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01/08/2009

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VIAGGIO DI UN PARANOICO! (DA PESCHICI A SAN SEVERO E RITORNO CON... LA GARGANICA!)

Clicca per Ingrandire Un giorno di una quarantina di anni fa, da buon turista curioso e impiccione, quasi quelli giapponesi, decisi di fare un viaggio sulla ferrovia del Gargano, tratta Peschici/Calenella-San Severo. La mia era pura curiosità, non c’erano motivi di trasferimento. Scelsi un giorno di giugno, non troppo caldo, per potermi gustare appieno la trasferta. Giunto alla stazione di Peschici-Calenella (nella foto del titolo quella di Rodi gentilmente concessa da "garganicus"; ndr) trovai il treno già pronto sul primo binario: era composto da una locomotica e due carrozze in legno piccole piccole, ciascuna delle quali, a ogni estremità, aveva un terrazzino esterno circondato da una leggera inferriata e una scaletta per l’accesso all’interno della carrozza.

Per me tutto questo parve così irreale da farmi pensare di trovarmi, come in trance, catapultato all’improvviso in un cartone animato di Walt Disney. Nei cartoni disneyani tutto è umanizzato, anche le locomotive che hanno occhi naso e bocca. Convinto di ciò mi recai in testa alla locomotiva per vedere se mi sorrideva o invece mi faceva gli sberleffi. In effetti… si comportò bene!

Unico viaggiatore, al momento, salii su una delle due carrozze i cui sedili erano panche di legno e, sempre più convinto di veder salire, da li a un po’, anche i personaggi dei cartoni, incominciai a pensare: “Sono certo che quel goffo di Pippo mi farà dei discorsi sconclusionati… speriamo che Topolino tenga a guinzaglio Pluto affinchè non venga ad attaccarsi ai miei pantaloni… chissà che viaggio tranquillo farò con i terribili Quì, Quo e Qua...” A riportarmi alla realtà fu una vecchietta, tutta vestita di nero, che mi salutò con un "buon giorno, vai anche tu a San Severo?" Quella confidenza del tu, anziché urtarmi, mi fece piacere perché capii quanta umanità familiare ci fosse nella domanda.

Senza troppo ritardo anche il treno partì. Subito costeggiammo la spiaggia di Calenella con la sua piana nel cui mezzo vidi, solitaria, una graziosa masseria. Passammo una galleria e, baciati dai pini e dal mare, giungemmo a San Menaio. Qui salì un altro viaggiatore, ma sull’altra carrozza. Dato che il treno non ripartiva mi affacciai incuriosito al finestrino e vidi che il macchinista stava parlando di fatti di famiglia con un collega a terra, senza alcuna protesta dei viaggiatori che, al contrario, prestavano curiosa partecipazione a quanto si stava dicendo. Io, anzichè infastidito, rimasi sempre più colpito dal calore e dal fatalismo di quella gente.

Finalmente il treno ripartì e percorremmo tutto il lungo e bel tratto di mare fino a Rodi. Sempre più incantato di quanto vedevo e delle sensazioni che provavo, cominciai a rendermi conto che per me, quel viaggio, era la scoperta di un mondo nuovo. Lungo il percorso la gente salutava da terra con la mano e noi rispondevamo allo stesso modo. A un certo punto il treno lasciò il mare per procedere in alto, sui fianchi della montagna e qui iniziò la parte più bella e interessante del viaggio. Sulla destra si poteva ammirare il grande lago di Varano, separato dal mare da un soffio di terra e all’orizzonte le belle Isole Tremiti appena velate da una leggera foschia. A sinistra il paesaggio brullo ma nello stesso tempo affascinante della montagna.

Il treno procedeva a rilento, per via della salita, così tutto quanto si poteva ammirare più a lungo. Davanti a noi sfilavano le antiche masserie coi loro recinti per gli animali. Mucche, maiali e ovini pascolavano liberi brucando avaro cibo… Insomma un paesaggio bucolico d’altri tempi. A poco a poco anche io, con la mente, andavo indietro negli anni e a un certo punto mi parve di venire proiettato in quella diabolica macchina del tempo che si vede nei films di Cristian De Sica e Massimo Boldi. Così mi convinsi di essere tornato indietro nel tempo di almeno 150 anni. E mi assalì la paura: avendo dimenticato il passaporto in tenda, al campeggio, mi ritrovai a sperare che a San Severo… la Gendarmeria Borbonica non mi arrestasse come spia del Conte di Cavour e io riuscissi a cavarmela da questo impiccio!

Intanto il treno aveva raggiunto l’apice della salita e procedeva velocemente in discesa verso San Severo. Si potevano vedere in basso le verdi e ubertose terre del Tavoliere e in lontananza le belle colline del Subappennino Dauno. In me crescevano sempre più angoscia e timori ma, giunti alla stazione, scorsi con gran sollievo un carabiniere… italiano che passeggiava avanti e indietro, sotto una pensilina. Solo allora mi resi conto che lo sbarco dei Mille era già avvenuto e io non mi trovavo in terra straniera, per cui ogni ansia lasciò il posto solo a stupore e meraviglia per le bellezze appena godute.

La gente, scendendo dal treno, anche se tutte le coincidenze erano saltate per via dell’ampio ritardo, era ugualmente allegra. Scesi anch’io e restai in attesa di prendere un altro treno che mi riportasse indietro. E intanto mi ripromettevo di fare tutto il percorso a occhi chiusi per non riprovare più, non tanto le gioie vissute, quanto… la paura

Giuseppe Gatti (Cuneo)

 Redazione (foto garganicus.blogspot.com/)

 

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