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25/08/2010

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“DON MIMÌ” BACCHETTA I LECCESI

Clicca per Ingrandire Il messaggio dell’arcivescovo metropolita di Lecce, mons. Domenico Umberto D'Ambrosio, alla comunità dei fedeli della Diocesi, lanciato nel discorso pronunciato ieri, 24 agosto, è stato chiaro: “La processione per i Santi Patroni non è uno spettacolo né una sfilata per pochi intimi ... meno che mai può trasformarsi in una chiacchierata, infarcita e colorita dalle tante nuove che si possono raccontare fra amici, non è uno spettacolo cui si assiste magari dai bordi delle strade per individuare i presenti e interrogarsi sulle ragioni degli assenti”. Una bacchettata alla “don Mimì”, insomma, uomo di tempra e profonda confessione, peschiciano del Salento ormai, che ce ne ricorda altre simili e neanche tanto remote.

Nella tradizionale omelìa (il verbo greco ‘homilein’ = conversare, intrattenere) indirizzata al popolo in occasione della quattro giorni di festeggiamenti dei Santi Patroni della città leccese - Oronzo, Giusto e Fortunato, - è serpeggiato, senza possibilità di essere equivocato, il suo pensiero: “Dal prossimo anno, amici miei, si cambia!” Il guanto di sfida, mettiamola così, con leggerezza, è stato lanciato. Se i fedeli ne comprenderanno la portata, si adegueranno, altrimenti… Peschici docet.

Questo il volto catechistico (“istruisco oralmente”) del discorso alle genti, ma non possiamo non soffermarci sulla parte sociospirituale che come sempre è stata incisiva e pregnante. Vediamone alcuni passaggi. “In modo pubblico e palese, con amore grande a questa mia città e al suo territorio - ormai sono e mi sento fortemente legato a questa mia terra - non posso non mettervi a parte, come Pastore di questa Chiesa, di alcune mie riflessioni che a voce alta e chiara risuonano in questa Piazza. C’è un luogo che è alla periferia di questa nostra città ma non può rimanere alla periferia del nostro cuore e delle nostre attenzioni”.

Il luogo cui si riferisce monsignore è la ‘casa circondariale’ di Borgo S. Nicola, “un luogo da me frequentato e spesso visitato anche per tener fede a una promessa che ho fatto agli ospiti nella mattinata del giorno d’inizio del mio servizio episcopale in questa Chiesa il 4 luglio dello scorso anno. Domani trascorrerò alcune ore della mattinata con questi infelici fratelli e sorelle, portando loro la mia parola e il mio ‘fresco’ augurio a nome dell’intera comunità. Tutti sappiamo - continua - in quale stato di umano disagio (è un eufemismo) gli ospiti sono costretti a vivere. Mancano loro gli spazi vitali. Lo sappiamo: a fronte di una capienza di 659 unità, in realtà al sabato 21 agosto ne sono accolti 1476”.

Dopo un lungo e puntiglioso esame della disagiata condizione dei reclusi, punta fermamente il riflettore sulla comunità in generale, su “questa nostra Lecce che necessita ancor più di essere amata, protetta, valorizzata con una cura attenta a eliminare qualche ruga che incomincia a solcare il suo volto. E le rughe sono le urgenze e i bisogni costretti a stazionare per troppo tempo; sono le grandi opere belle o meno belle, funzionali secondo alcuni, non opportune secondo altri, ma che appartengono alla comunità che vi ha messo molto del suo e che continuano a stazionare sui blocchi di partenza. Ma inspiegabilmente tarda ad arrivare lo starter per farle partire, e… mesi, e… anni passano”.

I benevoli, ma pur sempre critici strali si abbattono a questo punto su una Lecce “che accoglie moltitudini di visitatori ma non sempre riesce a dare il meglio che le appartiene. Non manca purtroppo un po’ di disordine e trasandatezza, Abituato a percorrere le strade e le piazze della città in solitario, nelle prime ore del mattino, devo scoprire la mancanza di senso civico, di attenzione al patrimonio artistico, di rispetto di luoghi significativi e sacri scambiati e offesi dall’utilizzo che se ne fa e che rasenta l’indecenza. Avrei tanti episodi da raccontare che, mio malgrado, sono costretto a vedere dal mio posto di osservazione. Anche i bei sentimenti che chiedono riservatezza e non possono essere pubblicizzati, trovano nei portali e negli ingressi delle Chiese, a tutte le ore, il luogo delle effusioni di ogni tipo”.

Quindi la promessa e l’impegno: “La nostra Chiesa nel Convegno diocesano del mese di settembre, raccoglierà le istanze e le urgenze della sfida educativa, problema da affrontare mettendo in essere in un confronto dialogico tutte le realtà coinvolte in questo spartiacque importante, perché emerga una comunità seria, matura, attenta e partecipe in prima persona alla realizzazione di una storia a misura d’uomo. In questo compito non possono essere assenti meno che mai latitanti le comunità parrocchiali, i gruppi ecclesiali, le istituzioni deputate al governo e al servizio della comunità. Non posso non ribadire alcune affermazioni del mio Messaggio per l’ora presente di qualche mese fa: non è possibile la politica dello struzzo”.

Poi uno sguardo lungo, come sempre attento e puntuale, sulla società e le discrasie fra potere legale e potere reale: “Proviamo a bloccare la crescente disaffezione tra le istituzioni pubbliche e la gente, tra le strutture di governo e la società viva. Alcuni problemi urgenti (disoccupazione, giovani, precariato, famiglie giovani, casa…) non vengono affrontati con prontezza e decisione. I tempi lunghi delle consultazioni, dei vari riassetti, creano un vuoto di fiducia nel dialogo istituzioni-cittadini ... Di certo è importante il dialogo, il confronto, lo studio dei problemi ma non si può esporre la comunità, a causa dei tempi lunghi delle consultazioni in vista di una ritrovata e più efficace unità per la realizzazione del programma, a mordere il freno dell’impazienza peggio ancora se l’impazienza si trasforma in indifferenza, assenza, sfiducia, apatia”.

Infine, la chiosa improntata a ottimismo: “Il compito dei cristiani è intravedere le luci dell’alba anche quando l’oscurità della notte è fitta. Un nostro grande conterraneo, politico credente, affermava di fronte alle rovine e allo sfascio della Seconda Guerra Mondiale: ‘Niente è finito… malgrado l’oscurità sconcertante di questa che pur sappiamo essere un’aurora’. Questo politico credente si chiamava Aldo Moro”.

Piero Giannini

(Si ringraziano i siti web Messapi.info e ilPaeseNuovo.it)

 Redazione

 

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