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08/02/2010

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EREDITA CELTICHE NELLE FESTE DEL FUOCO

Clicca per Ingrandire Le fiamme del falò sono alte verso il cielo pieno di stelle e ondeggiano, senza mai fermarsi, per scaldare una gelida serata d’inverno, muovendo in me tanti pensieri. E’ il 20 gennaio, giorno dedicato a San Sebastiano, quando a San Nicandro Garganico si fanno ardere grossi fuochi per commemorare il santo. Tra danze intorno al fuoco, canti paesani, gustose ghiottonerie preparate apposta per tale evento e briosi stornelli provocatori per prendere in giro bonariamente i partecipanti degli altri falò, con immaginazione mista a curiosità, cerco le antiche tracce per comprendere il senso di questi rituali e percepisco il sacro e il profano che cominciano a intessere quel variopinto intreccio di venerazione popolare, in un misto tra pagano e cristiano.

Tutto questo mi stimola e mi affascina. Sento ora il bisogno di condurre una indagine antropologica approfondita sull’argomento ma, per entrare nei dettagli, è indispensabile iniziare dalle domande giuste: perché si accendono questi falò? perché in determinati giorni, piuttosto che in altri? e come mai nei paesi vicini sembra non esserci traccia di cerimonie simili, almeno nel cuore della stagione invernale? Procedo con ordine e cautela.

L’uso di accendere fuochi propiziatori sembra essere una pratica molto diffusa in tutta Europa e tali riti, legati simbolicamente al fuoco, venivano svolti anticamente durante l’intero anno. Tuttavia, a prescindere dalle diversità territoriali e stagionali, le varie feste del fuoco presentano notevoli analogie, come anche i diversi benefici che la gente si aspetta da questo tipo di pratiche magiche e purificazione. Sul promontorio garganico persistono le tracce di queste antiche tradizioni in diverse comunità e, a San Nicandro Garganico, tali cerimonie del fuoco sembrano mantenere ancora oggi una certa aura magica. E’ qui ancora forte l’usanza di accendere grossi falò in tutti i rioni del paese, in una sorta di goliardica e scanzonata competizione paesana.

L’occhio attento riesce a scorgere reminiscenze di antiche cerimonie pastorali e contadine. Infatti, si vedeva nel fuoco un mezzo per far prosperare i campi, il bestiame e gli uomini, augurandosi una buona salute, scacciando le streghe e i diavoli, o proteggendosi dai sortilegi, dalla cattiva sorte e dalle calamità di varia natura. I “fuochi” festeggiati a San Nicandro oggi sono tre e, fino a qualche decennio fa, erano ben quattro: Sant’Antonio Abate (17 gennaio), San Sebastiano (20 gennaio), San Ciro (31 gennaio; oggi, questo fuoco non viene tanto celebrato) e poi San Biagio (3 febbraio).

Accendere i falò in questo particolare periodo dell’anno non sembra affatto casuale. E siamo, quindi, al primo interrogativo: perché si accendono fuochi propiziatori? Rispondere non è cosa semplice, perché in parte si perde il ricordo, col passare dei secoli, di quei fattori che spingono un popolo o un’intera comunità a comportarsi in un certo modo. Però, studiando tutti gli indizi che il folklore ci pone davanti, è possibile comunque delineare un quadro piuttosto coerente riguardo a quello che potrebbe essere il pensiero originale che sta alla base di tanti eventi, ormai dimenticati dal tempo.

Innanzitutto, siamo nel cuore dell’inverno e cioè tra il solstizio d’inverno (21-22 dicembre) e l’equinozio di primavera (20-21 marzo), tra l’inizio della stagione fredda e l’inizio della primavera. Considerando gli elementi simbolici di questi riti, partiamo dall’elemento più evidente e cioè il “fuoco”. Simbolicamente, il fuoco possiede diversi significati, tutti riconducibili ai concetti di calore, luce, trasformazione e purificazione. I primi due aspetti, calore e luce, rappresentano la polarità complementare del fuoco e spesso, nell’antichità, venivano raffigurati il primo, con raggi ondulati o linee curve, e la seconda con raggi o linee dritte.Accendere un fuoco è equiparato alla nascita e alla risurrezione e, nelle culture primitive, alla procreazione e fertilità sessuale.

