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19/03/2010

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A IMPERITURA MEMORIA

Clicca per Ingrandire A Carpino il restaurato Palazzo Baronale, elevato a sede del Centro Culturale “Andrea Sacco”, è stato inaugurato il 17 marzo scorso, giorno del quarto anniversario della scomparsa del Grande Cantore. Enrico Noviello, di famiglia garganica, voce- chitarra battente-tamburello-putipu del gruppo i “Malicanti”, che ha imparato a cantare e suonare con lui le tarantelle e i canti della sua zona, lo ha onorato con queste sentite e partecipate parole (intervento segnalato da Teresa M. Rauzino):

«Manca una settimana al venerdì 17 marzo 2006. Michelina, sua figlia, mi telefona, mi prega di dirlo anche a Elia (Ciricillo: voce-chitarra-tamburello-chitarra battente dei Malicanti; ndr). Andrea sta male, e forse stavolta non ce la farà, dice. Scendiamo, Elia ed io, e incontriamo per l'ultima volta Zì' 'Ndreijë da vivo. Non parla ormai, e come sempre negli ultimi anni suoniamo noi per lui, cantiamo, Andrea approva con mugugni, suoni, vocalizzi che vengono da lontano. Andando via quel sabato lo baciamo come si bacia un bebè con la pelle liscia liscia.

«Era il 1971, avevo pelle liscia e 5 anni quando mio zio Girolamo tornò per un mese, a Manfredonia, a trovare la numerosa famiglia Noviello. Noi piccolini avevamo solo sentito parlare, quasi miticamente, di questo zio che viveva in Australia da prima che noi nascessimo. Eh sì, effettivamente non c'era dubbio, zio era una leggenda vivente: tornò con un regalo per ciascuno di noi decine di nipotini, e mica regali qualunque: penne a 2 colori, fossili giganti di pietra, orsetti peluche chiamati koala, e altri peluche che lui chiamava canguri ma che noi, chiaramente, sapevamo che in natura non esistevano e zio ci prendeva in giro. A me poi portò un oggetto assurdo, sicuramente magico: un boomerang.

«Con mia sorella passammo vari anni a lanciarlo, perchè zio diceva che, lanciandolo, il boomerang torna indietro. Un'altra assurdità, come i canguri. Lanciavamo, lanciavamo, indietro il boomerang non tornava mai, solo avanti. E così da Manfredonia lanciavamo a Mattinata, di colpo a Roma, quindi Civitavecchia, Vicenza, fino in Friuli. Seguivamo il lavoro di mio padre, e in Gargano tornavamo solo per i 4 mesi d’estate: una banda di cugini… sole… sale… canalicchië… il magazzino di ferri vecchi del nonno… a pesca con la canna… il pallone per strada...

«Poi un giorno il boomerang tornò indietro. Molti anni dopo, nell'ottobre 2008, quando il Folkfestival di Carpino chiese a “Malicanti” - il gruppo in cui suono - di riportare agli emigranti pugliesi d'Australia le vecchie canzoni che loro avevano lasciato in Puglia. E' stato così che zio Girolamo mi ha sentito cantare i sonetti di Carpino accompagnato dalla chitarra battente. Ricordo la sua faccia sorpresa, quasi preoccupata: “E tu... che ci fai con i carpinesi??”

«Noi ci ridiamo sopra, ma a Melbourne il calendario garganico di zio Girolamo era fermo al 1956, quando lui con papà e nonno giravano i paesi del Gargano con un carretto pieno di stoffe, da vendere a chi si faceva la dote. E a Carpino bisognava stare attenti, dicevano loro.

«Ci mettiamo seduti, gli racconto di Andrea Sacco, di che tipo era, deciso, tenace, che la mosca sotto il naso non gli era mai passata. Racconto di un uomo generoso, passionale, che faceva scherzi e battute, che sapeva di musica e di anima, temerario. Zio ascolta attento, approva la mia amicizia, e dice: “Avrei proprio voluto conoscerlo, quando eravamo giovani tutti e due, a sangue caldo... Saremmo stati buoni compagni!”

«Compagni ci chiamava Michelina quando Elia ed io arrivavamo a casa, a via Caracciolo 34, o a Foce Varano. ‘Papà, sono arrivati i compagni tuoi...’. In effetti eravamo compagni: scherzavamo e ridevamo tutto il tempo, e poi cantavamo suonavamo. Noi eravamo giovani, Andrea lo era ancora di più. A volte succede, specialmente con gli uomini che hanno compiuto nella vita quello per cui erano nati: invecchiando, tornano bambini. In particolare con Elia, appena si vedevano cominciavano il duello di battute e prese in giro reciproche, in punta di spada, perfetti adolescenti.

