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10/03/2011

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QUANTO VALE LA LIBIA PER NOI ITALIANI

Clicca per Ingrandire La crisi libica non ha lasciato indifferenti gli imprenditori italiani. Gli scontri fra il colonnello Muammar Gheddafi e i manifestanti stanno infatti facendo impensierire non poco i big dell’industria. Del resto, sono molti i rapporti che negli anni si sono costruiti fra Roma e Tripoli. Con 2,4 miliardi di euro di esportazioni, 10 di importazioni e circa 5 miliardi di investimenti libici in Italia, il nostro Paese è uno dei partner commerciali più attivi con la Libia. Finmeccanica negli anni ha tessuto una delle relazione più intense con Tripoli. La Lybian investiment authority, il fondo sovrano libico con una dotazione di oltre 70 miliardi di dollari, ha una partecipazione del 2,02 percento nella società di Pier Francesco Guarguaglini. Questa ha però ritirato fin dai primi disordini gli oltre dieci dipendenti di Liatec, società che cura la produzione di elicotteri tramite un accordo tra Finmeccanica, Agusta Westland e Libyan Company of Aviation. Colpa dei possibili dissidi interni.

Sempre dell’universo Finmeccanica è Ansaldo Sts che, attraverso un contratto con Selex (altra società di Piazza Monte Grappa) e la russa JSC Rzd, ha vinto l’appalto per la fornitura dei sistemi di segnalazione della ferrovia fra Sirte e Bengasi, circa 250 milioni di euro di commesse. Giusto dodici mesi prima la stessa Ansaldo si era aggiudicata un affare da 540 milioni di euro per i 1.500 km di linea ferroviaria che vanno da Ras Ajdir a Sirte e da Al-Hisha a Sabha. Uno dei maggiori contractor con la Libia è Impregilo. Per la società di Massimo Ponzellini, Tripoli è sempre stato un affare. Il maggiore di questi è forse l’autostrada Rass Ajdir-Imsaad, oltre 1.700 chilometri di asfalto che rientrano in un progetto ventennale da 5 miliardi di dollari secondo fonti di stampa libiche. Non è ancora definito chi sarà il costruttore di tale colosso, ma è ipotizzabile che, una volta terminati i disordini, possa essere proprio Impregilo a vincere la gara.

Uno degli accordi più importanti, siglato il 2008, ha previsto la nascita di tre città universitarie fra Tripoli e Bengasi in collaborazione con la Libyan Development Investment per complessivi 430 milioni di euro. Fondamentali anche le partecipazioni nella nascita degli aeroporti di Kufra, Benima, Misurata, El Wotia e Sirte, dei porti di Ras Lanuf, Benghazi e Homs, dei centri istituzionali di Sirte e dei distretti industriali di Ras Lanuf e Misurata. Impegnata in affari con Tripoli c’è anche UniCredit. La prima banca italiana nel proprio capitale ha due esponenti libici di rilievo: da un lato c’è la Central bank of Libya di Farhat Omar Bengdara, al 4,613 percento di Piazza Cordusio, dall’altro la Libyan investiment authority, il fondo sovrano di casa Gheddafi, fermo al 2,594. Considerando la valutazione mark-to-market di UniCredit, circa 3 miliardi di euro sono in ballo.

C’è poi Eni. Il colosso energetico guidato da Paolo Scaroni, durante il vertice italo-libico di fine estate aveva quantificato in 25 miliardi di dollari i possibili investimenti nel Paese. Con lo scoppio dei primi tumulti, la società ha però dovuto rivedere momentaneamente i propri obiettivi. Il gasdotto Greenstream è stato chiuso e i dipendenti del gruppo rimpatriati dal Paese fino a conclusione dei disordini. Del resto, per Scaroni la Libia è un asset di assoluto valore, dato che circa 250mila barili - un sesto della produzione intraday - ogni giorno arrivano da Tripoli. Senza contare che i contratti per lo sfruttamento dei giacimenti vanno fino al 2042 per il greggio e fino al 2047 per il gas naturale.

Oltre all’energia c’è di più. Per la Libia non ci sono solamente società del segmento energetico o edile, ma anche quelle legate ad altri universi industriali. Un caso è quello di Fiat. Il primo contatto fra il Lingotto e Tripoli si ebbe nel 1976 tramite la Libyan Arab Foreign investment company (Lafico), con l’acquisizione del 15 percento delle azioni Fiat. La Lafico uscì dal capitale torinese solo dieci anni più tardi, nel 1986, con una plusvalenza di 2,6 miliardi di dollari. Eppure, i piaceri di Gheddafi per Torino non sono mai sopiti. Attualmente Lafico detiene il 7,502 percento di Juventus, unico azionista sopra quota 2 oltre alla famiglia Agnelli. Il Sace ha reso noto che l’esposizione libica delle imprese italiane non è particolarmente rilevante. Il monte delle assicurazioni presso la società di Giovanni Castellaneta è infatti di soli 50 milioni di euro. Una cifra risibile, specie se paragonata a quella di Paesi come la Germania, ma che non quantifica al meglio i rapporti fra Italia e Libia.

Fabrizio Goria


 agienergia.it/

 

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