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11/02/2011

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MIX DI CAPACITÀ, ABILITÀ, CONOSCENZE, CARATTERE E MOLTA ENERGIA

Clicca per Ingrandire Dopo le soliste Anna Lisa Pisano (flauto), Giuseppina Ciarla (arpa), Martina Repetto (corno), la scelta della sovrintendenza della Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli di portare in primo piano talenti femminili sul palcoscenico sinfonico-mozartiano del Politeama barese, si arricchisce di un direttore d’orchestra del calibro di Gianna Fratta. A lei, talento pugliese doc, è stato affidato l’appuntamento di domani 12 febbraio, alle 21 - al Teatro Petruzzelli, con l’esecuzione della Sinfonia concertante per oboe, clarinetto, fagotto, corno e orchestra, e la più famosa Sinfonia n. 41 “Jupiter”, entrambe di Wolfgang Amadeus Mozart. A lei abbiamo rivolto alcune domande.

– “Maestro”, Cavaliere della Repubblica a soli 35 anni, per espressa volontà del Presidente Giorgio Napolitano. Con la bacchetta al posto del frustino si sente più “Walkiria” dal piglio guerriero o “Amazzone” ristoratrice col corno colmo di idromele?

Non saprei. Sento che la bacchetta non è un oggetto di potere, ma di responsabilità. Certamente per scegliere di impugnarla ci vuole un po’ della Walkiria e un po’ dell’Amazzone, ma per continuare a impugnarla, dopo averlo scelto, ci vuole qualcosa di più. Ci vuole un mix di capacità, abilità, conoscenze, carattere e molta energia. Direi che ci vuole un carattere poco arrendevole e molto portato ad assumere le responsabilità delle scelte che si fanno, non solo musicali.

– Il sogno di dirigere al Petruzzelli si avvera. Cosa prova come donna, piuttosto che come prima donna, a essere protagonista di una pagina di storia della musica?

Sicuramente dirigere al Petruzzelli é un traguardo importante della mia vita, più che della mia carriera. So bene quanto questo luogo sia significativo per la musica, per i pugliesi e quanto rappresenti una realtà musicale tra le più accreditate in Italia. Non sempre essere protagonisti di una pagina di storia é un fatto positivo. La pagina scritta con l’orchestra e i bravissimi solisti è stata davvero bella. Abbiamo lavorato per dare al pubblico un’emozione. E i “ragazzi” di questo magnifico organico orchestrale sono stati bravissimi.

– Ci racconta cosa attira più la sua attenzione e cosa più le interessa in una partitura?

L’insieme mi attira. La genialità della scrittura composita, delle linee che si intrecciano, dei temi che si rincorrono, dialogano, si trasformano e soprattutto il fatto che, come interprete, sei chiamato a scoprire quello che menti geniali, come Mozart (visto che al Petruzzelli dirigerò un concerto interamente dedicato a lui), hanno messo su carta. Mi interessa il lavoro di “detective” sotteso a quello del direttore, il lavoro di studio per scoprire e imparare. Non cerco nella partitura nulla che vada oltre le intenzioni del compositore, che interpreto in modo personale, ma che tento di rispettare fino in fondo.

– C’è una sezione dell’Orchestra che predilige?

Assolutamente no. Dell’orchestra non mi interessano i timbri singoli o delle singole sezioni. La prima volta che ho sentito un’orchestra dal vivo (avevo circa 8 anni e studiavo pianoforte al Conservatorio di Milano) ho pensato a quanto fosse riduttivo il suono di uno strumento rispetto alla fusione dei timbri dell’organico orchestrale. In quel momento ho deciso di fare il direttore d’orchestra.

– Direttore come strumento interpretativo di ricerca fedele o “Musa” di creativa interpretazione, da declinare in funzione dei talenti a disposizione in ciascuna orchestra diretta?

