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01/03/2011

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"IL TESTAMENTO DI PIETRA". UN NOIR DEL SETTECENTO

Clicca per Ingrandire Grazie al grande interesse mostrato verso l'iniziativa, la visita guidata teatralizzata “Il testamento di pietra” (suggestiva intitolazione della "Cappella Sansevero"; ndr), organizzata dall’Associazione Culturale “NarteA” di Napoli, ritorna per un altro anno ed è già partita il 26 febbraio scorso. “Il testamento di pietra” ha come obiettivo quello di animare la Cappella Sansevero (nel cuore del centro antico di Napoli, alle spalle di piazza San Domenico Maggiore; ndr), con un percorso che si dipanerà attraverso l’intera navata e la cavea e guiderà gli ospiti nell’affascinante mondo di Raimondo di Sangro, principe di San Severo (Torremaggiore, 30 gennaio 1710 / Napoli, 22 marzo 1771 – foto del titolo; ndr), esaltando la sua genialità e il suo modo di schernire ignoranza e leggende.

Attraverso le statue di Queirolo, Corradini, Sanmartino, attraverso le Macchine Anatomiche e la voce del principe stesso, gli ospiti verranno trasportati in un viaggio fra storia e alchimia, leggende e studi scientifici, e saranno resi partecipi della lotta fra il genio di un uomo e l’ignoranza dei più. Una perfetta sincronia fra visita guidata e spettacolo creerà un’atmosfera suggestiva e unica, e trascinerà il pubblico lontano dalla realtà dando voce alla storia nascosta fra quelle vicende e quei misteri del passato che da sempre suscitano interesse e curiosità.

Di seguito le nuove date degli appuntamenti con Raimondo di Sangro arricchiti da una doppia rappresentazione (alle 18.30 e alle 19.30): i sabati del 26 febbraio (già consumato), 26 marzo, 16 aprile, 21 maggio, 11 giugno, 17 settembre, 22 ottobre, 19 novembre, 17 dicembre.


LE SCHEDE RELATIVE A RAIMONDO DI SANGRO =

CHI ERA - I membri della sua famiglia sono Grandi di Spagna, proprietari di innumerevoli feudi dell'area pugliese (Sansevero, Torremaggiore, Castelnuovo, Casalvecchio di Puglia, Castelfranco e altri minori) e sostengono di discendere, per linea paterna, direttamente da Carlo Magno. Nasce da Antonio, duca di Torremaggiore, e Cecilia Gaetani dell'Aquila d'Aragona. Persa la madre poco dopo la nascita, a lei resterà sempre profondamente legato tanto da dedicarle, nella Cappella Sansevero (foto 1 sotto), la statua della "Pudicizia Velata" (del Corradini - foto 2) in cui una donna, completamente ricoperta da un drappo che ne lascia intravedere le forme, si poggia a una lapide spezzata a indicarne la prematura scomparsa.

Il padre, Antonio di Sangro, superficiale e libertino, invaghitosi di una ragazza di Sansevero, ne fa uccidere il genitore che si oppone alla relazione. Accusato del misfatto da Nicola Rossi, sindaco di Sansevero, è quindi costretto a fuggire alla Corte di Vienna dove diventa intimo dell'Imperatore, continuando a protestare la sua innocenza. Forse per corruzione, la magistratura pugliese archivia il caso e Antonio di Sangro può rientrare nei suoi feudi dove, però, non tarda a vendicarsi del suo principale accusatore facendolo uccidere. Per sfuggire al carcere riprende la fuga che dopo alterne vicende si conclude a Roma dove prende i voti e si ritira in convento.