In effetti, accendere fuochi o anche torce di dimensioni e forma diverse per poi saltarvi sopra, ballarci intorno o condurre il proprio bestiame fra le fiamme e attorno ad esse, sembra essere stata una consuetudine universale che ha riguardato in particolare popoli e culture del centro e del nord Europa, di stampo indoeuropeo e celtico. Studi recenti hanno avanzato due ipotesi per decifrare queste pratiche: da un lato, le feste del fuoco vengono considerate come rituali magici o come incantesimi solari intesi secondo il principio della magia imitativa che, per poter garantire così il necessario apporto di calore a uomini, animali e piante, si accendono dei falò per riprodurre sulla terra la grande fonte di calore e di luce che sta in cielo, il Sole appunto; dall’altro, i fuochi rituali hanno uno scopo purificatorio, quindi destinati a bruciare e distruggere qualsiasi influsso malefico, sia esso personificato (streghe, demoni e mostri vari) oppure impersonale come una contaminazione o corruzione dell’atmosfera. La prima teoria vede il fuoco come elemento stimolante, la seconda come elemento purificante.

A San Nicandro Garganico, le feste dei fuochi rappresentano tutti questi aspetti insieme, con quel pizzico di competizione rionale che rende le serate spensierate e allegre. Anticamente i nonni ricordano volentieri i canti paesani, i balli euforici di coppia al calore della fiamma, per assorbire gli effetti fecondanti del fuoco, di buon auspicio per la futura coppia e per la prole. Il 17 gennaio, nel giorno di Sant’Antonio Abate, inizia ufficialmente il Carnevale e la mupia (euforia sfrenata) colpisce tutte le persone, come una sorta di incantesimo. Da quel giorno in poi, per tutte le domeniche successive, fino ai tre giorni effettivi di Carnevale, ci si mascherava e poi tutto si rianimava, tra balli e canti, come se tutti venissero impossessati dallo spirito della Natura, che tornava a vivere. E tutto questo finiva con la morte simbolica dell’inverno, il Carnevale appunto, e nel Martedì Grasso, dove proprio a San Nicandro Garganico si appiccavano gli ultimi fuochi, i bambini buttavano tra le fiamme un pupazzo fatto di paglia e arbusti vari per rappresentare il capro espiatorio che, con la sua morte, portava via tutti gli influssi malefici di una natura rigida che, da quel momento in poi, avrebbe elargito al popolo tutta la sua ricchezza con l’arrivo della primavera.

Rinascita e resurrezione della Natura che, con il sincretismo religioso, diviene Rinascita e Resurrezione dello Spirito nella figura di Gesù Cristo. La Natura, nei tempi passati, aveva da parte degli uomini un’importanza maggiore e come una divinità veniva rispettata e venerata. Tutto era legato ai suoi ritmi e ogni fenomeno, positivo o negativo, era condiviso dagli essere umani, pronti a soddisfare il volere della Madre Terra, affinché pastorizia, agricoltura e pesca potessero garantire il massimo risultato possibile. Più che una mera superstizione, questo modo di agire rappresentava semplicemente una consapevolezza dell’ambiente in cui si viveva, dove ogni aspetto della Natura rappresentava qualcosa di sacro. Il fuoco, quindi, visto come il principio attivo per incoraggiare il ritorno della luce e del calore, e come simbolo di rinascita e risurrezione del Dio Sole; ma anche strumento di purificazione e trasformazione, come passaggio dalla morte della stagione sterile alla vita della feconda primavera.

