzato dove eccedere nel sentimento nazionale non è soltanto un comportamento ‘demodé’ ma poco auspicabile, se non si vuole andare incontro a recrudescenze nazionaliste e razziste.

L’Italia del prossimo futuro dovrà fare i conti con le culture “altre” presenti nel nostro territorio, rivedere il romantico concetto di “patria” unitario, volto a raggruppare uomini che condividono suolo, sangue, lingua e tradizioni [“uni di lingua di sangue e di cor”], per includervi gli immigrati che da due o più generazioni abitano il nostro territorio senza poter fruire del diritto di cittadinanza. La storia fa i conti coi tempi.

La celebrazione dei 150 anni dell’Unità non avrebbe significato qualora si riducesse a mera retorica dell’Italia liberale vagheggiata dai poeti e dagli esigui intellettuali del Risorgimento. Se, invece, avesse facoltà di sollecitare soprattutto i giovani a non vivere da sradicati, in una dimensione che non sta né di qua né di là (nel proprio paese, in Italia, nel mondo), se li stimolasse a impossessarsi delle chiavi di lettura del presente, per viverlo in prima persona e assumere decisioni critiche, filtrate dalla propria testa, se riuscisse a fare capire che la storia è fatta dal concorso di ciascuno, allora sì che potrebbe avere senso. Se da un lato la realtà dei fatti sembra dare ragione agli scettici per i quali la Storia non insegna nulla, dall’altro bisogna riconoscere che per orientarsi nel presente occorre guardare al passato.

Sotto questo profilo, come insegna Benedetto Croce, la Storia è sempre contemporanea, dato che nasce da una domanda, da un problema del nostro tempo, coincidendo con quel “passato ancora vivente” che lo definisce, con lo sviluppo dello spirito - che preferirei denominare umanità - che si accresce col tempo senza dimenticare le esperienze precedenti. Storia che vede protagonisti persone e istituzioni, maschi e femmine, generali e soldati, gente colta e ignoranti, sindaci e semplici cittadini, i quali hanno tutti facoltà di modificare il proprio tempo alla luce del passato da cui ha avuto origine, perché la storia si fa con il concorso degli uomini.

E quantunque l’esperienza quotidiana porti a pensare che a dirigere i fili della Storia siano gli uomini di potere, che la società induca l’uomo a fingere, a recitare un copione scritto da altri proprio come fa l’attore sul palcoscenico, senza poter essere se stesso, credo che “la lotta per la libertà ha ragion d’essere, dato che nella razionalità del processo complessivo, i singoli passaggi non sono affatto già determinati”. Bisogna perciò difendere la libertà di manifestare la propria volontà anche quando ci si trova di fronte a situazioni assurde in cui sembra prevalere l’irrazionalità. La Storia va avanti anche senza di noi: è indubitabile. Meglio, però, sarebbe concorrere e consapevolmente alla stesura del copione. Anche su questo può fare riflettere questa celebrazione.

Dina Crisetti

 Redazione

 

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