Il giovane Raimondo viene quindi affidato alle cure dei nonni paterni che a dieci anni lo mandano a studiare alla Scuola Gesuitica di Roma dove resta fino al compimento dei vent’anni, acquisendo una cultura di molto superiore alla media che, unita alla sua naturale propensione allo studio (salvo la grammatica a causa della quale ha perso un anno), ne fa uno dei "geni" del Settecento napoletano ed europeo. La sua cultura superiore si impone infatti su quella della stragrande maggioranza dell'aristocrazia napoletana, considerata rozza e ignorante. Appassionato di araldica e geografia (in cui eccellerà), studia retorica, filosofia, logica, matematica e geometria, scienza, fisica, greco, latino, ebraico e, portato per le lingue straniere, mantiene a proprie spese un sacerdote che gli impartisce lezioni di tedesco.

Il suo "genio" si fa presto apprezzare, tanto che per una rappresentazione scolastica, in cui c'era da smontare rapidamente un palco teatrale per consentire nello stesso spiazzo esercizi di equitazione, superò "primi Ingegnieri e valentuomini" chiamati a risolvere il problema "inventando" un palco che "coll'ajuto di alcuni argani e di alcune nascoste rote" spariva in pochi minuti.

Il 1730, all'età di vent’anni, rientra a Napoli, sede stanziale della famiglia avendo acquisito l'anno precedente, a seguito della morte del nonno paterno, il titolo di 7° Principe di Sansevero. Nello stesso anno, per procura giacché viveva nelle Fiandre, sposa una cugina quattordicenne, Carlotta Gaetani dell'Aquila d'Aragona, che conosce però, causa le continue guerre europee, solo sei anni dopo il matrimonio quando lei lo raggiunge a Napoli. Da ricordare come Raimondo commissiona per la cerimonia la composizione di una serenata musicale al coetaneo Giovanni Battista Pergolesi che viene però completata da altra mano per l'infelice sorte che attende il musicista.

Esperto in arte militare è anche colonnello del Reggimento Capitanata e il 1744 si distingue valorosamente nella battaglia di Velletri contro gli Austriaci. Prima appartenente all'Accademia de' Ravvivati (con lo pseudonimo di "Precipitoso") diviene poi accademico della Crusca col nome di "Esercitato" e il motto "Esercitar mi sole". Oltre agli studi chimici e alchemici - per cui il suo nome susciterà sempre (anche oggi) dubbi di stregoneria fra il popolino e la stessa aristocrazia ignorante - è scrittore e editore, tanto che dalla sua tipografia (impiantata nei sotterranei dello stesso Palazzo dove vive a Napoli, in piazza S. Domenico Maggiore) escono libri, suoi e di altri, spesso censurati dalle autorità ecclesiastiche o pubblicati anonimamente. Anche in questo caso, tuttavia, non si esime dal compiere esperimenti, tanto che narra egli stesso di essere riuscito a stampare pagine a più colori in "una sola passata".

Dalla tipografia vengono editi libri di chiaro influsso massonico oltre che trattati e traduzioni di libri da nessun altro pubblicati in Italia. Il 1750 pubblica un testo meglio noto come “Lettera apologetica”, ma il cui titolo completo è “Lettera Apologetica dell'Esercitato accademico della Crusca” contenente la difesa del libro intitolato “Lettere di una Peruana” per rispetto alla supposizione “de' Quipu” scritta dalla Duchessa di S*** e dalla medesima fatta pubblicare, in cui ha trattato del criterio di traduzione dei "quipu", ovvero cordicelle colorate annodate a differenti altezze usate dalle popolazioni dell'America Latina per scambiarsi messaggi segreti. Si suppone che la "Duchessa di S…" sia Mariangela Ardinghelli, nel cui salotto napoletano si riunivano gli eruditi dell'epoca.