«Dopo una lunga pausa, legata alla morte della sua padrona Graziella, zì Andrea era tornato a suonare e cantare, cioè a fare quello che per lui era vitale. Andrea Sacco viveva di musica. Diceva spesso: “Chi suona e canta non muore mai”. Se per noi che siamo venuti dopo questa frase è una bellissima metafora, per Andrea era una frase letterale. Più Andrea suonava e cantava, e più si sentiva bene, si sentiva forte. Andrea aveva bisogno di cantare come altri hanno bisogno di fare una passeggiata all'aria aperta, o di fare da mangiare a figli e nipoti almeno la domenica.

«Suonava molto anche da solo, o mentre Michelina stirava, e le visite a casa erano molto rare, prima che con Elia diventassimo un po' di casa. Paradossale che una delle più ispirate voci del nostro Mezzogiorno abbia passato tutti i suoi ultimi anni a cantare senza ascoltatori. Ogni tanto compariva qualcuno. Ai musicisti come Eugenio Bennato, Giovanna Marini, Rosapaeda, non sfuggiva il genio musicale assoluto di Andrea, come a Sciarra (Maurizio, regista barese; ndr) non sfuggì il fatto che Andrea “bucasse” lo schermo come un attore carismatico e consumato.

«A studiosi e appassionati colpiva lo spessore antropologico di Zì' 'Ndreijë, e la sua straordinaria generosità umana. Tra questi Nicola Sansone, Michele Mangano, Giuseppe Gala e soprattutto Salvatore Villani con cui Andrea era molto amico. Quanto a me, dormivo nello stesso letto di Zì' 'Ndreijë, mangiavo lo stesso identico piatto che Michelina con gentilezza e pazienza infinita preparava per noi, e lasciavo quello che lui lasciava, nella speranza che questi accorgimenti improbabili mi aiutassero a imparare a cantare come lui. Naturalmente non ci sono riuscito.

«Anzi, nella mia ansia di imitare, ho preso tremende cantonate. Per esempio, imitavo la mano destra di Andrea sulla battente ignorando per anni che una leggera rigidità della mano del maestro era dovuta a un precedente piccolo ictus. So che non ci crederete, ma ancora oggi suono con la mano come se avessi avuto anche io un ictus...!

«A Carpino, dopo la scomparsa di Rocco Draicchio (percussionista, ideatore del Carpino Folk Festival, morto in una notte di febbraio del 1997 in un incidente stradale; ndr) è stato più difficile per i paesani, musicisti o meno, appassionarsi in maniera sistematica al genio creativo e sempre innovativo di Sacco. Forse è la legge umana del dare per scontato ciò che ti appartiene e che hai a portata di mano, e così solo pochi tra i carpinesi, tra cui certamente Luciano Castelluccia e Matteo Silvestri, hanno ascoltato le sempre diverse risposte che il canto di Zì' 'Ndreijë dava alle medesime domande poste dalla battente del 1924: ‘vistësanë’, ‘mundanarë’, ‘rurjanellë’, ‘carpënese’...

«Per la verità, i primi anni che venivo, diverse tra le persone più acculturate di Carpino trovavano bizzarro il mio interesse per Andrea, e parecchie volte ho dovuto ingoiare l’amaro di chi, con arroganza e stupidità, concludeva il discorso con una battuta su Andrea e più in generale sui cantatori di Carpino in riferimento al loro essere stati grezzi pastori ubriaconi malandrini molestatori delle notti di pace della sana comunità carpinese. E non vedeva l'altra parte. Insomma, la solita questione: ‘nemo propheta in patria’.

«Grazie anche all'infaticabile lavoro del gruppo del Folk Festival (oltre Michele Ortore e Luciano, gli amici Antonio Basile, Antonio Manzo, Alessandro Sinigagliese e poi Rocco, Mattia, Domenico), di Michele Simone, e di alcuni altri personaggi che conosco meno, piano piano le cose cominciarono a cambiare. Un episodio rimane stagliato nella memoria di alcuni di noi: il novantesimo compleanno di zì’ Andrea.

