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30/03/2008

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Spettacolarizzazione: fin dove è lecita, al di là del bisogno imprescindibile di fare audience?

Clicca per Ingrandire E' lecito spettacolarizzare il dolore per fare audience? Quale il limite? Risposte scontate! Ormai ci siamo abituati, non proviamo quasi più nessun fastidio, anzi forse ricerchiamo il dolore altrui per sentirci vivi. Facciamo colazione e merenda, pranziamo e ceniamo con immagini raccapriccianti accompagnate da commenti particolareggiati spesso inutili a sottolineare quanto già le riprese eloquentemente (e in negativo) vogliono raccontare e tutto condito da domande al colpito dal dolore a dir poco stupide: "Come si sente in questo momento? Che prova?" Quale tentazione urlare al giornalista, poco professionale e irrispettoso: "Ma sei scemo?"
Le telecamere, poi, cercano sempre il particolare più macabro, che infastidisce e stringe il cuore, sottolineando quanto già di per sé è tragico, insinuando "tarli" d'ogni genere: pozze di sangue, corpi trucidati, lamiere contorte, tutto in nome di un neogiornalismo (si fa per dire!) invasivo, irriverente, che esalta il dolore e anziché informarci in modo asettico, lasciando ai singoli riflessioni e commenti, ha già riflettuto e imprecato per noi, deciso ciò che è giusto o sbagliato, a priori! Finiti i tempi dell'informazione all'inglese, più che lecita la "invadente", il diritto di cronaca trasformato in ricerca assoluta del macabro, del particolare che sconvolge e turba perché ciò paga, in barba a ogni regola etica e altrui rispetto. Tutto sommato, mostrare il dolore richiede meno sforzi dell'elaborare riflessioni sull'avveni-mento. Allora non rimane che porci legittime domande: quando riportare una notizia in un certo modo passa da diritto di cronaca a indebita ingerenza e mancanza di tatto? Fino a che punto è corretto che il cronista riporti i propri sentimenti trascendendo il diritto di riferire la notizia senza trasformarla in intrusione?
Noi come rispondiamo? Con fastidio, ma momentaneo, sobbalziamo un attimo, poi tutto scema e si dimentica per fare posto alle immagini ancora più raccapriccianti che seguiranno. Questo è il nostro modo di agire, influenzati da benessere diffuso e libertà che ci estraniano da dolore, morte, sofferenza, forse per sadomasochismo o perché il dolore "ci manca" e abbiamo bisogno di qualcosa che ci scuota.
Probabilmente sono queste le risposte che spiegano il morboso interesse mediatico provocato da storie di cronaca nera. Il tema del dolore è dilemma antico e oggi ci viene propinato nella sua più teatrale oscenità, tutto passa come in certi brutti film - azione, ciak, si gira - che riempiono la nostra vita turbandoci e rubandoci gioia e serenità da condividere coi nostri cari in precisi momenti della giornata, e a cui assistiamo quasi compiaciuti. Il telecomando? Non serve! Ci siamo assuefatti, troppo, al macabro spettacolo. O forse ci propinano esattamente ciò che vogliamo vedere!
GABRIELE DRAICCHIO

 "punto di stella" APRILE 2008

 

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