Tra le sue opere si ricordano un Vocabolario dell'arte militare di Terra (la cui redazione durerà ben otto anni per fermarsi alla lettera "O"), un Manuale di esercizi militari per la fanteria che ottiene il plauso del re Federico II di Prussia, nonché trattati vari sulle fortificazioni. Quanto alle traduzioni, dalla "stamperia" del Principe nascono “Il Conte di Gabalis” ovvero “… ragionamenti sulle Scienze Segrete...” dell'abate francese Villars de Montfaucon che per il suo contenuto esoterico porta al Principe una nuova accusa di miscredenza da parte dei Gesuiti, costringendolo a negare che l'opera sia uscita dalla tipografia col suo placet; “I viaggi di Ciro”, da “Les voyages de Cirus” dello scozzese Michel Ramsay (massone e iscritto alla stessa loggia del Montesquieu), con cui si auspica che la nobiltà partenopea sia presa da ben maggiore fervore illuministico; “Il riccio rapito”, dell'inglese Alexander Pope, anch'egli massone.

Il 1744 dà inizio alla sua opera massima: il restauro e la sistemazione definitiva della Cappella Gentilizia, quella "Santa Maria della Pietà" meglio nota al popolino napoletano col nome di "Pietatella" e oggi ai più come "Cappella Sansevero". I lavori, che prosciugheranno le casse di famiglia e porteranno cospicui debiti (tanto da costringerlo ad affittare alcune stanze del suo palazzo a uso di bisca clandestina - motivo per cui sarà addirittura arrestato e rinchiuso per alcuni mesi nel carcere di Gaeta, - durano fino alla sua morte e rendono la piccola chiesa, coi suoi influssi massonici e le sue allegorie, un capolavoro del barocco napoletano cui partecipano i maggiori nomi dell'arte dell'epoca.

Nello stesso anno si iscrive alla "Libera Muratoria" e diventa "Fratello Massone" (le prime ‘logge’ erano sorte a Napoli i primi del Settecento e quella da lui fondata assume il nome di "Rosa d'ordine Magno" derivante dall'anagramma del suo). In pochi anni scala la gerarchia dell'associazione segreta giungendo a diventare "Gran Maestro" di tutte le Logge napoletane. Sono anche gli anni delle maggiori scoperte archeologiche, fortemente volute proprio dall'illuminato Re Carlo III di Borbone: Pompei, Ercolano, Paestum, anche queste viste in chiave massonica come riscoperta degli antichi valori morali e di democrazia propri dell'ideologia cui la "fratellanza" fa riferimento.

Contemporaneamente iniziano le invettive della Chiesa, dei Gesuiti in particolare, e del frate Guglielmo Pepe contro la massoneria e il tentativo, fallito per intervento dello stesso Re, di istituire anche a Napoli un tribunale del Santo Uffizio. Convinto che unico modo per difendere le Logge sia porle sotto un'alta protezione, il Principe si avvicina ancor più a Re Carlo III di Borbone, di cui era consigliere, tentando di ottenerne l'iscrizione (come peraltro già avvenuto in Prussia con Federico II), ma il 1751 papa Benedetto XIV (al secolo cardinal Prospero Lambertini, anch'egli in odore di massoneria) scomunica tutti gli appartenenti alla "Fratellanza" e ordina lo scioglimento delle logge. Si potrebbe trattare, nel caso del Regno di Napoli, di un pretesto che può preludere a una dichiarazione di guerra e, sebbene a malincuore, Carlo III con un editto cancella le logge napoletane e bandisce la massoneria dal Regno. Convinto che sia l'unico modo per salvare i fratelli da più gravi conseguenze, Raimondo abiura e fornisce al Re l'elenco degli iscritti che vengono però solo redarguiti e non puniti. In effetti la "finta abiura" e la consegna degli elenchi, col conseguente "rimprovero", hanno l'effetto di salvare i massoni napoletani da persecuzioni permettendo loro di continuare a svolgere indisturbati le proprie attività esoteriche.