«Con Elia rimanemmo tutta la giornata a casa con lui. Ogni tanto veniva qualche amico e conoscente a fare gli auguri a Andrea, un pasticcino, un succo di frutta, fino a quando venne sera. Noi lo sapevamo, ma non potevamo dire niente. Al balcone (proprio quello “che una volta era finestra”...) non ci voleva venire. Insistemmo un po’. Andrea diceva “Eh, è passata tante volte la banda qui sotto!...”, come per dire “e che ci vengo a fare a vedere la banda??!”. Poi si affaccia e vede che la banda è per lui, proprio per lui! Suona per Sacco Andrea! E allora si veste in fretta, usciamo in strada, a via Roma, e tutti i carpinesi gli fanno gli auguri, ci sono tutte le figlie, le nipoti, gli amici, quelli vecchi e quelli giovani… A 90 anni è uno dei regali più belli che Andrea abbia mai ricevuto nella sua vita, il grazie di un paese, nei miei occhi zì' 'Ndreijë che balla alla carpinese con Maria “la grande”...

«E così, tra una festa di banda e una nuova edizione del festival, anche le istituzioni, che ancora 10 anni fa dormicchiavano sonni imbarazzanti, cominciarono a svegliarsi, e a ricordare. Dico questo senza polemica e perchè l'ho provato sulla mia pelle. Il libro che ho scritto, “Andrea Sacco suona e canta”, l’ho preparato e scritto anche a casa di Zì' 'Ndreijë, e con Michelina sceglievamo le foto. Ingenuamente pensavo che questo libro sarebbe stato adottato dalle istituzioni come un loro patrimonio, perché Andrea era molto più patrimonio di Carpino, della Provincia di Foggia e della Regione Puglia, che non dello scrittore improvvisato Noviello o delle Edizioni Aramirè.

«Sono stato molte volte a bussare, non aprirono mai. Scoprii che la serenata poteva funzionare con le donne, ma con le istituzioni era più difficile... In quegli anni ho pensato che in fondo si confermava una storia antica, in cui in genere le istituzioni sono capaci di parlare del proprio passato solo in termini decorativi, o monumentali, e del tutto incapaci invece, come direbbe Pasolini, di creare da esso nuova storia, e di riconoscere nelle culture orali la sorgente. Dare spazio a Andrea Sacco era troppo avanti per loro.

«Sono passati anni e oggi siamo qui al Centro Culturale ‘Andrea Sacco’. Forse allora veramente è cambiato qualcosa?... Chissà che effetto farebbe a Zì' 'Ndreijë entrare qui, forse farebbe la stessa faccia di quando vide il libro, lo toccò qualche secondo, poi fece una smorfia di sorriso, e già guardava avanti, guardava oltre. O forse stavolta, cantando insieme ai Cantori, magari si commuoverebbe anche lui...

«I Cantori di Carpino... Piccininno... Maccarone.... Nicola Gentile fece un grande regalo alla comunità inventando i Cantori di Carpino. Fece un grande regalo anche a Zì' 'Ndreijë, perché quando Andrea doveva partire per qualche concerto ritrovava voglia di vivere, sprint, e tornava il protagonista che era stato decenni prima nelle vie di Carpino quando era giovane e aveva la ‘capa fresca’.

«Coi Cantori Andrea sul palco non conosceva stanchezza, cantava e suonava per ore. A volte gli scappava un: “Ah, se fossi solo un poco più giovane...” Quello che colpiva, tra le tante cose, è che i sonetti anonimi e vecchi di secoli diventavano sempre più pezzi di vita di Andrea, e viceversa. Sonetti antichi di centinaia di anni raccontavano di quando a Andrea era suonata la campana a morto, o quando aveva mandato via la giovine, o quando aveva imparato a suonare in pochi giorni prima di Pasqua per cantare alla sua fidanzata... A volte per me non è stato facile capire se zì’ Andrea incarnava la tradizione o se la tradizione incarnava zì’ Andrea.

«Altri racconti della sua vita non divennero mai sonetti, ma diventarono racconti mitici per chi voleva bene a zì’ Andrea: i furti incrociati di capre tra pastori, il cane anzi la cagnetta che andava a caccia da sola, il sequestro della chitarra battente da parte delle forze dell’ordine fascista, l’epopea africana poi greca e infine turca, il somaro ucciso e mangiato in guerra, o quando a Lecce dopo il concerto lo salutavano come un Papa...

«Sacco diceva che i giovani del gruppo non sapevano cantare, che Elia e io non sapevamo cantare, nessuno sapeva cantare, e aveva ragione, e si faceva delle grandi risate. Viveva il suo talento come un fatto naturale, di cui non si vantava. Raccontava di non ricordare una, dico una volta che gli fosse andata via la voce. Raccontava di aver portato decine, centinaia di serenate, raccontava dei due gruppi di carpinesi che aveva fondato e portato poi a San Remo, a Milano.

