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05/08/2009

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A TREMITI… 40 ANNI FA!

Clicca per Ingrandire In un lontano mese di giugno di una quarantina d’anni fa, nei pressi della nostra tenda al campeggio San Nicola di Peschici, alzandoci al mattino, io e mia moglie, trovammo piantata una minuscola canadese dalla quale, poco dopo, vedemmo uscire una giovane coppia: lei bionda, alta e graziosa, lui dall’aria simpatica: Vittorio, provenienza Como, e l’ultima preda del suo terreno preferito di caccia a Gabicce Mare e dintorni, Hannelore, tedesca, sua moglie da poco, ma già con un’evidente pancetta a punta di cinque mesi.

Diventammo subito amici e a tal punto in confidenza che non passava ora che l’uno o l’altro dei due venisse da noi per chiedere in prestito un pentolino, una tazza, un coltello e così via. La loro tendina era sprovvista di tutto, ma piena di patate e Hannelore per cucinare aveva soltanto un fornellino a gas e un grande e pesante tagliere in legno, dono della suocera, per poter confezionare a Vittorio, figlio unico, gli gnocchi di cui era molto ghiotto. Così Hannelore, tra un bagno e una impastata di patate, tirava avanti la giornata.

Un giorno, di comune accordo, decidemmo di fare una gita alle Isole Tremiti: ci imbarcammo a Peschici, sulla motonave Daunia trasbordando da una piccola imbarcazione e catapultati a bordo con il solito sistema di tira e spingi a braccia (vedi e leggi http://www.puntodistella.it/news.asp?id=2596; ndr). La nave fece tappa a Rodi mentre noi assistevamo da bordo all’imbarco di persone e viveri. A un certo punto, un sacco di patate cadde in mare e Vittorio ebbe un colpo al cuore pensando a quanti gnocchi avrebbe potuto mangiare con ciò che era andato in pasto ai pesci. La nave riprese la navigazione, seguita da un volo di diomedee coi loro richiami, e noi allegri e ansiosi di vedere cose nuove.

Giunti alle Tremiti sbarcammo a San Nicola e andammo a visitare tutto quanto fosse possibile: la chiesa, la cinta fortificata… Poi tornammo verso il porticciolo per trovare un posto dove pranzare. Là c’erano solamente due rustici posti di ristoro, più che ristoranti, con panche e tavoli in legno molto artigianali e noi decidemmo di andare in quello più isolato, in alto. Colà giunti e non vedendo nessuno in giro andammo verso una piccola costruzione dove, probabilmente, poteva esserci la cucina. Vi trovammo un uomo solitario al quale chiedemmo se si poteva pranzare. Rispose di sì, guardandoci in cagnesco e con la bocca storta, ma a una condizione: dovevamo essere noi ad apparecchiare la mensa e pulire l’insalata!

Alla strana proposta ci guardammo stupiti, ma sportivamente accettammo. Mentre io e Vittorio preparavamo il tavolo, all’esterno, Hannelore e mia moglie Ivonne, in piedi davanti al lavandino, svolgevano il loro compito con l’insalata. Il proprietario del locale, seduto davanti alla cucina, osservava il tutto con sguardo allucinato. A un certo punto, guardando con occhio torvo le due donne sbottò dicendo: "Le donne... tutte puttane". Hannelore, allarmatissima, innocentemente chiese a Ivonne: "Non capisco cosa dice quel signore, è forse arrabbiato con noi?" E Ivonne, di rimando: "Hannelore, è meglio, molto meglio che tu non capisca, continua a lavare l’insalata".

Io e Vittorio ci guardammo, indecisi se ridere o indignarci. Alla fine, in silenzio, continuammo a tagliare il pane come se nulla fosse accaduto. Dopo un po’ il nostro amico sbottò con la stessa giaculatoria e così altre volte, a cadenza. Finalmente ci sedemmo a tavola con l’insalata pronta e il nostro anfitrione, recitando a denti stretti la solita litania, ci portò una scatola di sardine e una di tonno, ancora da aprire, e un po’ di caciocavallo. Mangiammo con appetito e in allegria commentando a bassa voce l’accaduto e mangiando molto pane per poter sfamare i nostri verdi anni. Alla fine andammo a pagare il conto che fu molto salato, considerato il tutto, ma per noi andò bene così.

Comunque, incuriositi dallo strano atteggiamento tenuto nei nostri confronti, io e Vittorio cercammo con molto tatto di indagare. L’uomo, forse ammorbidito dal buon affare appena concluso con noi, ci spiegò che il giorno prima sua moglie era improvvisamente fuggita col tuttofare del locale. Indagando ancora con astute domande, riuscimmo a scoprire la vera ragione di tale comportamento: l’uomo, in un colpo solo, aveva perso sia la cuoca sia l’aiuto del locale! Lasciammo il nostro amico ai suoi affanni e ci dirigemmo verso il porto dove noleggiammo una barchetta a motore, manovrata da un pescatore. Facemmo il periplo della bellissima isola di San Domino ammirando il mare color smeraldo, le fresche e affascinanti grotte, il verde incontaminato… Un’isola vergine, insomma!

Tornati in porto salimmo sulla Daunia e andammo a riposarci a poppa sulle panche, stanchi ma felici. Poco dopo la nave partì e più tardi un altoparlante cominciò a trasmettere musica ballabile. Noi quattro non perdemmo tempo a lanciarci nelle danze, seguiti dallo sguardo incuriosito degli altri viaggiatori. A un certo punto Ivonne, scorgendo in lontananza il comandante della nave, si precipitò verso di lui, lo prese per un braccio, forzatamente lo trascinò nell’improvvisata balera e, abbracciatolo, si lanciò in un prolungato, avvincente e peccaminoso tango con caskè. A quella vista le altre donne fremettero con un brivido e un sussulto, e tutte quante vollero avere il privilegio di un ballo col malcapitato comandante. Alla fine il pover’uomo, tutto sudato e sfibrato per mancanza di allenamonto, dovette ancora soddisfare le brame di Hannelore.

La nave stava silenziosamente scivolando verso il ritorno e già si scorgeva in lontananza la costa. Il sole lentamente tramontava ma… le due "panze", quella di Hannelore e l’altra dell’abbondanza del suo ballerino, erano ancora avvinghiate nelle spirali di una vorticosa polka.

Non sono piò tornato alle Tremiti. Ho voluto ricordarle così, come quel giorno!

Giuseppe Gatti (Cuneo)

 Redazione

 

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