Intanto i lavori per la Cappella Sansevero continuano e con essi i debiti conseguenti che costringono il Principe ad affittare locali del suo Palazzo e perfino il suo palco al Teatro San Carlo, nonché a chiedere prestiti a istituti di credito. Gli si schiera contro inoltre, contrastato dallo stesso Re Carlo III, il Ministro della Real Casa Bernardo Tanucci che vede ingiustamente in lui (per le sue simpatie prussiane), un nemico del Regno. Ma il 1759 Carlo III, alla morte del fratello, deve abbandonare Napoli per diventare Re di Spagna. Lascia il Regno al figlio, l'illetterato, religiosissimo e giovanissimo Ferdinando IV e con la sua partenza viene meno la difesa del Principe nei confronti di Tanucci, che lo fa arrestare per aver affittato locali della sua casa a uso bisca clandestina. Liberato dopo alcuni mesi per intercessione della moglie e di alcuni nobili amici, Tanucci non demorde e il 1764 comunica all'ex Re che l'ammontare dei suoi debiti sono saliti a oltre 220mila ducati.

E’ l'anno di una spaventosa carestia che causerà oltre duecentomila morti nel Regno (di cui oltre trentamila nella sola Napoli) e anche l'anno in cui, per tentare di appianare la propria situazione debitoria, il Principe di Sansevero decide di far sposare il primogenito Vincenzo alla principessa Gaetana Mirelli, che porterà una ricchissima dote in grado di consentirgli di saldare i debiti e disporre di un discreto appannaggio mensile. Per omaggiare gli sposi, fa venire a Napoli un "picchetto" d'onore costituito dai propri "feudatari" pugliesi. Si tratta, in realtà, di una cinquantina di persone che indossano una sorta di uniforme e sono armati. E’ l'ennesima scusa che consente a Tanucci di arrestarlo nuovamente accusandolo di "invasione armata" della città. Liberato poco dopo, prosegue nelle sue attività di studio, nelle sue invenzioni e nei lavori di restauro della Cappella fino alla morte, avvenuta il 1771.


LA "CAPPELLA SANSEVERO" – E’ attigua al palazzo di famiglia, da questo separata da un vicolo una volta sormontato da un ponte sospeso. Voluta il 1593 per "grazia ricevuta" dal Duca Giovan Francesco de Sangro, 1° Principe di Sansevero, viene di fatto fondata il 1613 dal secondogenito di questi, Alessandro, Patriarca di Alessandria e Arcivescovo di Benevento, che la vuole come cappella funebre dei membri di famiglia (foto 3, lapide dedicatoria). I lavori vengono tuttavia sospesi il 1642 e ripresi dopo oltre cento anni il 1744 da Raimondo di Sangro. Una delle tante leggende che circolano sulla chiesa vuole che sia stata costruita sul luogo di un antico tempio di Iside. Una originale teoria sulla lettura esegetica della Cappella ci viene da Giuseppe del Noce, esoterista e studioso napoletano, che ha costruito uno schema secondo il quale le statue del complesso gentilizio rappresenterebbero le dieci sephiroth dell'Albero della vita, in modo tale che ogni statua, procedendo secondo i sentieri indicati dalla dottrina cabalistica, raffiguri una emanazione divina.

Raimondo di Sangro, proseguendo nella linea iniziata dall'antenato Alessandro, la abbellisce con statue pregne di allegorie talvolta di incerto significato (da taluni ritenute alchemiche, da altri massoniche), impegnandovi notevoli risorse economiche e facendone uno dei maggiori capolavori artistici di Napoli. E’ nota principalmente per tre delle statue che la adornano, statue la cui esecuzione materiale resta ancora un mistero. Due di esse infatti sembrano coperte da un velo trasparente di marmo che però è omogeneo con la statua sottostante (“Cristo Velato” del Sammartino [foto 4-5] - e “Pudicizia Velata”), mentre la terza è coperta da una rete di marmo apparentemente posta successivamente ma anch'essa perfettamente omogenea con la statua (“Il Disinganno” del Queirolo – foto 6 e 7, part.). Una delle ipotesi, da parte degli estimatori moderni del principe, è che si tratti del risultato di un procedimento inventato dal Principe per "marmorizzare" un tessuto. Tale procedimento, però, non è stato ancora messo alla prova e tutt'oggi non sembrano esserci spiegazioni convincenti. Una possibile interpretazione delle allegorie verte sul messaggio illuminista: attraverso la ragione l'uomo raggiunge il disinganno e si libera delle false verità.