«A Melbourne, alla fine di un concerto, la vecchia zia Rosa, ex abitante di via Roma a Carpino, volle parlare con noi, perché anche lei aveva ricevuto una serenata da giovane con la battente... chi gliela aveva portata? Certo che si ricordava, abitava vicino a lei, si chiamava ‘Sbarlagammë’ (il soprannome di Andrea Sacco; ndr).

«Eppure, tutte le volte che qualcuno andava a chiedergli un sonetto, un consiglio, a fargli ascoltare una cantata, lui era sempre lì, pronto, la porta di casa sempre aperta... “quando vuoi venire io sto qui”... Sempre aperta la porta anche perché doveva essere pronto a fuggire via per andare a cantare. Fuggiva dalla superamorevole Michelina, che lui credeva sempre non lo mandasse a suonare, per via dell'età, ma Michelina meglio di tutti sapeva che ogni volta che Andrea andava a suonare tornava più giovane e forte. E come una mamma saggia gli preparava la borsa, e via in fuga coi compagni suoi, i Cantori, e qualche volta anche con me, Elia e Monica.

«Una volta, mi ricordo, stavamo andando a casa mia a Roma. In macchina Andrea mi racconta una storia, lunga, intricata, avvincente, di un dottore e la Fortuna. Mi dice che è una storia vera perché una volta l'ha letta su un libro, in Comune, e i libri riportano cose vere, “sennò uno perchè dovrebbe scriverle?”. Entriamo a casa mia, due grandi librerie piene di libri, Andrea li guarda, parliamo, ceniamo, ce ne andiamo a dormire, e solo allora mi chiede: “Ma tu li hai letti tutti?”

«Andrea sapeva leggere e scrivere, ma era tutto dentro quella cultura e quella partizione sociale che chiameremmo ‘cultura orale’, la cultura dei contadini e dei pastori, che le classi egemoni hanno sempre trattato con sprezzo e, al massimo, a volte con la pietà che si concede agli inferiori. Il posto che fu dato con benevolenza a Andrea al Comune fu una manna dal cielo, per la carissima famiglia Sacco (Damiano, Maria, Michelina, Carmine, e... l'americana!). Era il posto più umile, passacarte.

«Da quando l'Italia è un paese democratico e non sequestra più per sei mesi le chitarre battenti dei suonatori tradizionali, sono passati dal Comune di Carpino decine e decine di sindaci assessori funzionari. Di qualcuno, particolarmente capace, è rimasto famoso il nome tra i carpinesi, la maggior parte invece sono scomparsi nella memoria collettiva, come ognuno di noi è destinato a fare.

«Questi amministratori di oggi, che sentitamente chiunque vuole bene a Sacco e alla musica e al Sud ringrazia, in fondo stanno facendo uno scherzo alla Storia, e lasciano a futura memoria il nome di Andrea Sacco, pastore di capre, contadino a cavallo, e impiegato del Comune con l'ultimo impiego. In realtà fulgido musicista capace di lasciare nella memoria collettiva di oggi e di quelli che verranno suoni che resteranno per sempre e diranno a tutti perché Carpino ha un suo posto nella Storia della bellezza umana.

«Io li ringrazio sentitamente e per concludere racconto loro, e a tutti voi, un'ultima storia:

«Siamo nel 2106, un 17 di marzo, quasi tra 100 anni, ed ecco entrare un bambino con un papà. Abiti irriconoscibili (siamo nel futuro!), ma parlano dialetto carpinese. Il bimbo che già a 3 anni sa perfettamente leggere, chiede curioso: “Papà, ma chi era questo Andrea Sacco?” Può darsi che il papà non lo saprà più, e in questo caso tutta Carpino avrà perso la battaglia cominciata dal Folk Festival, dalla Pro Loco, e oggi dalla Amministrazione, senza avergli poi dato il seguito che è necessario dare da oggi, tutti quanti e non solo qualcuno.

«Può darsi invece che il papà risponda: “Era quello che portava le serenate, che la mosca sotto il naso non se la faceva passare, che parlava sempre dritto in faccia, e che non è mai morto, perchè chi suona e canta non muore mai...”. In questo caso non avrà vinto Sacco ma avranno vinto la tenacia di Carpino, la bellezza della Puglia, la dignità del Meridione, e Sacco sarà finalmente ‘propheta in patria’!»

Enrico Noviello


“Quando stanno morendo, i cavalli respirano,
Quando stanno morendo, le erbe si seccano,
Quando stanno morendo, i soli si bruciano,
Quando stanno morendo, gli uomini cantano canzoni.”

Velimir Chlebnikov


NB. Nella foto del titolo la targa scoperta all'inaugurazione della sede Centro Culturale "Andrea Sacco"

 Redazione

 

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