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27/01/2011

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IL NUCLEARE CHIAMA BANCO. CUI PRODEST?

Clicca per Ingrandire OGGETTO DEL CONTENDERE = Il 12 gennaio la Corte Costituzionale ha giudicato ammissibile adire il popolo italiano a pronunciarsi sulla “abrogazione parziale” delle norme che possono consentire la costruzione di nuove centrali per la produzione di energia nucleare nel nostro Paese. Ci si dovrà dunque pronunciare sulla parziale abrogazione di ben 88 incisi legislativi che colpiscono, a “macchia di leopardo” ma sostanzialmente, larga parte dell’impianto normativo, con abrogazioni che inferiscono la normativa di principio, sì come quella attuativa: dal piano strategico energetico nazionale alla facoltà di considerare idonee in Italia le approvazioni tecniche di impianti nucleari rilasciate ad autorità di sicurezza nucleare dei paesi aderenti all’Agenzia Nucleare dell’Ocse, dalla possibilità di individuare i siti per le localizzazioni delle centrali a quella di prevedere misure di sostegno alle popolazioni locali, alle norme sulla competenza giurisdizionale.

LA SCELTA = In estrema sintesi, se è quasi impossibile per un cittadino (anche con elevato bagaglio di conoscenza) comprendere nel dettaglio il quesito di circa nove pagine su cui sarà chiamato a pronunciarsi - a meno di un approfondito e defatigante studio tecnico-giuridico di tutto l’apparato normativo - sarà però facilmente intuibile che:
• un “sì” eliminerà in radice ogni facoltà di introdurre centrali di produzione nucleare nel nostro Paese;
• un “no” o un mancato raggiungimento del “quorum” spunterà un’arma di coloro che desiderano identificarsi a livello nazionale come opposizione “ideologica” al nucleare, ma non si tradurrà necessariamente in un via libera (vi saranno certamente opposizioni a livello locale, una volta resi pubblici i siti su cui dovrebbero sorgere le centrali). Un rinvio del referendum, a esempio in caso di elezioni anticipate, muterà una scelta draconiana in una spada di Damocle, alla quale comunque non si può sfuggire.

IL NODO GORDIANO DEL NUCLEARE = E veniamo alle ragioni del contendere. È indubitabile che non pochi Paesi a capitalismo evoluto stanno puntando anche sul nucleare per raggiungere obiettivi di interesse pubblico, quali la riduzione delle emissioni di CO2, la minore dipendenza energetica nazionale da fonti carbon fossili (e dai Paesi fornitori) e la continuità dell’approvvigionamento di energia. A tal fine, essi hanno dovuto disegnare legislazioni tese a favorire l’investimento privato nello sviluppo dell’energia nucleare in mercati che, pur con loro caratteristiche intrinseche, sono nondimeno tutti ispirati ai principi della concorrenza. Possiedono cioè una generazione diversificata; registrano la presenza di operatori privati attivi anche solo in alcuni livelli della filiera; con un mercato di vendita dell’energia a prezzi che sono frutto, o “riproducono”, la dinamica decentrata dei modelli concorrenziali di breve periodo.
Ossia, per usare una brutta parola, in mercati che non rendono l’investimento in tecnologie ad altissimi costi fissi e ritorni incerti e di lungo periodo facilmente “bancabili”, e dunque con un costo-opportunità nettamente sfavorevole all’atomo.

Stante le incertezze dei privati sulla convenienza economica del nucleare, (su tutti, Mit Boston e da ultimo, Clò) le riforme legislative, tra cui quella italiana, hanno dunque il difficile obiettivo di invertire questa incontrovertibile tendenza di limitati investimenti sull’atomo in mercati aperti al confronto competitivo e senza un aiuto dello Stato. Anche in Paesi, a esempio Stati Uniti e Gran Bretagna, dove il nucleare continua a fornire una quota consistente del fabbisogno energetico nazionale con le vecchie centrali, si è infatti registrato un sistematico prolungamento del ciclo di vita dei reattori esistenti - essenziali per la bilancia energetica nazionale, - ma non la costruzione di nuovi.

A questo fine, è quanto mai essenziale - e forse non sufficiente - fornire un quadro regolatorio certo su tempi, modi ed esiti di un investimento nel settore nucleare. Il modello regolamentare - e il correlato e necessario consenso pubblico sull’opzione nucleare - appare cioè l'elemento decisivo delle variabili di costo di produzione di questo tipo di energia. La certezza normativa e la stabilità del consenso sociale sono il prerequisito indefettibile per poter delineare con sufficiente previsione una analisi costi-benefici da parte dei privati, ovverosia le basi della convenienza economica dell’investimento necessario alla costruzione di una centrale nucleare (parliamo di un investimento che ha una durata media di 12 anni per la costruzione e una di esercizio estendibile a 60 anni).

