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10/02/2010

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VELENI E AVVELENAMENTI

Clicca per Ingrandire Un comunicato del Gruppo “NO MARE NERO” informa che “ormai siamo arrivati al punto da non considerare un’eresia proporre di modificare i libri di geografia scrivendo che l’Italia era circondata dal mare, ma l’attività del l’uomo ha fatto sì che tale mare diventasse una discarica a cielo aperto. Il Mar Mediterraneo è infatti un mare chiuso che ha un bassissimo grado di ricambio d’acqua con l’oceano nel piccolo stretto di Gibilterra. Già i dati diffusi dall'Unep, (United Nations Environment Programme, il programma-ambiente per lo sviluppo; ndr) prima della scoperta delle navi piene di scorie radioattive fatte affondare nei pressi delle coste calabre, davano un’immagine del Mar Mediterraneo molto vicina a una discarica”.

E continua: “La considerevole immondizia custodita nelle acque del Mediterraneo, che minaccia costantemente la salute delle popolazioni costiere e della fauna marina, dovrebbe aumentare di consistenza coi nuovi progetti di perforazione al largo della costa adriatica al fine di cedere parte del nostro territorio alle compagnie petrolifere per estrarre petrolio di pessima qualità che dovrà essere sottoposto a processi molto inquinanti di de-solforazione. L’aumento dei consumi di energia spinge, infatti, le compagnie petrolifere a cercare petrolio sabbioso anche nelle zone più impervie e poiché i costi di estrazione sono molto alti i benefici economici per le popolazioni sono quasi nulli, mentre i danni ambientali potrebbero essere ingenti”.

Aggiungendo che “la legge italiana consente tutto ciò. Infatti l’Italia è ‘disponibile in maniera permanente alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi’ (625/1996 , art. 3, comma 1), ma non ci si rende conto che i pozzi di petrolio non porteranno vantaggi economici o posti di lavoro perché le compagnie petrolifere utilizzano i propri tecnici da fuori regione, anzi si perderanno molti posti di lavoro nel settore agricolo, ittico e del turismo. Le ultime notizie dicono che la Puglia, regione già con evidenti problemi ambientali, non sarà risparmiata dall’inquinamento provocato dall’attività petrolifera, anzi la ricerca riguarderà addirittura tutta la regione con ricadute pesantissime sulla salute della gente e sull’economia. I primi punti di esplorazione saranno probabilmente al largo di Monopoli e a Nord di Otranto”.

Per cui, “quando si parla di petrolio bisogna pensare alla qualità dello stesso e il petrolio del basso Adriatico è di pessima qualità perché bituminoso con un alto grado di idrocarburi pesanti e ricco di zolfo (simile all’albanese, che non ha portato nessuna ricchezza sul loro territorio). Il prodotto di scarto più pericoloso è l’idrogeno solforato (H2S) dagli effetti letali sulla salute umana anche a piccole dosi. L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di non superare 0.005 parti per milione (ppm), mentre in Italia il limite massimo previsto dalla legge è pari a 30 ppm: ben 6mila volte di più. In mare, addirittura, non ci sono limiti in Italia”.

Ma “le attività di perforazione e produzione di petrolio dal fondo marino contribuiscono per il 2 percento all'inquinamento marino. Questo 2 percento va sommato al 12 percento dovuto agli incidenti nel trasporto marittimo e si aggiunge al 33 per operazioni sulle navi relative a carico e scarico, bunkeraggio, lavaggio, scarichi di acque di sentina o perdite sistematiche, che porta a un totale di 45 percento l'apporto complessivo di inquinamento dovuto a perdita dalle navi. Un consistente apporto di inquinamento da petrolio, stimato al 37 percento, è quello che proviene da scarichi urbani e industriali, sistematici o accidentali, e perdite da raffinerie, oleodotti, depositi. Inoltre, le ricadute atmosferiche di idrocarburi evaporati o parzialmente incombusti danno un apporto del 9 percento, mentre sorgenti sottomarine rilasciano per trasudamento naturale un apporto del 7 percento”.

Quindi, “per poter trivellare nel mare, e altrove, le compagnie petrolifere hanno bisogno di speciali ‘fluidi e fanghi perforanti’ per portare in superficie i detriti perforati (cutting). Quali sono le caratteristiche di tali materiali? Questi fanghi sono TOSSICI e difficili da smaltire. Lasciano, infatti, tracce di cadmio, cromo, bario, arsenico, mercurio, piombo, zinco e rame, elementi pesanti nocivi che si bioaccumulano nei corpi del pesce che mangiamo. Ovviamente le ditte sostengono che smaltiscono tali sostanze una volta uscite dal vibrovaglio che separa i cuttings (che vengono analizzati e poi scartati) dal fango”.

E si pone precise questioni: “Date le condizioni di lavoro in mare, con condizioni spesso variabili e difficili, è lecito porsi alcune domande: quanto materiale si disperde? Chi controlla che il suddetto fango, costoso da smaltire, raccolto in vasconi appositi, non strabordi in mare? Diversi studi redatti da agenzie governative dimostrano che il livello di mercurio è molto alto nei pesci pescati vicino le piattaforme petrolifere. L’estrazione del petrolio e la sua raffinazione comportano, inoltre, un notevole dispendio di acqua, che sarà prelevata dall’acquedotto pubblico, già perennemente carente in estate. Queste acque contaminate da zolfo e metalli pesanti saranno poi reimmesse nel terreno con un rischio gravissimo di contaminazione delle falde”.