LE INVENZIONI - Questione controversa, quella delle invenzioni, giacché alcune sono testimoniate soltanto dalla “Lettera Apologetica”. Comunque, qui di seguito ecco un elenco delle più conosciute attribuite al Principe (o auto-attribuitesi):

• Macchine anatomiche: forse l'unica giunta fino a noi. Si tratta di due modelli anatomici di grandezza naturale costituiti da due scheletri umani (una donna e un uomo – foto 8 e 9-10, part.) su cui è incastellato il solo albero sanguigno di colore differenziato blu e rosso. Leggenda vuole che Raimondo abbia ottenuto tale "metallizzazione" del circuito sanguigno "iniettando" un composto di sua invenzione e, poiché unica "pompa" in grado di spingere il liquido fin nei capillari più sottili è il cuore, che i due malcapitati fossero ancora vivi quando tale esperimento venne eseguito. Occorre rammentare che all'epoca non era stata ancora inventata la siringa ipodermica.

Le due "macchine", originariamente nel laboratorio del Principe e attualmente nella "Cavea Sotterranea" della Cappella Sansevero, sarebbero state di fatto realizzate da un anatomista palermitano, Giuseppe Salerno, come risulta da un contratto ancora oggi conservato nell'archivio notarile di Napoli. Partendo da due scheletri umani, il Principe si impegnava a fornire al medico fil di ferro e cera colorata (secondo un metodo di sua invenzione) per ricostruire l'albero circolatorio e dare così un valido modello didattico ai non esperti medici dell'epoca. In origine la "macchina" femminile aveva anche un feto che però negli anni '60 del secolo scorso è stato trafugato. Che si tratti di "macchine" non è tuttavia certo dacché gli attuali proprietari della Cappella Sansevero hanno sempre opposto il loro rifiuto a far eseguire qualunque tipo di indagine.

• Palco pieghevole: si sarebbe trattato di un palco dalle normali apparenze ma che per mezzo di ruote, argani e funi sarebbe stato possibile sollevare e chiudere "a libro". Testimoniato dalla “Lettera Apologetica”, sarebbe stato costruito il 1729, quando Raimondo ha solo 19 anni, in occasione di una rappresentazione teatrale nel cortile del collegio gesuitico romano, e chiuso in pochissimo tempo per permettere lo svolgimento nella stessa area di un carosello di cavalleria.

• Cannoncino da campagna: sarebbe stato costruito in un metallo leggero in sostituzione del bronzo, allora comunemente usato per questo tipo di arma, talché "qualunque soldato senza gemere sotto l'incarico di esso può trasportarne uno, forse due".
• Archibugio: fucile a retrocarica, costruito a canna unica, in grado di sparare a polvere o "a vento" (cioè ad aria compressa).
• Macchina idraulica: capace di trasportare l'acqua a qualunque altezza.
• Carrozza marittima: come evidenziabile da una stampa d'epoca (ancora esistente), si trattava di veicolo perfettamente somigliante a una carrozza terrestre, con tanto di cavalli verosimilmente in sughero o legno, ma al posto delle ruote aveva delle "pale" (azionate da personale nascosto) in grado di viaggiare per mare. Tale carrozza poteva ospitare dodici persone ed era più veloce delle barche a remi e a vela dell'epoca (fonte: "La Gazzetta di Napoli" 24 luglio 1770).

