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03/09/2010

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IL CASTELLO MEDIEVALE

Clicca per Ingrandire Stasera 3 settembre, ore 19 ad Andria, nel Genius Loci di Via Felice Cavallotti 29, talk show con Raffaele Licinio al Festival Internazionale “Castel dei Mondi”. Tema: un viaggio fra i castelli pugliesi. Un percorso nell'immaginario e nella storia tra fenomeni storici, fatti avvenuti e immagini tracciate dallo storico pugliese in “Castelli medievali”, il suo libro di maggior successo, vera pietra miliare della storia del Mezzogiorno medievale appena ripubblicato in edizione aggiornata da “Caratteri Mobili”.

Licinio è professore ordinario di Storia Medievale e direttore del Centro di Studi Normanno-Svevi all’Università di Bari. I suoi interessi di ricerca sul Mezzogiorno medievale si sono indirizzati principalmente su due filoni tematici, sino a qualche anno fa in ombra o insufficientemente dibattuti dalla storiografia medievistica: la storia agraria regionale, esaminata all’interno della storia agraria meridionale e mediterranea, e la storia delle strutture di fortificazione all’interno del “sistema castellare” del Sud Italia. Ed ecco la storia vera dei “Castelli medievali” raccontata da Raffaele Licinio al di là degli stereotipi.

Dietro ogni castello medievale - esordisce Raffaele Licinio nella prefazione a “Castelli medievali” - c’è anche l’immagine dei castelli. tante immagini di castelli, prodotte in secoli estranei al Medioevo e frutto di sintesi culturali diverse. Castelli gotici, castelli romantici, o pieni di misteri, avventure e trabocchetti. Immagini sconfinate oggi, nell’immaginario collettivo, in una dimensione fuorviante del fantastico, dello stereotipo o peggio dell’esoterismo. Il trionfo mediatico di una serie di film e di trasmissioni televisive (“Voyager” e “Misteri”), con i loro paradossali castelli simil-piramidali, contenitori di improbabili Graal e di stupefacenti messaggi provenienti dai Templari o dallo spazio, rende indispensabile il recupero, nella cultura diffusa, della dimensione storica autentica dei castelli.

Ecco il senso della riedizione di questo libro di Licinio: far capire come il castello meridionale, fulcro di un vero e proprio “sistema castellare”, sia divenuto metafora del potere, cifra di un “sistema di governo” efficace e duraturo. Nel Mezzogiorno bassomedievale, la realizzazione del sistema castellare è attribuita a Federico II, ma secondo Licinio questa tesi, se non errata, è parziale: furono i Normanni, e soprattutto Ruggero II, fondatore del loro regno, a dare centralità a un fenomeno già in atto, valorizzandolo e ponendolo al servizio della monarchia. L’accordo di Melfi della fine del 1042 ne segna l’avvio: 12 signori normanni si assegnano città pugliesi e lucane, conquistate o da conquistare, in ogni caso da riattrezzare militarmente. In Puglia furono ristrutturati 7 castelli e 29 furono edificati ex novo.

Verso la metà del 12.mo secolo, un musulmano di nome Edrisi, geografo alla corte di Ruggero II, sottolineò l’interdipendenza tra sicurezza e sviluppo economico. Gli effetti che il processo di incastellamento di età normanna produsse nel territorio non furono quindi soltanto di ordine militare. La difesa fu solo uno degli elementi che motivò l’incastellamento, un “sistema” complesso di relazioni sociali, istituzionali, politiche e urbanistiche. Attrezzare militarmente un territorio significava aumentarne le potenzialità agrarie e insediative. Questa logica ispirò anche l’incastellamento svevo. Vincolato ma anche esaltato da un apparato burocratico capillare ed efficiente, il “sistema castellare” federiciano fu elemento fondante di un programma più complesso, decisivo per il governo del territorio. Non una rottura, ma un salto di qualità, rispetto al passato.

