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29/07/2010

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SI ALZA IL VENTO… BISOGNA TENTARE DI VIVERE

Clicca per Ingrandire «Le vent se lève, il faut tempter de vivre (Paul Valéry)»

Conobbi Romano Conversano il 24 febbraio del 1964 in occasione di una mostra di suoi quadri allestita al Palazzetto Rosa di Foggia. A una sedicenne affamata di cultura, ma nata e vissuta fino ad allora nell’ambiente di una città di provincia del sud, il contatto con un artista di vaste esperienze umane, intellettuali, internazionali, produsse un vivo entusiasmo e una grande impressione. Del resto Conversano esercitava il suo fascino su tutti, poiché concedeva a ognuno il risalto che la sua personalità comportava, penetrando quasi con una bacchetta da rabdomante nell’animo di chi entrava in relazione con lui.

Appariva come un mago, con i suoi espressivi occhi chiari, con la sua figura imponente e il gestire di incomparabile levità, da aristocratico, che lo fece denominare “il conte verde”. Ma era socialista e, con grande generosità aveva sposato in prime nozze Bruna, la vedova di un partigiano, madre di una bimba, Margherita.

Diceva che io ero un “mostro” per la mia precocità intellettuale e mi donò le poesie di Dylan Thomas, che aprirono nuovi squarci nella mia sensibilità poetica. Da allora la presenza di Conversano sul mio orizzonte affettivo mi ha accompagnato nella vita fino ad ora, col suo felice orientamento verso lo zenith, col suo istintivo ottimismo. Aveva una capacità di non attardarsi sulle cose negative della vita, che era dono divino e non prescindeva dalla consapevolezza del brutto dell’esistenza. Affermava che dopo i tunnel c’è sempre la luce. Era una bellissima persona, che parlava per immagini, un poeta, oltre che un pittore.

Ricordo la sua grafia, che era un’opera d’arte. Ci accomunava la passione per la letteratura (quando lo conobbi mi disse: “Ti invidio per tutte le belle pagine che devi ancora leggere…”), per Valéry, per Rimbaud, per Montale (ricordava che quando uscì Ossi di seppia fu come se la gente avesse intuito nell’aria l’arrivo di quel libro, come se aspettasse quella voce poetica).

Romano Conversano non coltivava la poesia, era la poesia. I rapporti umani facevano parte della sua arte. Per molto tempo ho associato l’odore dei colori a olio alla sua immagine. Ricordo i finestroni luminosi del suo studio milanese in Via Rossini 3, permeato appunto di quell’odore. Il settembre 1964 vide quasi l’incarnarsi della sua fecondità d’uomo nella nascita dei due gemelli Silvia e Filippo ed io e mia madre recammo un bouquet di fiori alla mamma puerpera.

Addio, Romano! Mi sforzo nel momento del commiato di essere fedele al tuo messaggio vitale (“Le vent se lève, il faut tempter de vivre”): mi sarai sempre nel cuore, a incoraggiarmi, a esercitare la tua funzione paterna. Ti amerò fino alla fine dell’amore spirituale che ci ha accompagnato per quarantasei anni. Addio!

Barbara

 Redazione

 

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  Commenti dei Lettori:

-- 03/08/2010 -- 12:06:08 -- francesca

Grazie di cuore, sia a Barbara che a Piero Giannini, per aver dedicato a Romano Conversano questi begli articoli che testimoniano l'affetto e l'ammirazione che avevamo per lui, veramente uomo indimenticabile che ci ha dato tanto, come artista vero e come persona ricca di valori! Ci lascia proprio un bel vuoto... e avremmo bisogno di persone come lui... A Peschici, negli anni settanta, passava spesso all'Albergo Treviso con la signora e i due piccoli Silvia e Filippo per salutare noi veneti capitati là da poco. Ricordo il suo modo di fare carismatico, simpaticamente burlesco e quando gli portavamo al suo castello qualche dolce in segno di simpatia, lui ricambiava con pronta generosità donandoci una litografia o un acquerello. Caro artista, resterai sempre vivo nei nostri cuori! Francesca Fabris da Montebelluna

 
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