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02/12/2009

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IL BRINDISI DEI DANNATI

Clicca per Ingrandire “Brindo al settimo girone dell’inferno e a tutti i suoi dannati!” disse alzando il calice che conteneva l’essenza della vita umana. Una popolazione di gente persa dalla nascita, da coloro che furono i genitori del genere umano, che scelsero la conoscenza a dispetto dell’amore di Dio, fino a noi, popolazione di stupidi che hanno dimenticato la bellezza del pensiero umano.

Tutti ci avviamo verso la nostra fine designata. Tutti figli del destino, pronti a morire per semplici risposte che non hanno domande. Ogni capo porta con sé la sua storia, ogni storia porta con sé il suo personaggio. Ogni cosa che fu creata marcisce. Tutto è destinato a morire.

La grande folla si alzava a dispetto dei poveri creditori, la grande folla l’incitava alla dannazione. Allora vidi le masse cavalcare cavallette giganti e rosse, che portavano sulla schiena la spazzatura dell’universo che voleva conquistare il regno dei cieli. Piovevano piaghe, piovevano lacrime intrise di sangue. Il sangue delle sofferenze umane. Il sangue dell’insofferenza umana. Il sangue puro della razza eletta che uccide senza troppi patemi i suoi simili per vili scopi.

Vidi le persone che camminavano per strade colme di fuoco. Donne nude e disinibite, ubriache e drogate, vergini e puttane, che usavano i pali della luce come aste sessuali, e strofinavano i loro piaceri cantando le leggi della perversione umana. Vidi uomini enormemente dotati distruggere i loro uteri usando i loro innaturali membri, e gioivano e cantavano le leggi dei peccati.

I bambini giocavano con biglie fatte di occhi umani e cercavano tramite esse la luce che porta lontano dal peccato. Ma le biglie erano tutte attratte dal buco a forma di orbita oculare che risucchiava in sé tutte le loro speranze.

Vidi un enorme albero dominare la terra. Dai suoi vecchi rami cadevano uomini anziani e appassiti dal tempo, e gridavano a gran voce “fu la vita che ci uccise! Scappate da essa, o essa vi ucciderà!” Ne avvicinai uno, che si lamentava giacendo in posizione fetale, e gli chiesi “come posso vivere scappando dalla vita? Se scappo da essa io non sarò più!” E lui rispose “tu non sei, tu fingi di essere, la vera anima del mondo è appassita… io sono te, e tu sei me! Scappa dalla vita, e sarai giovane per sempre”.

Lo guardai e diventai triste. Per il mio destino, per il suo destino… e per il destino dell’albero che appassiva.

Michele Marino

 Redazione

 

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