Dopo queste prime considerazioni, passiamo alla seconda domanda dell’indagine: perché sono stati scelti giorni particolari invece di altri? Partiamo dal 17 gennaio. Questo giorno è dedicato a Sant’Antonio Abate, primo abate e tra i primi eremiti del cristianesimo. Nato in Egitto da nobile famiglia e rimasto orfano, decise di dedicarsi a una vita fatta di stenti e privazioni. L’aspetto interessante di questo santo è la sua iconografia. Tra i simboli che lo accompagnano si possono notare un bastone, o croce con tau, una campanella, ai piedi un maialino o un cinghiale e una fiamma ardente. Non tutti sanno che questi simboli rappresentano, spesso, anche un’antica divinità celtica legata al sole e al fuoco, il Dio Lugh. Questo santo guaritore viene sovente invocato contro una malattia chiamata “fuoco di Sant’Antonio” per via di una forte sensazione di bruciore alla pelle.

San Sebastiano, venerato il 20 gennaio, è rappresentato iconograficamente come una persona molto giovane, dai lineamenti quasi femminili, trafitto da frecce e legato a un albero o tronco di alloro. La tradizione cristiana lo vuole come guaritore della peste. Anche questo santo è direttamente collegato con simboli di fuoco e solari perché i simboli sopra citati sono tutti propri del dio Apollo, raffigurato con un albero di alloro, frecce e dardi, che scoccava contro i mortali anche per procurare la peste, che ovviamente riusciva anche a debellare, guarendo chi lo invocava per questo. Di San Ciro, 31 gennaio, si sa ben poco, anche se tale giorno è uno dei più importanti del calendario celtico, Oimelc o Imbolc, in cui si festeggiava l’allontanamento dell’inverno attraverso riti di fertilità.

La festività celebrava la luce che si rifletteva nell'allungamento della durata del giorno e nella speranza per l'arrivo della primavera. Era tradizione celebrare la festa accendendo lumini e candele. In epoca cristiana la festa di Imbolc venne equiparata alla Candelora. Poiché la festa pagana era sotto gli auspici della dea Brìgit, si trasformò nella ricorrenza di Santa Brigida. Il significato del suo nome è “colei che brilla molto”, “la brillante”, tutti elementi simbolici legati alla fertilità e soprattutto alla luce. Siamo alla vigilia di febbraio e guarda caso da februa (da cui febbre) deriva februarius ed anche il verbo februare, "purificare". Il mese delle purificazioni dunque, che nel calendario arcaico attribuito a Romolo era l'ultimo, preludeva alla rifondazione dell'anno nuovo in marzo: per prepararsi al "passaggio" era necessario purificarsi con una serie di riti entrando anche in comunicazione con i parenti morti durante i nove giorni dei Parentalia. E quindi, proprio all'inizio del mese di febbraio, i Celti celebravano la festa della luce rinascente, dalla quale, come detto in precedenza, deriverebbe il rito delle candele della Candelora.

Per tornare alla figura di San Ciro, la tradizione vuole che sia stato bastonato, bruciato con delle fiaccole e calato nella pece bollente, da cui comunque riuscì a sopravvivere. Tutti elementi legati al fuoco e al calore. Infine, proprio collegato alla festività della Candelora c’è San Biagio, venerato il 3 febbraio. Un santo anch’esso guaritore che principalmente cura le infiammazioni della gola e lo fa apponendo due candele incrociate, benedette proprio il giorno della Candelora. Santi guaritori e dèi solari, simboli di fuoco e di purificazione; solo un caso? O l’antica sapienza naturale dei nostri progenitori è riuscita a sopravvivere grazie al sincretismo religioso e al legame che la tradizione popolare ha sempre voluto mantenere con Madre Natura?

E’ sicuro però che guardando con attenzione tra i lapilli e le fiamme del falò si possono ancora scorgere uomini e donne danzare e gioire, inneggiando al ritorno della primavera, per rinascere nella mente e nel corpo al calore del Sole.

Giovanni Barrella

 argod.it

 

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