In questo sono molto all’antica e anche molto influenzata dagli insegnamenti del mio Maestro Yuri Ahronovitch. Noi tutti siamo dei mezzi: il direttore, l’orchestra, i solisti. Siamo solo i tramiti attraverso cui le idee dei compositori si possono e devono trasformare in emozioni vive; possono uscire dalle pagine e arrivare direttamente al cuore, alla pelle, alla pancia, alla testa. L’interpretazione è un lavoro di ricerca, la ricerca dell’idea del compositore. Certamente c’è un margine di scelta, c’è la responsabilità di prendere decisioni, ma l’obiettivo finale è quello di avvicinarsi il più possibile all’idea di colui che ha concepito e creato l’opera. I sentieri per avvicinarsi sono diversi, ogni interprete segue la sua strada, fa il suo percorso, ma la segnaletica é scritta dal compositore.

– Quali sono i miti, o meglio i suoi modelli, della composizione e della direzione d’orchestra?

In generale sono poco portata ad avere modelli e tanto meno miti. Sono quotidianamente affascinata e ammirata da tanti compositori e direttori, ma essere un modello per me va oltre la stima professionale, che pure sento per tanti. Un modello per me è stato Yuri Ahronovitch: un modello di direttore, di uomo, di insegnante. Ha rappresentato qualcosa per me, Gianna Fratta. Capisce, Abbado, Muti, Maazel... tutti eccezionali, ma non possono essere modelli, possono essere esempi. Invece Ahronovitch ha cambiato la mia vita e, nonostante sia morto da vari anni, non c’è giorno in cui, studiando, non pensi alle cose che mi ha detto. Cioè le cose che lui ha detto solo per me, specificamente rapportate al mio modo di dirigere. Questo, per me, è un modello.

– Umberto Giordano, Niccolò Piccinni, Nino Rota… quanta tradizione musicale pugliese si porta dentro?

Tanta. Pensi che quando studiavo direzione d’orchestra al Conservatorio di Bari il mio Maestro, Rino Marrone, mi fece dirigere proprio un’opera di Piccinni. Anche se in forma di concerto è stata la prima opera che ho diretto. Dopo c’è stato “Il Re” di Umberto Giordano, di cui é uscito l’unico dvd esistente, e poi ho un ensemble cameristico intitolato a Umberto Giordano. Ho inciso le liriche di Giordano per canto e pianoforte; ho diretto, scelta da Bruno Bartoletti, l’opera di Giordano “Marcella”. Anche di Nino Rota ho diretto e suonato abbastanza. Sono tre compositori pugliesi, ma patrimonio del mondo musicale! Certamente il mio approfondimento per Giordano é dettato dal fatto di essere foggiana, per cui vorrete perdonare il mio sfacciato campanilismo.

– Korea, Balcani, Berlino, New York, Italia, un caleidoscopio di pubblico, contesti e appassionati. Lungo il tema comune del linguaggio universale della musica, cosa ne delinea le rispettive e diverse sensibilità?

Sicuramente ci sono approcci e sensibilità differenti. Io ho viaggiato molto per lavoro e questa è stata una grande risorsa, che mi ha permesso di conoscere popoli, abitudini e realtà diverse. E’ bello, per esempio, constatare come l’Opera italiana sia così amata nel mondo, quanto e più che in Italia stessa. E’ sorprendente pensare di entrare nei teatri di tutto il mondo e poter tranquillamente relazionarsi ai cantanti in italiano, è una cosa che mi ha sempre colpito molto. E’ difficile descrivere le differenze, che sono pure tantissime, nei vari continenti. Sono invece sempre molto colpita da quanto la musica accomuni musicisti e pubblico, cioè fruitori e interpreti. Il fatto di viaggiare e fare musica, la stessa musica dovunque, leggere le stesse note e parlare la stessa lingua mi hanno insegnato che il mondo è la patria dell’uomo. Tutto il mondo e di tutti gli uomini. Da questo punto di vista, più che nazionalista, mi sento decisamente universalista.

Antonio V. Gelormini

 Redazione

 

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