“A tutto questo va aggiunto che con le perforazioni c'è il rischio subsidenza, che è l’abbassamento del terreno a causa delle estrazioni di idrocarburi. Questo fenomeno è qualche volta accompagnato da micro terremoti e dissesti geologici, pericolosi in zone in cui la maggior parte delle abitazioni non sono antisismiche. Il rischio subsidenza del terreno, è così noto nel nord dell’Adriatico da aver portato alla sospensione delle attività di estrazione per lunghissimi periodi.

“ Il nostro paese, a causa dell’utilizzo delle fonti fossili come gas e petrolio, ha sforato di gran lunga le proprie quote di emissione. Attualmente noi italiani paghiamo diversi milioni di euro al giorno per lo sforamento delle emissioni di anidride carbonica rispetto all'obiettivo previsto dal Protocollo di Kyoto. Invece di pensare a un aumento dell’offerta e del consumo si dovrebbe pensare ad attuare una logica di risparmio energetico e delle risorse. Se si consentirà l’inserimento di piattaforme petrolifere sul mare pugliese, si avallerà l’ennesima operazione che avvantaggia e arricchisce poche lobby a scapito dell’impoverimento collettivo.

“Altro aspetto è il rischio incidenti, paragrafo spesso omesso in molti progetti. Si individuano tre tipologie di possibili incidenti:
- Blow-out di gas durante la perforazione;
- Blow-out con fuoriuscita di petrolio incontrollata;
- Collisioni di Navi con la Piattaforma.

“Il Mediterraneo è già un’immensa pattumiera marina. E’, difatti, il mare più inquinato da idrocarburi, essendo uno dei mari più solcati da petroliere che lavano le cisterne al largo, sporcando le nostre spiagge a svantaggio del turismo locale. Si spera che i governi nazionale e locale tengano conto non solo degli aspetti economici, che sono marginali considerata la bassa qualità del petrolio sabbioso ad alto contenuto di zolfo e la difficoltà di estrazione off-shore, ma anche delle esternalità negative provocate da questi progetti, ossia il costo che la collettività deve subire per ripagare i danni causati alla salute dell’uomo, all’agricoltura, al turismo, alla pesca, eccetera.”


Ma non finisce qui. Il coordinatore dell’Osservatorio “Torre di Belloluogo”, Beniamino Piemontese, ci fa sapere che il sindaco di Vernole ha denunciato pubblicamente “L'AVVELENAMENTO DEL MARE” per colpa dello sversamento delle acque reflue della zona industriale leccese. Di seguito il contenuto della denuncia.


“Un'altra minaccia per l'ambiente e la salute pubblica: si tratta dello sversamento delle acque reflue provenienti dalla zona industriale di Lecce nelle acque della marina di S. Cataldo, a ridosso della Riserva Naturale Protetta delle "Cesine" (Oasi Naturalistica del WWF), interessando i territori dei Comuni di Lecce e di Vernole. La denuncia pubblica viene fatta dal sindaco di Vernole, dott. Mario Mangione, che ieri si è recato personalmente sul litorale leccese, nei pressi delle condotte di fuoriuscita dei reflui, accompagnato dalla Polizia Municipale e dai Carabinieri, rilasciando delle dichiarazioni molto esplicite agli Organi d'informazione, in particolare a TeleRama News.

“Le condotte a mare incriminate provengono dal depuratore "Ciccio Prete" e portano fino alla costa adriatica i residui liquidi altamente inquinanti provenienti dalla zona industriale di Lecce. L'impianto da cui vengono riversati a mare i reflui industriali si trova presso l'Idrovora di S. Cataldo, ed è stato già da tempo posto sotto sequestro penale dal Tribunale di Lecce. Purtroppo, però, lo stesso Tribunale ha concesso la facoltà d'uso dell'impianto di smaltimento.

“Risale solo a qualche giorno fa il blocco preventivo dell'autorizzazione alla scarico a mare, presso il Canale "Sàmari", in località "Rivabella" (nel territorio del Comune di Gallipoli), delle acque reflue provenienti dai depuratori di Casarano e Taviano, concordato in una riunione congiunta tra il presidente della Provincia di Lecce e i sindaci dei Comuni interessati, che è servito a tamponare solo momentaneamente il rischio degli scarichi a mare sul litorale a sud della costa ionica di Gallipoli. Pure di questi giorni è la notizia secondo cui sembrerebbe trovare soluzione (grazie a una riunione dei soggetti interessati convocati presso la Regione Puglia) l’annosa questione del completamento del ciclo depurativo della piattaforma consortile di Gallipoli al servizio dei Comuni di Gallipoli, Sannicola, Alezio e Tuglie, che scarica i reflui direttamente nel mare a nord della ‘Città Bella’.

“La denuncia del sindaco di Vernole è veramente allarmante e merita di essere presa seriamente in considerazione tanto dalle istituzioni pubbliche quanto dai cittadini. Com'è avvenuto nelle riunioni dei rappresentanti delle istituzioni pubbliche coinvolte nei casi sopracitati, anche nel caso dello sversamento dei reflui industriali nel mare di S. Cataldo, il presidente della Provincia di Lecce, Antonio Gabellone, e il sindaco di Lecce, Paolo Perrone, potrebbero riunirsi insieme al sindaco di Vernole, Mario Mangione, per valutare e concordare congiuntamente le decisioni da assumere in difesa e a tutela dell'ambiente e della salute delle proprie comunità, e non solo, ma dell'intero Salento e di tutta la regione Puglia, dato che l'avvelenamento e l'inquinamento del mare e del territorio non è affare municipalistico che interessi solo questo o quel Comune.

“Così come sarebbe giusto che la denuncia del Sindaco di Vernole fosse tenuta nel debito conto dall'Autorità Giudiziaria, che potrebbe intervenire definitivamente per risolvere una situazione che dura ormai da troppo tempo e risulta dannosa per l'ambiente e la salute pubblica.”

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