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08/02/2010

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CRITICI SGUARDI SUL BEL PAESE

Clicca per Ingrandire “Hai fatto benissimo! La cosa migliore che potevi fare nella tua vita!” gli ripetevano gli amici a Ravenna prima di partire. Forse era solo per incoraggiarlo. Ma lui spiegava che aveva degli obiettivi nella vita. Sì, obiettivi seri, sani, di conquista del suo avvenire, di apertura al mondo. Eccolo qui a Londra, ormai da due mesi.“Se questi sono i tuoi obiettivi, questa è la città giusta!” la replica sicura degli amici. Passaporto italiano, parla un italiano spontaneo, fluido. E’ figlio di un imprenditore senegalese laureato in giurisprudenza e porta un nome poco italiano, oltre che la pelle per niente chiara, anzi.

Sapeva di trovare nella metropoli inglese dei giovani italiani come lui, ma tanti così no...“Ne è pieno dappertutto, soprattutto romani e sardi!” mi fa, mostrando apertamente il suo stupore. Se ne parlava, infatti, l’altro giorno con una giornalista.“È vero, tantissimi sono i giovani italiani presenti ora a Londra!” Scuoteva, però, la testa:”Non è un bel segno!” A leggerlo bene è un cattivo sintomo: la nostra terra per i giovani non è più un mondo di promessa e di speranza. Anzi. “Non esiste da noi meritocrazia!” continua lucido Mamour, il nostro giovane romagnolo. “C’è il figlio, il nipote, il conoscente da piazzare... Qui invece se vedono che vali, ti mandano avanti. Il mio amico qui da sei mesi è già responsabile del team a Mc Donald!”

Poi le sue parole si fanno ancora più dure, tanto da sorprendere in un viso con un profilo così dolce. “La nostra è una società che non ha bisogno di scienziati, scappano via! Ma di burattini... Ti fanno vedere la macchina. Questa, la voglio! Ti fanno vedere altro... lo voglio! E’ la cultura dell’immagine, dell’apparire, sì dell’apparire...” ripete ben tre volte. Pare riveli in questo modo il segreto di vita dei suoi coetanei in Italia. “Purtroppo, al mattino svegliandosi non hanno nulla davanti, niente, nessun ideale, capisci?!”conclude amaro.

“Tanti giovani oggi si sentono soli - scrive un educatore salesiano. - Questo è il vero problema che noi avvertiamo: questa solitudine. E anche coloro che vivono bene, nel senso che non delinquono, non hanno ideali e sono miniere chiuse. Le loro risorse non sono esplorate. Non basta amare i giovani, serve invece che i giovani si sentano amati”.

Ed è vero che qui, in terra inglese, al lavoro ti guardano, ti osservano silenziosamente, vedono i risultati e poi, quando non te l’aspetti, ti promuovono. Ti affidano un altro bell’incarico. Stanno attenti semplicemente a quanto vali, alla passione che metti, al senso di responsabilità che sai dimostrare. E, così, avanzi. Anzi, ti mettono loro avanti... “Cosa impensabile da noi!” mi riferiva anche Sergio, l’altro giorno, diventato uno dei responsabili all’Hotel dove ha cominciato da lavapiatti.

Ascolto poi un’altra voce di questo coro, che passa al nostro Centro Scalabrini in Brixton Road (foto del titolo; ndr). Cesare, sardo, uomo maturo in vena di confessioni, comincia così:“Mi sono detto un giorno: parto! L’ho detto, l’ho fatto e mi sono sentito come rinnovato dentro. Prima in Sardegna ero autista, poi agente di commercio, facevo il contratto e poi, semmai, portavo il cliente a mangiare. Qui a Londra ho imparato io a far da mangiare!” Ha trovato, infatti, dei bravi chef, ha seguito tanti consigli e ha provato la soddisfazione di fare qualcosa di buono, di apprezzarlo e sentirlo apprezzare da altri. “L’essenziale sono i sapori!” conclude con l’aria di cuoco d’alto bordo. Dopo sedici anni che è partito dalla Sardegna vi ritorna ancora. “Nulla è cambiato - ti dice. - Tutto è come il solito. La solita rassegnazione! Qui invece mi sento valutato... e non tanto per status symbol, ma per tanti stimoli come la moglie, i figli, il lavoro.”

A volte pensa a quello che ha lasciato, ai clienti in Italia, agli amici. “Di essi non ne rimane ormai che il profumo!”commenta da vero habitué al retrogusto. Un giorno partirà per sempre da qui, è deciso. Ma non sarà per la Sardegna, ma per la Nuova Zelanda, la terra della moglie. “L'importante non è dove sei nato - direbbe qualcuno - ma dove ti senti a casa!” E lui ve l’assicura: “E’ quello un posto dove mi fermerei per sempre, e mi spegnerei là...” Lo farebbe vivere con tutti i suoi sensi, così, “semplicemente, con una sedia davanti all’oceano,” precisa, calmo. Straordinario Cesare! E io mi chiedo, a volte:“Ma chi fermerà mai la vita di un migrante? E quale sguardo si matura fuori della propria terra!”

Renato Zilio

 Redazione

 

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