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14/09/2009

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UN MARE DI ARSENICO

Clicca per Ingrandire Alla fine della II Guerra Mondiale la parte più a sud del Mare Adriatico rappresentava la principale “dumping area in the basin for chemical weapons ”. La maggior parte del materiale bellico scaricato in mare proveniva dai depositi di armi convenzionali e chimiche che i tedeschi prima e gli Alleati dopo avevano installato nei pressi di Foggia e Bari. A peggiorare la situazione, con la fine della 2ª Guerra Mondiale, sui fondali del Mare Adriatico al largo della Puglia venivano abbandonati gli ordigni recuperati dalle navi affondate nei porti e nelle baie pugliesi, oltre bombe inesplose della Luftwaffe.

Da molte interviste coi pescatori locali (pugliesi, ma anche maltesi, albanesi e croati), risulta evidente l’esistenza di “dumping sites non offi cially reported” (discariche non denunciate ufficialmente; ndr). La Convenzione internazionale che disciplinava gli armamenti durante la 2ª Guerra Mondiale - il Protocollo di Ginevra del 1925 - proibiva «l’uso in guerra di gas asfissianti, tossici o simili, nonché di tutti i liquidi, materiali o procedimenti analoghi». Il Protocollo di Ginevra non vietava la produzione e l’immagazzinamento di armi chimiche e non escludeva l’uso dei gas asfissianti come rappresaglia a un eventuale attacco militare con l’uso di armi chimiche.

Ciò spiega la presenza sul territorio pugliese, durante la 2ª Guerra Mondiale, di un loro vastissimo arsenale. La Convenzione sulla loro proibizione firmata a Parigi il 13 gennaio 1993 stabilisce che tutti gli Stati Membri devono procedere alla distruzione di tutte le armi chimiche nei territori sotto la loro giurisdizione; devono, inoltre, provvedere alle rimozione delle armi lasciate sul territorio di altri Stati. Queste disposizioni non si applicano «a discrezione dello Stato Parte, alle armi chimiche sotterrate nel suo territorio anteriormente al 1° gennaio 1977 e che rimangono sotterrate, o che sono state scaricate in mare anteriormente al 1° gennaio 1985».

Dalla lettura della Convenzione di Parigi si evince che il recupero delle armi chimiche rilasciate in mare è di assoluta responsabilità dello Stato che effettua il recupero, senza distinzione tra acque territoriali o internazionali. La Convenzione di Parigi non affronta l’impatto sull’ambiente delle sostanze chimiche rilasciate dagli ordigni inesplosi. Gli esperti affermano tuttavia l’assoluta necessità di localizzare i luoghi dove si trovano le armi chimiche, approntare studi ecologici per valutarne l’impatto sull’ambiente e raccogliere informazioni sullo stato di corrosione delle munizioni.

Al largo del Gargano è stata segnalata, dagli operatori dell’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al mare, un’area contenente armi convenzionali e chimiche alla profondità di 230 metri, su un’area estesa approssimativamente 2 x 5 miglia nautiche. Sempre al largo del Gargano è stata segnalata, dagli operatori dell’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica applicata al mare, e confermata grazie alle interviste coi pescatori, la presenza di armi chimiche con iprite a profondità variabile tra i 200 e i 400 metri, su una estensione di circa 14 x 29 miglia nautiche, distante dalla costa di Vieste approssimativamente 30 miglia nautiche (55 km circa; ndr).

Un’altra area di forma circolare, di fronte al Gargano, è segnata sulle carte nautiche come “unexploded ordnance dumping area” (discariche di armi e munizioni inesplose; ndr): profondità 50 metri, distanza dal centro dell’area alla costa di Vieste approssimativamente 5,5 miglia nautiche (poco più di 10 km; ndr), raggio dell’area 1,4 miglia nautiche (2,7 km circa; ndr).

Per quanto riguarda gli effetti sull’ambiente marino delle sostanze chimiche contenute nei residuati bellici, grazie al progetto ACAB (Armi chimiche affondate e Benthos) realizzato dall’ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare) e al progetto REDCOD (Research on environmental damage caused by chemical ordnance dumped at sea), nato dalla collaborazione tra l’Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e tecnologica Applicata al Mare, il Consorzio Nazionale Interuniversitario per le Scienze del Mare, il Dipartimento di Scienze Ambientali dell’Università di Siena, l’Istituto di Biomedicina e di Immunologia Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche e il Centro Tecnico Logistico Interforce NBC, pubblicato nell’ottobre del 2006, la comunità scientifica dispone di dati attendibili che preoccupano gli studiosi.

Da un punto di vista generale, gli alti livelli di arsenico rintracciati negli organismi marini pongono serissimi interrogativi sulla salute umana. Gli studiosi non escludono che le cause dell’elevata presenza di arsenico riscontrate nelle aree di studio siano dovute esclusivamente agli ordigni inesplosi adagiati sui fondali marini. Non sono state rilevate tracce di iprite negli organismi marini, e questo è dovuto probabilmente al rapido passaggio nella circolazione sanguigna.

Lazzaro Santoro

 Gargano Nuovo (sett. 2009)

 

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