• Marmi alchemici: nella sua ricerca alchemica il Sansevero avrebbe inventato parecchie sostanze chimiche fra cui stucchi, mastici madreperlacei usati per costruire cornicioni e capitelli, e un tipo di marmo sintetico che, versato allo stato fuso in apposite canaline, avrebbe formato un "cordone" bianco marmoreo, ininterrotto, che decorava il pavimento della cappella di famiglia (ancora oggi in parte visibile). Si è anche fantasticato su un possibile suo procedimento per marmorizzare i tessuti. Prova ne sarebbe la scultura del "Cristo Velato", nella medesima cappella, dove il corpo appare coperto da un velo di marmo trasparente. Su questa invenzione, però, non ci sono prove e l'effetto del velo sarebbe dovuto solo all'abilità dello scultore, Giuseppe Sanmartino.

• Stampa simultanea a più colori: normalmente le operazioni di stampa avvengono (fatte salve le moderne stampanti a colori) eseguendo tante "passate" quante sono i colori (tricromia o quadricromia). Il Principe avrebbe inventato invece un sistema per stampare "a più colori" con una sola "passata di torchio" e tale metodo avrebbe impiegato nella sua tipografia sita nei sotterranei del Palazzo.
• Epigrafia al negativo: anziché scolpire le scritte, queste sarebbero state ricoperte con una pasta a base di paraffina che le avrebbe protette dal bagno d'acido cui l'intera lapide veniva sottoposta, ottenendo così scritte in rilievo, come evidenziato peraltro dalla stessa lapide del suo monumento funebre.

• Lume eterno: testimoniata da alcune lettere di Raimondo a studiosi dell'epoca, sarebbe stata una mistura ottenuta dalla triturazione delle ossa di un teschio e forse costituita da una miscela di fosfato di calcio e fosforo ad alta concentrazione. Tale miscela avrebbe avuto la capacità di bruciare molto lentamente e di consumare pochissima materia.
• Carbone alchemico: una mistura di sostanze di origine animale e vegetale, in grado di bruciare senza produrre cenere.
• Impermeabilizzazione dei tessuti: Raimondo avrebbe donato al re Carlo III, grande appassionato di caccia, un mantello trattato in questo modo.
• Gemme artificiali: Raimondo avrebbe trovato il modo di imitare le vere gemme usando normali pietre in marmo bianco, colorate però con un procedimento del tutto nuovo, tal che non si sarebbe potute distinguerle da gemme vere.

• Farmacopea: appassionato anche di medicina e colpito dall'ignoranza dei medici dell'epoca in questioni anatomiche (come dimostra la realizzazione delle "Macchine"), Raimondo di Sangro si impegnò anche in tale campo. È noto che curò un paziente affetto da "morbo invero raro e sconosciuto ai medici" somministrandogli "estratto di pervinca più fiate bullito". La cura fece dapprima perdere i capelli all'ammalato, che però non guarì e giunse comunque a morte. Dall'autopsia, cui il Principe partecipò e di cui ci ha lasciato traccia, è stato possibile appurare che si trattava di un tumore allo stomaco. Ciò che colpisce è che le attuali cure oncologiche prevedono la somministrazione di sostanze che contengono estratto di "vinca rosea", come attestato da oncologi moderni confermando che la cura proposta dal Sansevero circa 400 anni fa non era poi del tutto errata.

• Sangue di San Gennaro: il Principe sarebbe riuscito a produrre una sostanza in grado di comportarsi esattamente come quella ritenuta essere il sangue di san Gennaro.
• Sistema per dissalare e potabilizzare l'acqua di mare.
• Carta ignifuga: sarebbe stata di lana da una parte e di seta dall'altra, con la proprietà di non prendere fuoco.
• Altri presunti procedimenti: plasticizzazione a freddo di metalli, metallizzazione e pietrificazione di materie molli, nuovi processi di colorazione di marmi e vetri.
• Pirotecnica: per la realizzazione di fuochi d'artificio a più colori, inventandone quelli di colore verde.