Ora è chiaro che il nucleare non è materia per un Paese che cambia idea a ogni legislatura, a regolazione debole e con una opinione pubblica non matura e male informata. L’atomo aggiunge infatti alle difficoltà sopracitate la peculiarità di suscitare nell'opinione pubblica di alcuni Stati, e anche in alcuni suoi settori più specializzati, opinioni pregiudiziali e risposte "a razionalità limitata". Non esiste infatti una produzione energetica così dibattuta, a tutti i livelli di rappresentanza politica, economica e scientifica, e tra i cittadini di qualunque estrazione sociale, e allo stesso tempo così poco conosciuta come il nucleare. L’irrazionalità, che talvolta accompagna e circonda il nucleare, è una caratteristica così rilevante da costituire stabilmente un fattore di costo in ogni funzione di costi-benefici di un operatore nucleare. Essa è probabilmente un effetto "collaterale" del ricordo della tragedia collettiva di Chernobyl e di quella sfiorata di Three Mile Island, e in generale del fatto che tali esperienze hanno mostrato che se il rischio associabile al verificarsi di un incidente di rilievo in una centrale nucleare è veramente molto remoto, allorquando siano rispettate le normative internazionali attuali in materia di sicurezza, i costi a esso conseguenti potrebbero essere elevatissimi in termini di vita e salute di esseri umani e ambiente.

Nei paesi democratici occidentali si è affrontato questo intricatissimo problema, un vero e proprio nodo gordiano, ritenendo che una diffusa partecipazione e informazione della cittadinanza sull’opzione nucleare - prima della scelta governativa - fosse la base di legittimazione più solida di qualunque politica pubblica che abbia potenzialmente un severo impatto sul territorio. A esempio, negli Stati Uniti, l'intero procedimento di approvazione della cosiddetta “combined construction and operating licence process” (processo di costruzione combinata e operativi di licenza; ndr) prevede meccanismi partecipativi e tutte le fonti, i dati e le decisioni intraprese dall'amministrazione sono pubblicamente reperibili sui siti delle agenzie pubbliche, dove si può anche monitorare la fase endo-procedimentale di approvazione delle singole richieste di licenza.

Similmente nel Regno Unito, l'intero processo di riforma è stato fin dal principio, cioè dalla pubblicazione del Rapporto Stern, disponibile e aperto agli interventi del pubblico e tutti i più importanti passi del processo di sviluppo nucleare sono pienamente monitorabili on-line. Questo tipo di approccio aperto e non ideologico ha separato interessi opportunistici di natura elettorale di breve periodo con il merito della questione nucleare, e ne è emersa una scelta nucleare matura, cosciente delle sue criticità ma generalmente condivisa. Su questa base rimane sostanzialmente, per questi Paesi, da affrontare soltanto l’effetto Nimby (Not In My BackYard: "lavorate pure ma lontani dal cortile di casa mia"; ndr) una volta scelti i siti, problema che, per inciso, essi dovrebbero subire in modo minore rispetto all’Italia, visto che le centrali sono da decenni esistenti e operative, e i nuovi reattori insisteranno probabilmente sui medesimi luoghi.

Da noi, invece, l’opzione nucleare - già scartata da una onda emozionale il 1987 - è stata scelta dal legislatore senza un vero dibattito pubblico sul piano energetico nazionale, senza alcuna trasparenza sui motivi per i quali si ritiene il nucleare un bene per il Paese e senza una analisi pubblica di costi e rischi del nucleare, e ciononostante del perché si ritengono i vantaggi superiori agli svantaggi. La legge italiana prevede, sì, “aiuti alle popolazioni interessate” e “campagne” di informazione, ma dopo la scelta legislativa. Questo modo di procedere ha forse agevolato la polarizzazione del confronto politico, con alcuni partiti di opposizione che hanno promosso la consultazione referendaria da protagonisti, volendo perciò “tagliare il nodo” alla radice, senza che vi sia stato ancora, a memoria di attento lettore, alcun serio dibattito sul merito della scelta nucleare a distanza di due anni dal primo atto legislativo in merito.

CHI VINCE E CHI PERDE = Il referendum generale su una opzione strategica per la bilancia energetica di un Paese su un orizzonte temporale centenario è certamente una originalità, di cui nel nostro Paese va in scena il bis. Dal punto di vista giuridico, per come è congegnato, è una scure sull’intero impianto legislativo su questo metodo di produzione di energia. Dal punto di vista politico generale, si possono individuare alcuni elementi che fanno presumere che esistano già dei probabili vincitori e vinti. Fra i vincitori possono annoverarsi sicuramente coloro che possono utilizzare la questione nucleare come dividendo elettorale: sia i fautori della legge, sia i promotori della sua abrogazione. Comunque vada, infatti, incasseranno i rispettivi “dividendi”, in termini di consolidamento del consenso delle rispettive “parti”, accusando e addossando all’altra parte la responsabilità dell’esito della chiamata referendaria, qualunque sia, con le rispettive promesse di mantenere fede agli impegni presi.

Chi rischia di perdere è invece il Paese, se non sfrutterà in extremis l’occasione per un dibattito serio e non ideologico sull’argomento, e le sue imprese. Se non fosse ingenua la speranza che il referendum possa aiutare la maturazione collettiva sulla questione energetica, dettare comunque la parola fine su disfide “radicali” sull’argomento e possa in qualche modo mitigare l’effetto Nimby, esso potrebbe essere un modo, invero del tutto endogeno e un poco paradossale, per dare un minimo di certezza ed effetti positivi, ma raramente il “recidere i nodi” in modo così rozzo è stato foriero di processi virtuosi.

Simone Gambuto*


* dottore di ricerca in Law & Economics


 agienergia.it/

 

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