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02/07/2009

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IL PAPAVERO DELLA MEMORIA

Clicca per Ingrandire Guardando piacevolmente un clown tra una piccola folla seduta sul selciato del Covent Garden - bella e animata scena di vita londinese - vi capiterà di girare l’occhio distrattamente e lasciarlo cadere su un triste cartello accanto a voi. Pare rivolto ai turisti e parla di morte: “Quando andate a casa parlate di noi... for your tomorrow we gave our today!” (“abbiamo dato il nostro oggi per il tuo domani”). La scritta, infatti, ricorda i lavoratori ai mercati generali qui al Covent Garden, combattenti altrove, morti in guerra. In questo contrasto, ti sorprende il senso della memoria. “La vita dei morti sta nella memoria dei vivi” ripeteva Cicerone.

La memoria qui è sacra. È coltivata, curata come un bel prato all’inglese. Basta vedere quando arriva il “poppy day”, il giorno del papavero. Come un lampo attecchisce e fiorisce ovunque. Antonio mi piomba in sacrestia, portandomene uno tutto per me, il suo pende già sulla giacca. In tv tutti i presentatori e gli ospiti mostrano una viva, inconfondibile chiazza rossa, e così i commessi dei negozi, gli impiegati delle banche sul loro completo nero, la gente comune per strada… mentre centinaia di corone di papaveri rossi sono posate accanto ai monumenti. Ricordare il sangue dei caduti nei campi di guerra - come un papavero rosso in un campo di grano - è vissuto qui come un dovere collettivo. Sacrosanto.

In molti giornali, poi, come il Times o il Guardian, vi imbatterete in rubriche come “obituaries”, che vi parlano in maniera concreta e viva di personalità da poco scomparse. Ogni giorno vi ritrovate una piccola serie di profili. Raccontare così, realisticamente, il senso di un’esistenza, le sue differenti sfaccettature, gli hobbies, gli impegni e gli ideali vissuti, al di là di ogni retorica o di vuoto panegirico: un esempio straordinario di memoria viva, proposta ai lettori. “La memoria è un tesoro e custode di tutte le cose” annotava uno scrittore antico.

Stupirà, poi, un enorme monumento tutto in marmo grigio in mezzo alla strada, la centralissima Parliament Street - come una pietra miliare nello scorrere intenso del traffico - dove si mostrano appesi vestiti e qualche cappello. È dedicato alle donne della seconda guerra mondiale, a combattenti generose e coraggiose in un grandioso conflitto di uomini. E chi mai se lo sarebbe immaginato, viene da pensare. E non è questo un buonismo pacificatore, come pareva prendere piede ultimamente da noi, parlando di “morire dalla parte sbagliata”. E’ ricordare, invece, quali valori ha fatto vivere la morte di qualcuno. E’ rendere ancora presenti i valori per cui una vita si è fatta dono.

E’ triste, allora, ritornare a casa dall’estero e passare davanti alla lapide di un giovane combattente posta su un muro, in centro paese: due fiori secchi, una scritta scolorita, il senso dell’oblio. Poveri quei bei vent’anni, buttati via! Mentre in Francia all’inizio dell’anno scolastico si leggono in tutte le classi le ultime righe alla famiglia - lucide, commoventi, coraggiose - di Guy Môquet, giovane partigiano appena diciassettenne: “Sto per andare a morire...” comincia la lettera, ma non vi lascerà finire senza emozione.

“La memoria insegna!” mi fa l’altro giorno un giovane, Michele, mentre passavo per la stazione di Bologna. Una filza lunghissima di nomi con le loro età, con tanti giovani, qualche straniero, è posta all’interno e all’esterno della stazione: una lapide. Un orologio fermo sull’ora della strage. Tutto qui. Fuori chi sa e chi non sa. “Mammamia, i fischi che si prendono ogni anno!” mi fa qualcuno, assicurandomi che vengono ancora a centinaia il 2 agosto.

Memoria ferita quella di un popolo che fischia, rimasto forse con la sua sete di giustizia! Perchè uccidere gratuitamente nel bel mezzo di un viaggio di ferie è un paradosso crudele che una stazione d’Italia, martire, attesta ancora. Quando in una vita civile la barbarie prende il sopravvento, dimenticare può essere fatale. La memoria insegna vigilanza e coraggio anche oggi. Da sempre.

Renato Zilio

 Redazione

 

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