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25/02/2010

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SAN SEVERO: L’ECCIDIO DEL 1799

Clicca per Ingrandire IL FATTO = Le vicende di San Severo del febbraio 1799 costituiscono una delle pagine più tragiche della storia della città. Intorno a questi fatti molto è stato scritto, a cominciare dal resoconto dell’erudito Matteo Fraccacreta, che ne fu testimone e principale cronista. Il professore sanseverese Giuseppe Clemente ha portato l’evento all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale con vari saggi. Oltre a quello cui si ispira il dramma teatrale in oggetto, ricordiamo il volume “Febbraio 1799. Giacobini, sanfedisti e francesi a San Severo. Cronaca di una strage (Esseditrice, San Severo 2005)”. Il saggio, basato sullo spoglio di fonti archivistiche - i registri dei morti delle parrocchie cittadine e gli atti notarili - si apre con una dettagliata descrizione degli eventi di quel periodo.

La vicenda sanseverese viene snodata in tutte le sue connessioni e interferenze, senza trascurare le premesse più o meno lontane: dalla mancata modernizzazione del Regno di Napoli agli arruolamenti borbonici per la guerra contro i Francesi. Napoleone (foto 1 sotto; ndr), impegnato fin dal 1796 nella prima campagna d’Italia, vince ovunque: esige versamenti in denaro e opere d’arte. Nel mese di gennaio 1799 è alle porte di Napoli, dove nasce la Repubblica Partenopea. Le notizie sulla Rivoluzione Francese avevano provocato in Italia contrastanti reazioni: da un lato la borghesia si attendeva il rinnovamento sociale a lungo auspicato, dall’altro l’esasperato anticlericalismo e il Terrore innescarono spiccati sentimenti antifrancesi. Anche in Puglia si erano creati gruppi di patrioti filogiacobini, contrastati dai lealisti borbonici.

Possiamo inquadrare i fatti di San Severo intorno a tre date emblematiche:
- 8 febbraio: i giacobini innalzano in piazza della Trinità l’albero della libertà, emblema del nuovo governo repubblicano;
- 10 febbraio: l'albero viene abbattuto dal popolo, che si scatena in una sanguinosa repressione di sospettati o esplicitamente accusati di simpatie giacobine.
- 25 febbraio: il cerchio si chiude con l'arrivo delle truppe francesi agli ordini del generale Duhesme. La resistenza degli insorti viene piegata dopo violenti scontri nelle campagne, cui seguono violenze e saccheggi in città, e condanne a morte per chi si è maggiormente compromesso, che inaspriscono gli animi e generano sentimenti di odio e propositi di vendetta nei superstiti e nei parenti delle vittime.

Eppure il generale Championnet, inviato da Napoleone nel regno di Napoli, nelle “Istruzioni ai patrioti” aveva caldamente raccomandato “di rendere la rivoluzione amabile, per farla amare e renderla utile al popolo”, sopprimendo titoli nobiliari, fedecommessi e maggioraschi, primo passo verso l’abolizione della feudalità. Ordinando di piantare in ogni Comune l’albero della libertà e di munirsi di coccarde coi tre colori della bandiera cisalpina (giallo-rosso-turchino), aveva raccomandato che i membri delle nuove municipalità fossero scelti fra “cittadini onesti e virtuosi”.

Come sempre accade nei cruciali momenti di “svolta” politica, anche a San Severo ci furono repentini cambiamenti di fronte: i fedeli sudditi borbonici si trasformarono in ferventi giacobini, pronti a ritornare sotto le bianche bandiere gigliate appena la situazione lo avesse richiesto. Trionfò il camaleontismo. Ecco perché la massa popolare lottò contro il nuovo governo filofrancese, con l’aggravante di essere strumentalizzata dai maggiorenti rimasti fuori dai giochi di potere. Questi diffusero tra il popolo già in fermento la voce che la successiva domenica, durante il terzo giorno dei festeggiamenti repubblicani, sotto l’albero della libertà ci sarebbero state “danze sfrenate, abbracciamenti e nozze” e che “a’ repubblicani connubi auspice sarebbe stata la statua della Santa Vergine”.

Domenica 10 febbraio 1799, perciò, quando i repubblicani prelevarono il simulacro della Madonna del Soccorso, patrona di San Severo, per portarla accanto al “gran cipresso coronato di alloro, con sulla cima il pileo rosso”, la popolana Antonia de Nisi, detta la ‘scazzosa’, insieme ad altri sanfedisti gridò: “Perché, perché la Vergine co’ giacobini sotto l’albero? All’armi, all’armi!”. Si scatenò una sanguinosa rivolta contro i giacobini, decapitati con le stesse accette con cui era stato tagliato l’albero della libertà e le loro teste, coperte di sputi, seppellite nel fosso dell’albero divelto.