Come Ruggero II, anche Federico capì che, nel regno, la possibilità di governare e custodire la pace passava per il rigido controllo di ogni forza centrifuga, in primo luogo di quella baronale. Castel del Monte fu magnifico esempio di “pietrificazione dell’ideologia del potere”, “manifesto della regalità” e identificazione immediata del potere svevo. Il numero dei castelli federiciani fu rilevato, per gli anni 1241-46, dallo “Statutum de reparatione castrorum”, un’inchiesta sulle località tenute ad assicurare il restauro e l’ordinaria manutenzione dei castelli regi. Lo Statuto non riporta i castelli feudali, le fortificazioni e le cinte murarie delle città e delle comunità ecclesiastiche, le torri urbane e rurali. Sui circa 250 edifici censiti 111 riguardano Puglia e Basilicata, suddivisi in 69 castra e 42 domus. In pratica quasi la metà delle strutture castellari del regno.

E’ stato calcolato che dal 1220 fino alla morte di Manfredi (1266), siano stati ampliati o mantenuti in efficienza 34 castelli preesistenti e altrettanti siano stati edificati ex novo. Cifre da ridimensionare, soprattutto quelle relative ai castelli di nuova costruzione. In realtà Federico II ne fece innalzare ex novo solo a Foggia, Lucera, Trani, Castel del Monte, Gravina, forse Apricena e Brindisi. Provvedere alle necessità di tutte le fortezze demaniali del regno comportava onerosi impegni finanziari anche per Federico II . Ecco allora gli appunti mossi al sovrano, tra il 1223 e il 1225, durante la costruzione del palazzo imperiale di Foggia, dall’anziano e saggio giustiziere di Capitanata Tommaso di Gaeta, per l’elevato numero di fortezze, mura, torri, opere di difesa, costruite su monti e colline senza badare a spese, col risultato di appesantire i carichi fiscali sulle popolazioni.

“Non è indispensabile - scrive Tommaso a Federico - costruire fortezze così in alto, fortificare i ripidi colli, sbarrare con mura i pendii dei monti e circondarle di torri: anche senza una così elevata quantità di fortezze si può ben governare. Esiste una sola fortezza veramente inespugnabile ed è l’amore dei sudditi, pronti a precipitarsi a migliaia contro le lance avversarie”.

Nella Puglia angioina furono costruiti ex novo 19 castelli (tra cui Peschici), 63 vennero ristrutturati o riparati, 6 disattivati. Carlo I d’Angiò e in parte suo figlio Carlo II, conservarono l’impianto normativo del sistema castellare normanno-svevo. Ne adeguarono le strutture e ne ampliarono le funzioni secondo le necessità del momento. Un limite angioino fu lo smembramento di parte del demanio, in passato gelosamente difeso dagli Svevi, a favore dei baroni di origine francese che li avevano sostenuti nella conquista del Sud Italia. Alla fine del 13.mo secolo il motto “Nessuna città senza castello regio!” appare rovesciato. Il decastellamento, lo smembramento di ciò che un tempo fu dimostrazione di potere del sovrano, diventa esigenza vitale di sempre più agguerrite forze periferiche (dal popolo cittadino al barone).

Una fonte abruzzese, la “Cronaca aquilana rimata” di Buccio di Ranallo, ci mostra come alla fine del 1293, guidati da un capopopolo, Niccolò dall’Isola, gli Aquilani si ribellano a Carlo II, ne sconfiggono e ne espellono le truppe, ne abbattono i castelli. È il popolo cittadino che scende in campo contro il potere centrale: una forza organizzata, coesa, consapevole di sé, che si riunisce in un “parlamento”, verifica i propri interessi in “un granne radunamento”, individua obiettivi comuni, trovando il coraggio (le “coragera”), per lanciare un assalto coordinato e in massa ai simboli primi e più evidenti del potere regio: le strutture castellari, quelle “rocche de intorno” che rappresentano un “grande impedimento”, che è necessario “derrupare”, abbattere definitivamente, se si vuole conquistare e conservare l’autonomia.

Il tempo scandirà nuove egemonie…

Teresa Rauzino



  “L’Attacco” (2-9-2010)

 

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