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08/09/2010

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STALKING, FACEBOOK E CARCERE

Clicca per Ingrandire STALKING = Facebook, probabilmente il più noto social network del momento, sotto la lente della magistratura penale. Infatti, la Corte di Cassazione ha ritenuto punibile per stalking la persecuzione attuata anche con video e messaggi inviati sui social network (sentenza n. 32404 del 30 agosto 2010). La sesta sezione penale della Suprema Corte con la statuizione in esame ha confermato la custodia cautelare pronunciata dal Tribunale di Sorveglianza di Potenza nei confronti di un uomo indagato per aver inviato una serie di filmati a luci rosse e fotografie alla ex, e quindi per il reato di "atti persecutori" di cui all’art. 612-bis C.P. (introdotto col D.L. 23 febbraio 2009, n. 11 meglio noto col termine anglosassone “stalking”).

Secondo la sentenza l’uomo dopo aver avuto una relazione sentimentale con la donna aveva iniziato a inviarle foto e video che li ritraevano durante i rapporti sessuali. Uno di questi era stato inviato anche al nuovo compagno di lei. A seguito dell’indagine era finito in carcere e in seguito il Tribunale della Libertà lo aveva sottoposto agli arresti domiciliari. La Cassazione a cui aveva proposto ricorso contro tale decisione dichiarava lo stesso inammissibile precisando che la persecuzione attraverso l'invio di video e messaggi tramite facebook è idonea a configurare il reato di stalking.

Un’importante decisione che indirettamente estende i profili del diritto alla privacy dei cittadini quale deterrente all’uso scorretto di taluni social network che impiegati impropriamente possono divenire armi improprie al servizio dei persecutori.


CARCERI = Con la sentenza n. 30511/2010 la I sezione della Cassazione penale interviene su un tema doloroso e quantomai attuale: il problema dei trattamenti carcerari. In particolare, la Suprema Corte facendo proprio un principio di diritto oltreché umanitario stabilisce che non sono ammessi trattamenti contrari al senso di umanità nei confronti dei detenuti persuadendo le corti di merito, e in particolare il Tribunale di sorveglianza, a non infliggere pene che superino l'umana tollerabilità, soprattutto a coloro che si trovano "in condizioni di salute non perfette". La statuizione fa presente come una sofferenza aggiuntiva sia inevitabile ogni qualvolta la pena debba essere eseguita nei confronti di soggetto in non perfette condizioni di salute.

Ma tale sofferenza può assumere rilievo se si dimostra presumibilmente "di entità tale da superare i limiti della umana tollerabilità". Sulla scia del principio enunciato, la Corte ha accolto il ricorso di un detenuto che doveva scontare una pena di 5 anni di reclusione. L'uomo si era visto negare il differimento della pena che aveva chiesto in vista di un delicato intervento chirurgico per l'asportazione di un cancro al cervello. Il Tribunale di sorveglianza aveva negato i domiciliari sostenendo che "il regime di detenzione non era incompatibile con la patologia" e "il reato in espiazione impediva l'uscita dal carcere del detenuto". La questione è approdata in Cassazione la quale ha dato ragione al detenuto che aveva rivendicato il "diritto alla salute costituzionalmente garantito" chiedendo un trattamento detentivo "più umano".

Alla luce della sentenza in commento e della tragica questione dell’affollamento delle carceri, è giunto il momento di creare in ogni regione, ove hanno sede gli istituti di detenzione, la figura istituzionale del “Garante per i diritti dei detenuti” affinché siano costantemente tutelati i diritti umani delle persone soggette a pene detentive troppo spesso calpestati in conseguenza di istituti stracolmi e inadeguati. Ciò anche al fine di tutelare le migliaia di agenti di polizia penitenziaria costretti a tour de force inimmaginabili in altri Paesi europei. In ogni caso lo “Sportello dei Diritti” continuerà a ricevere le denunce e si adopererà per la difesa dei diritti umani dei detenuti in ogni sede.

Giovanni D’Agata


 Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore”

 

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