Il vescovo Giovanni Gaetano del Muscio, che aveva ordinato ai parroci di predicare la pace nelle piazze, promettendo indulgenze ai penitenti, corse il rischio di essere linciato dalla folla insieme al frate francescano Michelangelo Manicone (illuminista di Vico del Gargano, autore di “La Fisica Appula”), che in quei giorni stava visitando San Severo e aveva partecipato alla piantumazione dell’albero della libertà.
La rivolta antifrancese si diffuse in molti paesi della Capitanata, da dove partirono gruppi di filoborbonici per dare man forte ai sanseveresi. Sulla città, che non volle patteggiare la resa, si abbattè il 25 febbraio 1799 la tremenda vendetta dei francesi.

La città fu messa a sacco. Ci fu una vera e propria strage d’inermi, di donne, di fanciulli. Il generale Duhesme il 7 marzo scrisse il seguente rapporto al suo superiore Mac Donald: “Dopo le manovre valorosamente eseguite dalle nostre truppe è stata chiusa la ritirata ai ribelli. Il resto della giornata non è stata che un massacro. (…) Avevo giurato di far incendiare San Severo, ma fui commosso dalla sorte lacrimevole di una popolazione di ventimila anime. Feci cessare il sacco e perdonai”.

Il Colletta (Pietro: patriota, storico e generale - Napoli 1775 - Firenze 1831) parlò di tremila morti. La verifica effettuata dal professor Clemente sui registri delle varie parrocchie della città ha ridimensionato questo numero. In realtà, i morti registrati furono 240 fra i residenti a San Severo, 100 nei paesi vicini e 100 soldati francesi. In totale si contarono 450 vittime. La maggior parte aveva meno di quarant’anni. Undici le donne vittime della strage, alcune mentre aiutavano i loro uomini impegnati negli scontri, altre massacrate in fuga o mentre cercavano scampo nelle chiese. Angela Giuliani fu uccisa insieme alla figlioletta Antonia Moscatelli, di appena un anno, mentre la stava allattando.

Il 17 marzo venne fucilata Antonia de Nisi. Prima della pubblica esecuzione fu trascinata, con un laccio al collo legato alla coda di un cavallo, per le strade di San Severo. L’arciprete Masciocchi, nell’annotare il nome della De Nisi sul registro dei morti della Cattedrale, scrisse: “Sacra poenitentia munita, a Gallis, praecedente decreto condemnationis, pluribus ictibus ignearum balistarum vulnerata, mortem obiit, prope ianuam majorem Monasterium Patrum Coelestinorum, praecedente, dico, decreto condemnationis, ob crimen sibi imputatum et probatum, commovisse populum ad tumultum ob arborem libertatis in publica platea infixam” (“Munita di conforti religiosi, per un precedente decreto di condanna, ferita dai Francesi con numerosi colpi di fucile, trovò la morte vicino alla porta d’ingresso del monastero dei Padri Celestini, per un precedente, ripeto, decreto di condanna, a causa di un crimine a lei imputato e provato: aver spinto al tumulto il popolo, dopo aver divelto l’albero della libertà piantato in pubblica piazza”).

Ferdinando IV inviò il cardinale Ruffo alla riconquista del suo ex regno. La vittoriosa spedizione dei sanfedisti trovò il sostegno popolare e l’appoggio della flotta inglese di Nelson. Seguì dal giugno 1799 una spietata ritorsione del re contro chi aveva sostenuto la repubblica partenopea. A San Severo vi fu chi, pur avendo sostenuto i giacobini, per evitare ritorsioni, fece attestare da numerosi testimoni di aver tenuto un comportamento ‘lealista’. Quasi tutti i notai furono impegnati nella redazione di questi documenti ‘giurati’. Le mogli delle vittime della strage del 1799 chiesero e ottennero un risarcimento per sé e maritaggi per le piccole orfane. E ogni 25 febbraio fino al 1860, le campane della Croce Santa ricordarono ai sanseveresi, coi loro lenti rintocchi, quel giorno di ordinaria follia.


IL TEATRO = Il testo “Madònna míjë fa’ stà bbόn’ a lu rre” (Madonna mia, fai star bene il re) di Ciro Pistillo riproporrà - stasera alle 20.30 sul palcoscenico del Comunale “Giuseppe Verdi” di San Severo - quel tragico periodo, traendo spunti e riflessioni dal libro di Giuseppe Clemente “Il sacco di San Severo del 25 febbraio 1799”. Con musiche di Davide Dell’Oglio, eseguite dal Gruppo Folklorico “I Terrazzani”, il pubblico assisterà a una trasposizione scenica di quei fatti con la regia firmata da Luigi Minischetti. L’evento, patrocinato da Regione Puglia e Città di San Severo, sarà proposto dalla locale Associazione Turistica Pro Loco in collaborazione con: Centro di Ricerca e Documentazione per la Storia di Capitanata, Centro Studi Tradizioni Popolari “Terra di Capitanata”, Unpli (Unione Nazionale Pro Loco d’Italia) e Federazione Italiana Tradizioni Popolari.

Teresa Maria Rauzino

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