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14/01/2010

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DOVE STA ANDANDO IL PIANETA?

Clicca per Ingrandire  DOMANDA - Il Vertice Onu di Copenhagen è ormai alle spalle. C’era molta attesa per un accordo sul Clima, ma a lavori conclusi la sensazione è che si potesse fare di più. Da scienziato cosa pensa che sia mancato?
RISPOSTA - Dal punto di vista scientifico, la “scienza” non è mai stata in discussione a Copenhagen: le valutazioni sulla rilevazione dei cambiamenti climatici, la stima dei futuri fenomeni a essi legati e gli impatti, sono infatti oggetto dei confronti del comitato intergovernativo dei cambiamenti climatici dell’Ipcc (Intergovernmental Panel on Climate Change - Gruppo intergovernativo sul mutamento climatico; ndr). A Copenhagen non si è parlato direttamente di scienza, piuttosto si sono prese decisioni politiche, economiche e di policy.

D. - L’accordo di limitare a 2°C la soglia di aumento della temperatura media mondiale la soddisfa?
R. - Il valore fissato è una sorta di ‘bandierina’: sappiamo che è un obiettivo molto difficile e che richiede un controllo delle emissioni piuttosto deciso. C’è una generale condivisione da parte della comunità scientifica sul fatto che sia necessario limitare entro la metà del secolo in corso le emissioni globali di CO2 (anidride carbonica; ndr), tuttavia c’è ancora un disaccordo su come poter raggiungere questo obiettivo. Esistono delle stime su quali possono essere gli impatti sul clima corrispondenti a un aumento di 2°C della temperatura e quindi si tratta di fare una valutazione, quella sì politica, se questi effetti sono sostanzialmente gestibili all’interno del nostro sistema economico-politico, garantendo da un lato lo sviluppo ai Paesi poveri e dall’altro la protezione delle economie mature, ma senza porre sotto uno stress esagerato le economie che funzionano.

D. - Nel 2010 ci sarà un nuovo incontro mondiale e altri seguiranno negli anni a venire. Ma quanti vertici può ancora “aspettare” il nostro Pianeta?
R - Questo è difficile da dire. Siamo arrivati alla conferenza numero 15: quando abbiamo cominciato nessuno di noi, credo, si aspettava di arrivare a questo punto. Certo, i problemi che abbiamo davanti sono notevoli: dobbiamo pensare a una modifica del sistema energetico globale che deve ridurre le emissioni ma anche sostenere lo sviluppo e la diffusione delle energie a basso contenuto di carbonio nei Paesi in via di sviluppo, bisogna trovare i meccanismi finanziari che sostengano questa trasformazione tecnologica nelle economie dei Paesi in via di sviluppo e anche in quelle mature e al tempo stesso supportino finanziariamente e tecnologicamente i Paesi più poveri. Non so quante Cop ancora ci dobbiamo aspettare, senz’altro c’è un grosso lavoro da fare in questo anno perché contemporaneamente si va verso la conclusione del Protocollo di Kyoto: dall’esperienza di questo trattato va messo in piedi un meccanismo che possa essere efficace per il post-2012.

D. - Senza finire nel catastrofismo o nell’allarmismo, viste le emissioni di CO2 attualmente presenti in atmosfera, siamo già a un punto di non ritorno per la Terra?
R. - Il problema dei cambiamenti climatici è che si tratta di ‘cambiamenti’ del clima, il che vuol dire che le abitudini del clima si modificano. La difficoltà sta nel fatto che se in certe situazioni questo crea oggettivamente dei problemi - come ad esempio la perdita di risorse idriche o l’innalzamento del livello del mare - in altre apre delle opportunità. E’ il caso del miglioramento delle condizioni atmosferiche nelle grandi pianure canadesi che può allargare le fasce dove è possibile coltivare. I cambiamenti hanno quindi segni opposti: in alcuni casi positivo, in altri negativo. Alla fine bisogna metterli insieme e considerare qual è il segno risultante. Sono calcoli economici molto complicati. Io non credo che il problema sia ‘biblico’: non c’è nessuna catastrofe prossima, ventura. Però è chiaro che sono difficoltà che devono essere considerate razionalmente, senza lasciarsi andare a facili allarmismi ma neanche a sottovalutazioni troppo disinvolte.

D. - Qualora si dovesse superare il limite dei 2°C di aumento medio della temperatura globale, cosa ci aspetta?
R. - Gli scenari indicano che gli effetti sono funzione della quantità di anidride carbonica che viene emessa in atmosfera. Allo stato attuale delle nostre conoscenze sappiamo infatti che fenomeni a grande scala come il riscaldamento ai Poli, lo spostamento verso nord delle fasce di precipitazione e una generale aridità all’interno dei continenti, si amplificano man mano che si aumentano le emissioni. Ci sono però anche da considerare le forti variazioni locali, che incidono parecchio: non è un caso, infatti, che tutto lo sforzo della ricerca sia mirato in questo momento alla comprensione dei fenomeni a livello locale.

D. - A proposito di locale, allora, l’Italia, o più in generale la regione mediterranea, che conseguenze potrà subire?
R. - Il Mediterraneo è in una situazione particolare perché si trova in una zona particolarmente vulnerabile, quella al bordo tra le regioni tropicali e quelle di media latitudine. Nel Mediterraneo, di conseguenza, un cambiamento anche piccolo nella distribuzione di queste zone può avere effetti locali significativi: spostare questo bordo di qualche centinaio di chilometri più a nord o più a sud non significherebbe nulla a livello planetario ma nel Mediterraneo porterebbe a condizioni generalmente più aride, diminuzione delle precipitazioni invernali e aumento delle temperature estive.

D. - Quali sono attualmente le tecnologie chiave in grado di ridurre l’aumento delle emissioni?
R. - Oggi è disponibile un ventaglio di tecnologie - dalla produzione di energia low carbon alla cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica, dal nucleare al miglioramento dell’efficienza energetica - da usare tutte in blocco: ognuna contribuisce in parte ma nessuna è determinante. Gli studi mostrano che con queste tecnologie, che nella grande maggioranza dei casi sono già disponibili, si riesce a raggiungere l’obiettivo di una riduzione anche significativa delle emissioni.

D. - La ricerca sul clima in questi anni come sta andando avanti?
R. - Bene a livello internazionale. Certo, alcuni effetti importanti ancora non possiamo quantificarli con la precisione che vorremmo. Occorre fare un ulteriore sforzo nel settore dei modelli numerici di simulazione. L’Italia si sta dando da fare e non è un caso che negli scorsi anni abbia creato il Cmcc (Centro euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici): il nostro Paese ha un ruolo da protagonista sulla ricerca climatica.

Edoardo Maria Massimi



 agienergia.it/

 

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