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15/08/2009

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UN VESCOVO DI STRADA

Clicca per Ingrandire Da qualche giorno lo si può incontrare alla guida di una Panda nera. Domenico Umberto D’Ambrosio (foto del titolo, tra il ministro Fitto e il sindaco; ndr), arcivescovo metropolita di Lecce da quaranta giorni, riserverà molte sorprese ai salentini. “Qui è facile spostarsi - dice. - Non ci sono le difficoltà del Gargano. In mezz’ora puoi andare dove vuoi”. I leccesi dovranno abituarsi ai suoi movimenti improvvisi: la visita a un sacerdote in ospedale, l’arrivo non preannunciato in una parrocchia. Tutto con stile semplice e diretto. Non dorme molto il vescovo. Lui ne approfitta e si mette in movimento presto. Alle 5,30 è già in giro nelle stradine del centro storico. “E’ bella la Lecce barocca”. Il vescovo venuto dal Gargano ha interesse soprattutto per le persone. La città si sveglia lentamente. Incontra per primi i netturbini (“gli operatori ecologici”), scambia qualche parola, vede alzarsi le prime saracinesche dei bar e dei negozi. E’ sonnolenta Lecce d’estate. “D’inverno sarà diverso, uscirò un po’ più tardi”.

Cosa significa tutto ciò? Quale senso ha il muoversi liberamente e il cercare il contatto fisico con la città e con chi lavora?

“Mi sento una persona libera che cerca di capire e si sforza di conoscere tutto quello che vive. I fronzoli non sono necessari, anzi disturbano. Devo incontrare le persone, dove si svolge la loro esistenza e lavorano. Per questo lascio il palazzo. Il vescovo vive nel palazzo, ma poi deve scendere per strada, non può restare lì”.

Nel primo incontro con i sacerdoti lei ha spiegato come è avvenuto il suo trasferimento da Manfredonia a Lecce. Poi ha ascoltato le storie personali di ciascuno. Quali sono le prime impressioni sulla Chiesa leccese?

“Mai potevo pensare a un quarto trasferimento. Ero a Manfredonia solo da sei anni. La decisione del Papa ha cambiato tutto. La prima reazione è stata di sorpresa. Poi, grazie all’obbedienza è venuto il miracolo. Quando si dice sì, tutto diventa più facile e bello. L’obbedienza libera il cuore e fa rinascere. Lecce mi sta regalando anni di vita. Ogni volta che si cambia luogo di apostolato si ricomincia daccapo. Occorre capire i nuovi contesti, sentire le diverse sensibilità, vivere con curiosità e cuore aperto gli incontri. Tutto ricomincia”.

La gente del Gargano è più essenziale. Lei è di Peschici, delizioso centro di fronte al mare. La cultura salentina è orientata alla mediazione e all’arricchimento del discorso. Si tende ad aggiungere, appunto come ha fatto il barocco...”

“La storia di un barocco che adorna di artifizi la vita e la cultura non mi convince. E’ una storia sentita tante volte e ormai stucchevole. I leccesi barocchi? Vedremo. Lecce barocca è bellissima. E mi fa pensare che semplicità e ricchezza di forme possono non solo coesistere, ma sposarsi in modo armonioso. Vorrei inserirmi via via, in modo semplice, in questa storia locale, sull’incontro e sul dialogo continui. Il mio desiderio è conoscere tutti, superare ostacoli e vincere pregiudizi. Le differenze arricchiscono, non ostacolano. Amo accettare le persone per come sono. Non le studio né le giudico. La cultura salentina mi sembra fondata su questo valore”.

E’ vero che con molti sacerdoti comunica via e-mail?

“Sì, è vero, ma non sono un esperto. Utilizzo il web perché è uno strumento veloce e diretto. So che sono presente anche su Facebook, ma mi porrebbe problemi seguire sulla rete un dibattito ampio e continuo. E poi, sono contrario a diventare soggetto del mercato. Non possiamo trasformarci in simboli di carta. Le tecnologie vanno bene, ma al centro c’è Gesù. Noi siamo i suoi sacerdoti e a lui dobbiamo rispondere”.

Finora ha lasciato l’assetto della curia ereditato da Ruppi. Ha deciso così per prudenza oppure per timore di qualche errore?

“Né per l’una né per l’altra cosa. Ho deciso così per rispetto delle persone. Non solo per Ruppi, del quale sono amico, ma anche per quanti lavorano. Non sono arrivato qui con la presunzione del maestro. Ho consapevolezza dei miei limiti. Devo prima trarre insegnamenti. Non si agisce con lo scettro in mano. Né si può pensare: io sono il nuovo, cambierà tutto. Sarebbe sciocco e immaturo”.

