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27/01/2011

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IL DIALETTO, EREDITÀ DELLA NOSTRA STORIA

Clicca per Ingrandire La mattina di martedì 1° febbraio l’Accademia del Trabucco, costituenda associazione culturale, presenterà una sua iniziativa - il “Progetto Tatëtàtë” - agli allievi dell’Istituto Tecnico per il Turismo e del Liceo Scientifico della Scuola “Lorenzo Fazzini”, sede staccata di Peschici. L’Accademia ha come obiettivo di esaltare il clima culturale nel Comune di Peschici, rafforzare l’identità del cittadino peschiciano e lo spirito di cittadinanza peschiciana.

Membri dell’associazione sono, fra gli altri, i docenti Maria Saveria Iacaruso e Angelo Piemontese (rispettivamente fiduciari ITT e Liceo Scientifico), Leonardo Di Miscia (assessore alla Cultura del Comune di Peschici), Piero Giannini (direttore editoriale di “new Punto di Stella”, Paolo Labombarda (docente universitario, scrittore).

Il “Progetto Tatëtàtë”, recentemente attivato dall’Accademia, ha l’obiettivo di ‘sistematizzare’ l’alfabeto, la grammatica e il dizionario del dialetto peschiciano. Il dialetto - è noto - costituisce un attributo distintivo dell’identità di una popolazione, identità che gli anziani possono tramandare e i giovani perpetuare e valorizzare.


L'IMPORTANZA DEL DIALETTO (adattamento da M. Eramo) = Nell’epoca della globalizzazione, in cui Internet regna sovrano, dove le comunicazioni avvengono attraverso congegni elettronici che, da una parte sono il frutto di un progresso inevitabile ma, dall’altra, ci tolgono il piacere di comunicare guardandoci negli occhi, parlare del dialetto può sembrare anacronistico. Non è così: il dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l’inevitabile segno che ci fa dire: noi apparteniamo a un certo luogo, a un certo tempo, che ci identifica e ci colloca nel posto preciso della nostra storia personale. Il dialetto rappresenta la nostra etichetta, le nostre radici, la nostra carta d’identità.

Il ‘peschiciano’ è la nostra lingua attraverso cui esprimiamo i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri stati d’animo. E’ il mezzo che ci unisce nel confronto, nel dialogo, nello scambio di idee. Il dialetto attuale, del 2000, è molto diverso dalla lingua atavica dei nostri nonni. Tante espressioni si sono addolcite nel corso del tempo, tanti modi di dire si sono persi, tanti vocaboli sono caduti in disuso, tante locuzioni appartenenti al dialetto antico sono sparite.

Del resto, le trasformazioni del dialetto sono quasi naturali: la scuola aperta a tutti, la scomparsa totale dell’analfabetismo (per fortuna) la padronanza dell’italiano, hanno portato all’abbandono di alcune forme dialettali strette, quindi oggi si parla un dialetto più vicino all’italiano che tende a tralasciare gli antichi termini. Nel dialetto peschiciano troviamo molti francesismi, termini di chiara origine spagnola (l’aver fatto parte del Regno delle Due Sicilie è significativo), ma anche parole di chiara origine slava (non dimentichiamo che l’antica ‘Pesclizo’ era una colonia slava).

Il dialetto inteso come lingua è il mezzo che identifica tutto: i soprannomi, i rioni, le località. Il dialetto dà nuova forma alle parole, riesce a rendere l’idea prima ancora di ridurla in termini precisi, a volte armonizza e a volte indurisce. Il dialetto è l’espressione di un popolo, è come un abito fatto su misura, è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi, persone e restituisce fatti, episodi, luoghi, persone con profilo e identità precisi ma soprattutto con un’anima e, nel nostro caso, con la nostra anima peschiciana.

Amare il dialetto, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l’eredità della nostra storia.


FOTO DEL TITOLO (metà superiore) e 1 SOTTO (metà inferiore): Frontespizio del dizionario latino-italiano-croato dal titolo “Tesoro della lingua slava o Dizionario in cui si traducono le parole slave in latino e italiano” del gesuita Iacopo Micaglia, di chiara origine peschiciana (leggi scheda in calce), datato 1649 e pubblicato tre anni dopo. L’autore iniziò a lavorarvi il 1636 a Roma. Trasferito in altre sedi, ne iniziò la stampa a Loreto per terminarla il 1651 ad Ancona col tipografo Feltrano. Contemporaneamente decise di dare alle stampe anche una “Grammatica” (foto 2-3, metà superiore e inferiore) che facesse da supporto al dizionario e rendere così più agevole l’opera di cristianizzazione delle popolazioni ‘barbare’ che i Gesuiti stavano attuando in Croazia.

Oltre che nelle Biblioteche Nazionali di Roma e Firenze, un'altra copia del dizionario si trova in quella Civica di Trieste. Il letterato De Rubertis riferisce di aver rintracciato alcune opere scritte in serbocroato e fra queste anche il lavoro di Iacopo Micaglia.


LA SCHEDA (da una ricerca di Alice Marino e Diletta Rapacciuolo, I D e III D del Liceo di Peschici, effettuata nell’anno scolastico 2005-2006) = Iacopo Micaglia nacque il 30 marzo 1600 a Peschici e morì nel settembre del 1654. Forse era lo zio del famoso letterato Pietro Giannone (1676-1748) nativo di Ischitella e autore della “Istoria civile del regno di Napoli” che gli arrecò notevoli fastidi. Infatti, nella sua autobiografia, “Vita scritta da se medesimo”, il Giannone afferma: “Io nacqui da onesti parenti a sette di maggio dell'anno 1676, in una terra del monte Gargano, nella Puglia de’ Dauni chiamata Ischitella, prossima a’ lidi del mare Adriatico, dirimpetto all'isole Diomedee, ora dette di Tremiti. Allevato nell'infanzia dalla non men pia che savia mia madre, Lucrezia Micaglia…”

I Micaglia, una delle due o tre famiglie di Peschici che tanto hanno contato nella storia peschiciana, erano imparentati coi Libetta cui sarebbe appartenuto, sposando la nipote di Giannone, Carmela, Giuseppe Libetta, comandante della prima nave a vapore che attraverserà il Mediterraneo.

 Redazione

 

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