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04/09/2009

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DUE UOMINI DISTANTI, DUE VITE VICINE

Clicca per Ingrandire Mentre l’Associazionismo Attivo del Gargano si misura contro la diffusa illegalità (tema che affronterà martedì 8 settembre all’interno delle manifestazioni per Calena e nell’ambito del suo ottavo incontro), il Componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela dei Consumatori” pone sullo stesso piano esistenziale di vita e di morte due personaggi del nostro tempo: Giuseppe Gatì, morto folgorato in Sicilia, e Peppino Basile, accoltellato nella leccese Ugento


“Non ho mai conosciuto Giuseppe Gatì (foto del titolo; ndr). Ho sentito parlare di lui sul web, dopo… dopo che un assurdo e incredibile incidente aveva spento la sua giovane vita, aveva definitivamente messo a tacere la sua voce, che con tanta forza aveva tuonato contro la corruzione, contro il malaffare, contro la mafia. Era uno studente siciliano che si dichiarava "nato ad Agrigento, residente a Campobello di Licata e cittadino libero", che aveva denominato il suo blog “La mia terra la difendo” da cui mandava segnali di incoraggiamento ai giovani siciliani, invitandoli a non abbassare mai la testa, ma a combattere, a non lasciare la loro terra alla ricerca di lavoro, ma a restare per cambiarla, la loro terra.

“Era diventato famoso per un gesto eclatante, ripreso da tutte le televisioni: aveva pubblicamente contestato Vittorio Sgarbi, chissà come paracadutato a sindaco di Salemi, nel corso di una cerimonia ufficiale, ricordando a tutti che era un pregiudicato e inneggiando a Caselli e al Pool Antimafia. Aveva pagato, per questo gesto: lo avevano spintonato e trascinato fuori, trattenendolo per “accertamenti”, come se ci fosse il rischio che si trattasse di un pericoloso sovversivo o di una spia di Bin Laden.

“Appena un mese dopo, l’incidente che poneva fine alla sua giovane vita e ci impediva di sapere come avrebbe portato avanti le sue battaglie per la legalità e a difesa della sua terra.
Virgoletto “incidente” perché sono intimamente convinto che la sua morte non sia stata frutto di una tragica coincidenza, di uno scherzo del destino, ma una conseguenza del suo impegno, del suo coraggio, della sua incoscienza nel contrapporsi in maniera netta alle collusioni, al malaffare.

“Non voglio, però, alimentare polemiche sul caso: non sarebbe giusto, in primo luogo proprio nei suoi confronti. Resta il fatto, questo tragico fatto, sul quale ci auguriamo sia fatta quanto prima chiarezza, e resta il coraggioso messaggio di incoraggiamento, la sua testimonianza di giovane siciliano che non aveva paura di dire chiaramente quello che pensava, anche se poteva scontentare i potenti e andare incontro a guai.

“Peppino Basile, invece, lo conoscevo bene. A differenza di Giuseppe, non era giovane, era un uomo di mezza età le cui forze erano state intaccate da una vita difficile, piena di ostacoli ma sempre affrontata a testa alta, con fierezza ed entusiasmo, come se età acciacchi preoccupazioni problemi non contassero nulla. A differenza di Giuseppe non aveva studiato, iniziando a lavorare giovanissimo sui cantieri, un lavoro duro che spezza la schiena e non lascia il tempo a occupazioni più nobili, quali l’arte e la letteratura.

“Ma non viveva la sua condizione come un handicap: la sua forza, la sua fierezza erano tali da non impedirgli di prendere la parola in pubblico, anche in consessi “elevati”, dicendo chiaro e forte, al di là della forma italiana, quello che pensava. Di questo limite culturale aveva fatto la sua bandiera e il suo segno distintivo: lui era un figlio del popolo, parlava come parlava il popolo ed esponeva i problemi e i drammi che il popolo vive quotidianamente. Ma soprattutto, con la sua voce stentorea e i suoi modi enfatici, non aveva paura di dire pubblicamente quello che pensava, sia nella piazza della sua Ugento sia nel Consiglio comunale di questa città, di cui faceva parte, sia in Consiglio Provinciale o in altra sede, informale o istituzionale.

“E proprio questo coraggio, questa caratteristica di dire sempre e comunque quello che si pensa, mi ha fatto accomunare le due figure, per tanti versi così lontane tra loro. Me le ha fatte accomunare l’amore per la propria terra, che ha portato entrambi a battersi contro le ingiustizie e per la legalità, contro il malaffare, nella consapevolezza che il rispetto della legge non poteva che migliorarla, quella terra, che non vi erano scorciatoie, ma l’unica via da percorrere era la via più diritta, quella che comporta il rispetto delle regole e dei diritti di tutti.

“Anche Peppino è morto all’improvviso e tragicamente: in una calda notte di giugno di un anno fa, una mano purtroppo ancora anonima ha messo termine alla sua vita colpendolo con un numero incredibile di coltellate. Anche sulla sua fine si possono fare (e si sono fatte) mille illazioni, tanto più che ancora oggi, dopo oltre un anno dall’assassinio, il colpevole della sua morte non ha ancora un volto e un nome. Morte che intimamente credo sia strettamente connessa col suo impegno, la sua spavalda partecipazione alla vita pubblica del suo paese, la sua spudoratezza nel denunciare qualsiasi imbroglio venisse a sua conoscenza.

“Ma questo, per tutti e due, non è il luogo né il tempo per alimentare polemiche: lasciamo alla magistratura il compito di fare chiarezza, non senza sottolineare, però, come la tragica morte di Peppino ne abbia rinvigorito il messaggio politico, che continua a vivere dopo di lui e chiama i cittadini onesti e vogliosi di giustizia a raccogliere il testimone di una attività improntata principalmente alla difesa dei diritti dei più deboli.

“Come per Giuseppe, non è tanto importante sapere se la mano assassina fu mossa da interessi personali, da invidia, gelosia, ovvero da interessi politici, quanto ricordare che Peppino, uomo del popolo che lottava per difendere la sua terra, non c’è più, ma resta il suo messaggio, la sua testimonianza di vita dedicata agli interessi degli altri. Questa considerazione, al di là delle grandi differenze, me lo fa accomunare a Giuseppe Gatì e me li fa immaginare insieme, fianco a fianco, che anche nell’aldilà continuano la loro battaglia per la giustizia.

Giovanni D’Agata”




 Redazione

 

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