LA LEGGENDA NERA… - Nella splendida Capitale del Regno delle Due Sicilie, la famiglia Sansevero vive nel palazzo di Piazza San Domenico Maggiore (attualmente al n. 9) che già di per sé gode di triste fama. Si racconta infatti che il 1590 l'allora padrone del Palazzo, il celebre compositore Carlo Gesualdo Principe di Venosa, avesse sorpreso la moglie Maria d'Avalos col suo amante, il Duca Fabrizio Carafa, e li avesse uccisi per poi portarne i corpi sullo scalone e ammettere il popolo al palazzo perché potesse vedere la sua onta lavata col sangue. È facile, per il popolino, far nascere vicende magiche e misteriose che ben presto coinvolgono anche l'erudito e altrettanto misterioso 7° Principe di Sansevero, il quale peraltro nulla fa per screditare tali dicerie, anzi ammanta la propria vita di segretezza rinchiudendosi per giorni nei suoi laboratori alchemici dove studia e realizza i suoi esperimenti, i suoi studi e le sue "invenzioni". Si aggiunga che nei sotterranei del Palazzo era stata installata una tipografia che, coi suoi rumori decisamente originali per l'epoca, ben poteva alimentare ulteriori dicerie.

Le attività "inusuali" di Raimondo, pertanto, contribuirono non poco ad alimentare una serie di leggende poco lusinghiere intorno alla sua persona, che divenne col passare del tempo una figura di primo piano nell'immaginario "magico" della cultura popolare napoletana. Fra le leggende sul suo conto, una diceva, ad esempio, che avesse fatto uccidere sette cardinali e che con le loro ossa e la loro pelle avesse fatto realizzare altrettante sedie; che avesse ucciso una donna che gli si negava, e un nano che la difendeva, "metallizzandone" i corpi; che riuscisse a riprodurre la liquefazione del sangue come avviene per quello di San Gennaro; che avesse fatto resuscitare alcuni gamberetti di fiume essiccati; che ottenesse il sangue dal nulla.

Dalle accuse generiche di alchimia, stregoneria e ateismo, si passò ad altre più particolari e, a quanto è dato di sapere, prive di alcun fondamento, come quella di far rapire poveri e vagabondi per ignobili esperimenti.
Ma la cattiva fama si sparse anche tra le classi elevate, a causa del comportamento tenuto nei confronti dei suoi confratelli massoni, da lui denunciati all'autorità giudiziaria, comportamento che gli valse una sorta di damnatio memoriae da parte delle logge di mezza Europa. Alla leggenda nera contribuì anche la passione del principe per il bel canto. Stando ad una delle tante dicerie, anche questa non comprovata, Raimondo sarebbe stato solito girare per le campagne in cerca di ragazzi dalla voce adatta, li avrebbe comprati dai genitori e, dopo averli fatti castrare dal suo medico, li avrebbe fatti rinchiudere nel conservatorio di Napoli dove sarebbero stati avviati alla professione canora.

… CONTINUA CON LA MORTE = Ossessionato dalla “immortalità” si narra che avrebbe incaricato i servi di essere tagliato a pezzi dopo morto e messo in una cassa costruita appositamente, dalla quale sarebbe uscito, vivo e ricomposto, dopo nove mesi. Le cose andarono diversamente in quanto la famiglia, ignara del macabro progetto, credendo di trovarvi un tesoro aprì la cassa prima del tempo stabilito dal congiunto il quale, “svegliato” dal “sonno” prima del tempo, tentò di sollevarsi ma cadde subito dopo lanciando un urlo “dannato”. Resta il fatto che il suo corpo non si è mai trovato e tuttora a Napoli si sostiene che intorno al suo palazzo si odono di notte passi e tintinnii di speroni, lungo via Francesco de Sanctis, nelle notti di luna nera, lo zoccolio dei cavalli della sua carrozza e, durante la notte di Natale, si vede uno sfavillare di candele dietro i finestroni della Cappella Sansevero intanto che un organo suona musica sacra.


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