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22/09/2010

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STALKING, MALASANITÀ, RESPONSABILITÀ ASL, INFORTUNI SUL LAVORO

Clicca per Ingrandire STALKING = Con la sentenza n. 34015 del 21 settembre 2010, la Cassazione penale interviene in merito al reato di stalking e interpretando estensivamente la norma di cui all’art. 612 bis del codice penale non fa altro che aumentare le tutele nei confronti delle vittime. E’ il nostro commento all’importante decisione della Suprema Corte (foto del titolo, la sede; ndr) che ha annullato la sentenza con cui il Tribunale del riesame di Napoli revocava l’obbligo di presentarsi alla polizia disposto dal Gip nei confronti di un uomo accusato di molestie nei confronti della ex. Nel caso di specie la vittima non solo aveva subìto le consuete molestie tipiche di tale reato come moltissime telefonate, ma era anche stata aggredita verbalmente di fronte a vari testimoni. Inoltre, l’ex fidanzato-indagato si era spinto fino a diffamarla presso il suo datore di lavoro allo scopo di farla licenziare.

Gli “ermellini” hanno quindi accolto il ricorso della procura e ripristinato la misura cautelare, affermando che “il reato ex art. 612 bis cp è previsto quando il comportamento minaccioso o molesto di taluno, posto in essere con condotte reiterate, sia tale da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero, in alternativa, da ingenerare nella vittima un fondato timore per la propria incolumità ovvero tale da costringere la vittima stessa ad alterare le proprie abitudini di vita”.

MALASANITÀ = La situazione d’incertezza che ha causato uno stato d’ansia nel paziente che abbia effettuato analisi cliniche, cagionato dalla mancata diagnosi sul campione prelevato, può essere fonte di responsabilità da parte dell’Asl e consentire il risarcimento del danno da stabilirsi in via d’equità. E’ questo sostanzialmente il principio stabilito nell’importante sentenza della Corte d’Appello di Firenze (numero 1221 del 06/08/2010) nella causa civile iscritta al n. 371/2004 del ruolo generale degli affari contenziosi civili. Nel caso di specie, infatti, il giudice del gravame ha ribaltato la sentenza di primo grado che aveva visto rigettata la domanda di risarcimento danni da parte di una paziente che si era sottoposta ad accertamenti clinici da parte dell’Asl, in particolare l’esame istologico di una cisti ovarica. La corte di secondo grado ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, liquidando in via d’equità la somma d’importo di 10mila euro avendo l’attrice provato lo stato d’ansia conseguente alla mancata comunicazione del risultato a seguito delle analisi a cui si era sottoposta, stante la lesione di quel valore costituzionalmente protetto che è il diritto alla salute.

Secondo i togati, “per quanto concerne invece la mancata diagnosi per mancato funzionamento dell’apparecchiatura, si deve ricordare che l’obbligazione gravante sull’Azienda, di fornire il risultato dell’analisi, è di natura contrattuale. L’onere di provare che il macchinario si era guastato per fatto che esulava da responsabilità dell’Azienda (ad esempio, per caso fortuito) e che a causa di detto guasto si era determinata un’alterazione del reperto prelevato alla paziente, spettava all’attuale appellata. In difetto di prova, l’Azienda non può andare esente dalle conseguenze del mancato adempimento dell’obbligazione … Nel caso concreto, l’ansia di cui si è avuta testimonianza ha impedito che l’interessata potesse estrinsecare con normalità gli aspetti propri della persona e della vita di relazione, oltrepassando dunque il confine di una mera manifestazione caratteriale per assumere l’entità di una lesione di quel valore costituzionalmente protetto che è il diritto alla salute e che rende risarcibile (seguendo l’insegnamento di quella decisione di legittimità, Cass. Civ. sez. III, 31 maggio 2003, n. 8828, citata proprio dall’appellata) il danno, liquidato secondo equità”.

Tale sentenza non può che servire da sprone nei confronti delle organizzazioni che gestiscono la sanità, sia pubbliche sia private, affinché agiscano nel rispetto costante dei propri obblighi contrattuali e del permanente mantenimento quale “faro guida” del proprio agire del diritto alla salute di tutti i cittadini. Nel contempo il nostro “Sportello dei Diritti” rimane a disposizione per segnalare casi simili e fornire eventualmente assistenza gratuita per i cittadini che si sentono vittime della cosiddetta “malasanità”.

RESPONSABILITÀ ASL = I danni conseguenti alla caduta all’interno di un ospedale pubblico devono essere risarciti dall’Azienda Unità sanitaria locale di competenza in quanto sulla stessa gravano gli obblighi del custode. Si segnala quindi con soddisfazione il principio espresso dalla sentenza n. 1691/10 del Tribunale di Lecce, giudice dott. Giannaccari, che ha condannato l’Azienda Unità Sanitaria Locale nella qualità di custode dell’Ospedale “Vito Fazzi”, estendendo la responsabilità da cose in custodia anche nel caso in cui l’ospedale abbia una notevole estensione.

Secondo il togato, infatti, l’ampiezza del nosocomio non costituisce prova del caso fortuito, trattandosi non di bene demaniale avente uso generale e diretto (fattispecie nella quale è applicabile la previsione dell’art. 2043 cod.civ.), ma di bene aperto al pubblico e soggetto, per sua natura, a costante controllo e vigilanza. In particolare, nella circostanza, la danneggiata era scivolata sul pavimento reso viscido da una sostanza oleosa, procurandosi lesioni.

Il Tribunale civile di Lecce in funzione di Giudice unico escludeva la responsabilità della ditta appaltatrice delle pulizie, chiamata in causa dalla Ausl, rilevando che la stessa esaurisce il suo obbligo contrattuale con l’azienda una volta effettuata la pulizia dei locali e non ha pertanto obbligo di custodia e vigilanza. Non essendo stata provato dalla convenuta che il sinistro avvenne per circostanze imprevedibili o eccezionali o per il fatto del terzo o per responsabilità della stessa attrice, al Tribunale non restava che condannare la Asl al risarcimento dei danni.

INFORTUNI SUL LAVORO = Buone notizie per le famiglie dei lavoratori vittime di infortuni. Nel caso di gravi incidenti sul lavoro, il risarcimento spetta non solo al lavoratore ma anche all'intera famiglia. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione decretando che danni di questo genere determinano uno "sconvolgimento delle abitudini di vita" che incide anche in ambito familiare. Una decisione importante, tale sentenza della Terza sezione civile (sentenza n.19517/2010), che restituisce dignità alle famiglie confermando una condanna a un risarcimento danni di complessivi 120mila euro (per danni non patrimoniali) in favore della moglie e di due figlie di un dipendente Telecom infortunato che aveva riportato una invalidità dell'80 percento. Invalidità, oltretutto, che aveva compromesso anche la sfera sessuale.

E' stata così confermata la condanna al risarcimento dei danni non patrimoniali che i giudici di merito avevano accodato alla moglie (60mila euro) e alle due figlie (30mila euro ciascuna). Tra le altre cose la Cassazione (che non ha riconosciuto ulteriori danni morali) ha sottolineato che "il danno alla sfera sessuale conseguita all'infortunio è stata fonte di sconvolgimento delle abitudini di vita in relazione all'esigenza di provvedere ai maturati gravi bisogni del familiare". L'invalidità ha inoltre determinato una "corrispondente diminuzione del contributo di relazione e sostegno che a sua volta il familiare può offrire agli altri".


 Redazione

 

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