Il 17 luglio sono stati ricordati i suoi 44 anni di sacerdozio. Nell’omelia, oltre a richiamare la centralità del sacerdozio, ha insistito sulla necessità di una più profonda spiritualità. Il tema rimanda anche ai problemi della formazione nei seminari.

“Tema delicato, ma da affrontare in modo chiaro. Le opere ormai ci sono. Non ne servono altre. Anche il pane, tramite l’otto per mille, lo abbiamo. Dobbiamo impegnarci a far emergere il Dna del ministero sacerdotale, la spiritualità. Dobbiamo testimoniare non la rappresentazione ma la ripresentazione di Gesù e del suo messaggio. Occorrono le scelte: stare dalla parte degli ultimi, evitare il maneggio del denaro e di fare del denaro il nostro idolo. Anche noi subiamo l’influenza delle mode. E’ troppo umanizzato il nostro modo di pensare. La gente andava da Padre Pio non tanto per le stimmate, ma perché Padre Pio rifiutava le mode umane e testimoniava autenticamente la presenza di Gesù e la gente questo lo avvertiva subito. San Giovanni Vianney diceva: «Ho visto Dio in un uomo». Oggi anche i giovani seminaristi vivono la crisi provocata dalle mode e soffrono l’incertezza. Dobbiamo riuscire a offrire la chiarezza necessaria a trovare Gesù”.

Lei cita spesso Don Primo Mazzolari, un prete scomodo per il fascismo e per l’ala più conservatrice della Chiesa. Inoltre, ha simpatia per Enzo Bianchi e la comunità di Bose. La Chiesa ha bisogno di un ritorno alla purezza evangelica? I movimenti possono aiutare questa prospettiva?

“Don Primo, allora scomodo, oggi è acclamato. E’ il destino dei profeti capire con decenni di anticipo. Don Primo era radicato profondamente nel suo popolo, i contadini della Bassa padana. Parlava in modo diretto di Gesù e interveniva nel conflitto sociale. Parlava di un Dio che non stava nei cieli ma abitava sulla terra, tra la gente in sofferenza. Per me è un esempio. I movimenti costituiscono una grande ricchezza della Chiesa, dall’Azione cattolica al Movimento dello spirito, dai Focolari ai Neocatecumenali, a tutti. Sono infinite le strade per cercare Gesù. Tutti i movimenti, però, devono far riferimento al Papa e ai vescovi”.

Per vent’anni Ruppi ha forgiato la Chiesa di Lecce. E’ intervenuto sui temi sociali e di costume. A volte si è rivolto alla politica. Quale sarà il suo stile? Si allontanerà dal modello che l’ha preceduto?

“Ho il mio stile che, è normale, non sarà lo stile di Ruppi. Ciascuno ha la sua propensione. Il compito è lo stesso per tutti: andate, predicate il Vangelo e battezzate. Le modalità sono diverse. Farò il vescovo con una presenza nella storia locale. E questa storia è fatta di tante sottolineature, urgenze, esigenze. Seguirò anche la vicenda politica ricordando la splendida affermazione di Paolo VI («La politica è la più alta forma di carità»). E, sulla scia di Isaia, non tacerò per amore del mio popolo tutte le volte che la politica non rispetterà i valori umani”.

A proposito di valori, è messa male la politica pugliese. Escort baresi che frequentavano le case del premier Berlusconi, cattive pratiche di gestione clientelare della sanità. Non ha nulla da dire?

“In Puglia siamo nell’occhio del ciclone con questi incroci di attori, su un versante e sull’altro. Di là persone che procacciavano scatenando malcelati desideri di sbirciare dal buco della serratura; di qua le vicende della sanità che gettano pesanti ombre sulla trasparenza delle gestioni. C’è chi rimprovera alla Chiesa di non aver espresso una censura morale netta e chiara nei confronti di Berlusconi. Non c’è bisogno di una censura esplicita, dal momento che la norma morale ha un valore universale e oggettivo. Pertanto, non ci può essere la doppia morale, una per i potenti, l’altra per gli umili. Anche il potente va condannato perché nessuno ha l’immunità dalla legge morale”.

Domenico D’Ambrosio si presenta così all’opinione pubblica salentina. La prima impressione è di un uomo di chiesa curioso e pronto a saltare il protocollo pur di mettere a proprio agio l’interlocutore. Un vescovo di strada, in qualche misura, cioè che puoi incontrare all’improvviso mentre cammini. Ma un uomo con profonde convinzioni e con un’idea già chiara sul lavoro da fare. “E’ bella Lecce – continua. - Se non ci fosse lo scirocco...”.

Tonio Tondo



 GdM (pag. di Lecce, 13 agosto 2009)

 

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